Piccole speranze
E così, alla fine, ha prevalso il buon senso. Meglio. Pierluigi Bersani ha vinto sessanta quaranta contro Matteo Renzi. Anzi: sessantuno virgola uno a trentotto virgola otto. I numeri sono numeri, ma la percezione che gli umani hanno dei numeri non è aritmetica, ma psicologia.
Ci sono dei buoni presagi in ciò. E dei problemi piuttosto seri.
Con questa vittoria Pierluigi Bersani ha raggiunto una vera e propria legittimità delle urne democratiche. E diventa il primo ad aver vinto due volte di seguito le primarie. Che non è poco. Soprattutto perché la prima volta — scusate — era sembrata un’elezione dal sapore partito unico candidato unico. Ora no.
Le petulanza bamboccesca vittimistica di Matteo Renzi, che ancora prima di perdere invocava berlusconianamente fantomatici non brogli, è stata giustamente sconfitta. Bisogna considerare però che il quaranta per cento degli elettori democratici lo hanno votato. Un segnale chiarissimo che occorre svecchiare almeno i modi e i toni del centrosinistra.
Pensiamo che sia molto grave, per un elettore democratico, cadere nel consueto tranello in cade da vent’anni l’elettore di destra — «lo voto perché basta» — ipnotizzato dal nuovo che avanza. Ma è evidente che un senso di soffocamento, di inutilità del proprio voto, di insofferenza miope, di ribellismo senza speranza si è diffuso almeno nel quaranta per cento della forza elettorale democratica.
Questo è il primo e più grande problema di Pierluigi Bersani: riuscire a recuperare il quaranta per cento di voti di delusione finiti a Matteo Renzi, più un’altra parte di voti tra gli elettori che non votano democratico. E che — quasi tutti — non hanno alcuna intenzione di votare democratico.
E nello stesso tempo tenersi stretti quelli che lo hanno votato, che sono più di sinistra e meno sfiduciati. Ma che — almeno nel nostro caso — non ne possono più ugualmente (anche di più) dei vecchi ingrigiti arnesi del centrosinistra adusi alle sconfitte, sempre pronti a spuntare nei momenti importanti per gettare un’ombra di malaugurio sul futuro. Non li citiamo che poi si offendono.
Bersani ha la tempra di uomo «con due palle così» che non si fa prendere né dall’entusiasmo né dallo scoramento. Non fa battute, battutine, non si atteggia; non è giovane; non è paffuto; non ha la boccuccia; non è vecchio; non è sprezzante; non è arrogante; non è un professore; e non fa mai la vittima. Si veste anche bene. Il che non è poco in questo paese.
Lo prendono tanto in giro. Lo sbeffeggiarono molto quando lo fotografarono in maniche di camicia, da solo ad un tavolino di bar, di fronte a sé una birra media e i fogli del discorso da controllare. Eppure in quell’immagine c’è tutta la tenacia di una parte di italiani che non si arrendono. E non perché sono stolidi.
È vero: non ci ha spiegato tanto bene cosa farà se vincerà le elezioni e se diventerà capo del governo che uscirà dalle prossime elezioni. Sono due grossissimi se: però sarebbe ora il momento di cominciare a parlarne. Anche se sinceramente non nutriamo grandi speranze. Meglio così: mai avere grandi speranze. Sono meglio le piccole. ★