Scompiglio al centro
Ascesa nazionale di un amministratore locale
Il sindaco fucsia di Venezia è sceso in campo con il suo nuovo partito. Il progetto è ambizioso: incunearsi al centro, sbaragliare l’elettorato forzista, infilarsi in un futuro governo. Un nuovo partito del fare, un nuovo decisionismo, una nuova irruenza. Ce la farà?
VENEZIA — Le possibilità di riuscita nella scalata del rampante nuovo politico a dimensione nazionale, dalla terraferma veneziana al potere romano, sono tante. Ma come sempre nelle vicende umane: aleatorie.
Molto dipende dalla forza e dalle debolezze, sue e dei suoi avversari (che sono tanti).
Lo spazio politico a cui il sindaco punta è più affollato che mai: il centro. Essendo ormai scomparsa la sinistra, il centro è il posto del Partito Democratico, sempre più partito dell’ordine, giudizio e perseveranza. Essendo ormai fallito il progetto populistico del Movimento 5 Stelle, il centro è l’unico posto dove possono stare i superstiti della rivoluzione di Beppe Grillo, che non sono mai stati abbastanza di destra e per niente di sinistra. Con la deriva a destra destra della Lega, e a destra destra destra di Fratelli d’Italia, il centro è infine il posto della destra pura di Forza Italia, partito in coma (provvisorio). Come dire: tre giganti in gravi difficoltà (ognuno le sue) ma pur sempre dei grossi temibili avversari.
Il centro però è il posto dove si affollano i titani del personalismo politico nazionale. C’è l’inossidabile Silvio Berlusconi, prontamente rinvigorito e in piena attività politica che propone l’unità della destra. C’è Matteo Renzi, il politico del due per cento che ha il coraggio e la capacità di esporsi e cambiare i governi (via la Lega, dentro il Pd; via Conte, dentro Draghi e tutti gli altri). C’è Giuseppe Conte, il flemmatico democristianissimo futuro possibile capo del franante M5S che di recente ha ammesso di guardare al centro per i suoi voti. Al centro c’è anche (perché no?) l’ego incontenibile di Carlo Calenda, che da solo (il suo ego) vale un partito.
Per quanto il sindaco di Venezia sia prepotentemente personale, aggressivo, determinato, proponente, diciamo con una metafora molto desueta: ci sono troppi galli in questo pollaio.
Le capacità politiche del nuovo condottiero del centro (ma in realtà destra destra) sono indiscutibili. Si presenta come uomo del fare, del successo, della ricchezza, della decisione. Per la prima volta sindaco ha sbaragliato la sinistra serenissima (stucchevolmente ingessata) con il papà poeta operaio, la pallacanestro, l’azienda che dà lavoro.
Se non un Berlusconi due punto zero (come si dice delle versioni dei programmi da elaboratori elettronici) almeno uno punto sette, o anche nove.
Al contrario del Papi che punta sempre ad essere elegante (anche nelle cene; al limite stravagante con la bandana), non ha remore a mostrarsi gretto e arrogante, bassamente popolare e trivialmente vittimista quando gli conviene. Incarnazione del neoliberismo puro (ha fondato il suo impero locale vendendo il lavoro degli altri); è anche uomo vincente di sport e tifoseria (calcio e basket, e scusate se è poco); governa la città con l’abile cattiveria del seminatore inconsapevole di zizzania (il comitato No Grandi Navi aggredito dai facchini del porto; i dipendenti ACTV picchiati dai passeggeri). Tutte cose che piacciono tantissimo agli elettori italiani. Che gli hanno assicurato una duplice vittoria amministrativa e potrebbero facilmente farlo salire almeno a un ministero in un futuro governo.
Ma è permalosissimo (è ancora incazzato con i veneziani del centro storico perché non lo hanno votato) e soprattutto vuole comandare solo lui. Sviluppiamo l’affermazione: i suoi possibili alleati (passati presenti e futuri, a Venezia e in Italia) fanno e faranno (devono farlo) quello che decide lui. Non ciò che essi pensano di fare. Il che esclude alleanze con gli altri condottieri del centro, che sono già così com’egli è. C’è stata una cena a Venezia con Renzi, alla fine di maggio, e sebbene risulti alle cronache che sia stata molto amichevole, forse stavano solo annusandosi a vicenda. Sembra difficile che uno dei due si faccia comandare dall’altro.
Intanto il suo nuovo partito ha gettato nello scompiglio gli alleati locali (tanti non capiscono ancora da che parte stare: vincerà? non vincerà? e se mi espongo e poi lui perde?) e il quadro politico nazionale.
L’astuta creazione di un gruppo parlamentare prima di presentarsi alle elezioni è stata una delle tante mosse sagaci di uno stile molto alla mano: «li ho fregati, tra virgolette — ha dichiarato alla stampa — siamo partiti a fare il gruppo, quindi abbiamo il diritto a presentarci alle elezioni».
In quel momento Berlusconi era sembrato fuori combattimento, piegato dall’età e dal covid (ma forse era solo per fare manca al processo Ruby ter) e l’unico rimasto in grado di difendere il territorio elettorale di Forza Italia dall’espansionismo fucsia sembrava essere Renato Brunetta, che con gli anni è sempre più moderato (o sono gli altri ad essere sempre più estremisti) e da veneziano del centro storico, figlio di un ambulante di gondolete, professore universitario, pluriministro (e anche bravo a scrivere) è il arcinemico congenito del sindaco.
Ma ecco che Berlusconi ha ripreso forze animo e inventiva, e propone da giorni un partito unito con Lega e Fratelli d’Italia, ma senza Coraggio Italia (anche se Salvini, tanto per fargli dispetto, ha subito aperto anche a loro). Con l’intuito politico che lo caratterizza, il Papi ancora una volta sfrutta le debolezze degli altri per aumentare la propria forza. Matteo Salvini è ormai uno zombie politico: pericolosissimo, ancora fortissimo, sicuramente in grado di mordere e contagiare; ma assolutamente defunto, incapace di proporre qualcosa di nuovo nel suo inarrestabile rigor mortis. La supernova Giorgia Meloni è la stella abbagliante del nuovo risentimento nazionale, ma brilla troppo forte e troppo a destra (persino per l’indomito Papi, che la tratta con le molle) e non si sa per quanto durerà tutto questo fulgore. Entrambi hanno bisogno di Berlusconi per combinare qualcosa. Ed egli ha bisogno di loro per eliminare la piccola ma insidiosa minaccia dalla terraferma veneziana.
Ma come si diceva un tempo: la fortuna aiuta gli audaci. Solo che ce ne sono già tanti…