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Elezioni

La fuffa del fare

Svelato l’inganno mentale dei facitori

Luca Colferai

Trent’anni fa, quando non a torto era molto di moda l’idea che i politici fossero degli inani parolai, avvampò la smania del nuovo: dell’uomo che fa (singolare) al posto degli uomini che parlano (plurale). Un abbaglio ancora potente che attira milioni di elettori in buona fede. E che viene inevitabilmente ancora propalato dalla giunta uscente veneziana. Sveliamo il trucco dietro la magia del fare.

VENEZIA — L’abbaglio: dentro al partito del fare non solo c’è tutta la retorica stantia e travisata (da liceali degli ultimi banchi) dell’homo faber rinascimentale, ma anche la spinta testosteronica dell’imprenditore da capannone e furgone, la disperazione autogiustificativa del collaboratore espulso nelle partite iva, l’allucinazione generazionale del pensionato, il travisamento funzionale del commerciante, dell’esercente, del fornitore di servizi.

La fuffa: buffamente quasi tutti gli uomini del fare che si sono proposti nei decenni alla guida di Paese e paesi non hanno mai fatto nulla tranne affari, ma hanno sempre parlato tanto: soprattutto di come si sono fatti da soli.

Alla base del bidone: ci caschiamo tutti. Una parte del trucco è terra terra, come diceva la maestra delle elementari, l’uso del verbo fare. Talmente usato, nella pochezza degli orizzonti mentali della vita quotidiana, che serve a tutto: faccio quello che voglio; ti faccio una torta; ma anche un culo così.

Dal fare le cose, ci si è allargati a fare i fatti. Soprattutto perché, come diceva la maestra, non si usano le parole giuste: preparare una torta, scrivere un articolo, cucire un vestito. La confusione, come sempre, è dentro la testa.

Un banale inganno: è un verbo così utile che persino gli artisti, invece di creare, fanno arte. In questo senso, nel senso globale per pigrizia quotidianamente dato al verbo fare, tutti facciamo: traduciamo un pensiero in azione. E a furia di fare, i facitori si sono messi a fare politica, riducendola ai limiti del fare. Ecco fatto.

Purtroppo per loro, ma soprattutto purtroppo per noi, la politica non è fare. Non c’è niente da fare. La politica è pensare, immaginare, parlare, comunicare, convincere, disputare, litigare: idee e non cose.

Quando si tratta poi di governare, amministrare: si studia, s’immagina, si cerca di prevedere, per il bene dell’intera comunità; e si dispone che altri, alla bisogna esistenti, traducano in azioni fatti e cose le idee decise dagli amministratori al governo: che facciano quello che si è deciso di fare.

Un bel guaio: gli uomini del fare non hanno tempo per pensare, perché devono fare. Gli uomini del fare non possono governare, perché devono fare (spesso i propri affari). Quando si ha troppo da fare, non si riesce a fare nulla.

 

Immagine rimossa.Luca Colferai è candidato come consigliere comunale nel Partito Socialista Italiano per la lista Venezia è Tua che sostiene il candidato di centro-sinistra Pier Paolo Baretta: «Che dopo non venga fuori che non lo sapevate. Potete anche non votarmi, anche se sarebbe meglio di sì».

 

 

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