Gavemo el Castrà
Ricette per la ricorrenza della Madonna della Salute
Ultima festa veramente veneziana, e sentitamente religiosa, la Madonna della Salute ha anche una forte tradizione gastronomica: la castradina, piatto grandissimo di potenza, sapori, storia, leggende e nostalgia. Ecco alcune ricette e un panegirico al limite dell’insensato. Più una filmina alquanto antica con alcune spiegazioni che comunque sono sempre le stesse da secoli anche se per alcuni potrebbero essere delle novità.
VENEZIA — Per una bizzarra coincidenza di motivi, l’unica città al mondo che non può avere né mai ha posseduto allevamenti di ovini, bovini, suini, od equini (almeno rimanendo fuori di metafora) è anche l’unica città (almeno rimanendo in quel che resta del mondo occidentale) a conservare orgogliosamente l’uso della carne di montone castrato (almeno per un giorno all’anno). Gli almeno sono d’obbligo, almeno.
A Venezia montone si dice moltòn e per l’abitudine che questi animali quadrupedi hanno di dar di cozzo l’uno contro l’altro con il capo all’uopo guarnito di fortissime corna a bovolo, si è esteso il significato ad indicare anche quegli individui che per particolare e personale inclinazione cozzano violentemente d’attorno con il capo sulle cose e anche contro gli avvenimenti della vita; ciò essi fanno approfittando della rude durezza delle loro teste e per questo sono venezianamente chiamati: moltòni. Da cui il famoso modo di dire: ara che moltòn che ti xè!
Fino a metà dell’Ottocento gli europei presi globalmente e anche singolarmente consideravano la carne di montone e soprattutto di castrato un’ottima base per splendidi piatti di carne. In Inghilterra c’era anche una filastrocca per indicare le continue trasformazioni del montone (anche castrato) preparato al forno la domenica e poi trasformato lungo tutti i giorni della settimana fino al pasticcio del sabato sera. La filastrocca ve la risparmio. Cosa avvenne dalla metà dell’Ottocento è sulla tavola di tutti: prima ai banchetti dei gourmet (che almeno avevano la buona ragione del primato e del lusso) e poi via via giù per gli strati sottili della società borghese europea dilagarono polli e vitelli teneri e belli addomesticando i palati a regimi gustativi incompatibili con la maschia potenza delle carni di montone e del castrà. Oggi, sotto la spinta inarrestabile dei cibi di massa da una parte e dei cibi d’isteria dall’altra, pare difficile prevedere un Ritorno del Montone. Mentre di moltòni ne restano in giro tantissimi.
Tutto ciò per non ripetere ancora una volta le anticaglie che legano la castradina alla festa della Madonna della Salute (e la Croazia, e la Peste Nera, e il Doge, e tutte cose così che trovate ad nauseam ovunque).
Solo a Venezia rimane così la possibilità di tornare indietro nel tempo e provare l’aromatica potenza del castrato, nella preparazione appunto detta castradina, di cui vi diamo improcrastinabilmente la ricetta copiata pari pari dalla bibbia della cucina novecentesca veneziana, ad opera dell’impareggiabile Giuseppe Maffioli, dalla cui lettura potrete riempire ogni vostra curiosità e prendere spunti culinari inesauribili. E questo per evitare discussioni. Sottolineiamo qui e ripetiamo (ancora una volta) che proprio la Compagnia de Calza «I Antichi» ha ridato vita e visibilità e gradimento alla tradizione della castradina, ripristinando i fasti culinari in una disfida gastronomica (la tradizionale Disfida della Castradina (anche detta del Castrà, con chiara e voluta allusione): competizione per la migliore preparazione a base di castrato, a volte pubblica a volte privata,che sarebbe giunta quest’anno alla trentanovesima edizione ma che per dei motivi incoercibili non si terrà e verrà rinviata, speriamo, al 2021.
Non vi lascerò però prima della descrizione (del tutto fuori luogo) che il cuoco seicentesco Bartolomeo Stefani fa nel suo libro L’arte di ben cucinare, et ben instruire i men periti in questa lodevole professione del 1662: «Deve il Castrato essere allevato in ottimi pascoli, delle sue carni se ne fanno diverse vivande, in particolare de’ duoi coscetti, o cigotti, come dicono altri. Approvo la cottura di questi nella seguente maniera, prima siano detti coscetti ben bastonati, insproccati con aglio, stecchi di garofani, e canella, messi nello spiedo, cotti a fuoco lento, si possono servire caldi, e freddi come il gusto. Si cuoce in altra maniera, cioè: si piglia il coscetto del castrato ben battuto, levandovi tutta la pellicola di sopra, si che rimanda totalmente scorticato, pigliando angiove, overo alici, lardandolo tutto minutamente, insproccandolo con stecchi di garofani, e canella, lo metterai nello spiedo, facendolo cuocere a fuoco lento, spesse volte ontandolo con strutto, overo butiro, e se gustasse, con oglio di Genova, o di Toscana; avertendo salarlo nel principio, e nel mezzo della cottura; nel fine farli una crostata di mostaccioli pesti, passati per setaccio, e così caldo, o freddo, riuscirà ottimo».
Oggi, oltre alla Compagnia de Calza «I Antichi», rimane strenuo difensore del montone, del castrato, e delle carni adulte di ovino in genere, solo Carlo il principe di Galles, che nel 2004 ha fondato, forse contaminato dal recupero veneziano, la Campagna per la Rinascita del Montone (Mutton Renaissance Campaign), tesa a riportare in auge il consumo almeno anglosassone di queste pregevoli carni.
da La cucina veneziana
di Giuseppe Maffioli
Padova, F. Muzzio, 1982
Castradina cole verze
Lasciare a bagno la castradina, secca e affumicata, per un giorno in acqua, prima bollente e poi tepida. Lavarla in molte acque, poi tagliarla a pezzi e porla sul fuoco come un comune bollito con gli aromi d’uso. Farla bollire per un’ora, lasciarla freddare e porla in luogo fresco (di solito la si mangia nel tardo autunno o in inverno). Dopo un giorno togliere il grasso che si sarà rappreso in superficie, e rimettere la pentola al Fuoco con le verdure del brodo tagliate in pezzettini minuti, e delle foglie di cavolo verzotto, abbondanti, tagliate a listarelle larghe due dita. Lasciar sobbollire sino a che la carne sia tenera e le verze siano cotte. Servire carne e verze col loro brodo insieme a crostini di pane.
Stufadin de castradina
Lavare e sobbollire la castradina come sopra, poi tagliarla a pezzi e Farla insaporire in un trito di cipolla, aglio, carota e prezzemolo con pancetta e olio. Taluno, al trito, aggiunge anche della salsa o del rosmarino, o entrambi, oppure per coprire un po’ il sapore forte di questo tipo di carne, aggiunge cannella e garofano. Rosolati che siano i pezzi di carne si irrorano d’acqua o di vino bianco o rosso, si sistemano di sale e di pepe, e si portano a cottura. Originariamente il piatto non contemplava l’aggiunta di salsa di pomodoro, che poi invece s’è aggiunta. Si serve con polenta.
Castrà in umido (cavroman)
Esattamente come sopra, ponendo tuttavia il castrato, o il cosciotto di castrato fresco, sul battuto, facendovelo rosolare, e poi irrorandolo di vino. Aggiungere un po’ d’acqua durante la cottura, che deve essere assolutamente in bianco. Col sugo di questo castrato si condiscono gli gnocchi alla veneziana, o quelli di patate o quelli di pane, il giorno di san Micel.
Risi cola castradina (da Il Campiello di Carlo Goldoni)
La castradina era carne di castrato in genere, ma a Venezia si in tendeva particolarmente quella di castrato della Dalmazia o dell’Albania, salata ed affumicata. Si dissalava mettendola a bagno in acqua calda, lavandola ripetutamente, e poi la si preparava come un normale guazzetto (spezzatino) con soffritto di base di pancetta, cipolla, aglio ed erbe aromatiche, irrorato con vino, e, più tardi, anche con salsa di pomodoro. Mancando il vino si usava l’aceto. Analogo alla castradina, ma di bestia di maggior mole, era il cavroman. I fondi di questi due stufatini, tagliati a pezzetti minuti, servivano come base sia per i risi rabaltai cola castradina, che per i risi in cavroman.
Si faceva insaporire il riso nel fondo dello stufatino, arricchendolo magari con un nuovo soffritto, e poi si aggiungeva poco per volta del brodo bollente, sino a cottura completa ed a consistenza all’onda. Il sa pore intenso sia della castradina che del cavroman veniva mitigato, da chi poteva permetterselo, da qualche pizzico di spezie commiste, e da pepe.