A furia di dai e dai

Le reti sociali diventano giornali

L’irrefrenabile frenesia dei presidenti super euforici mostra per effetto collaterale un grave problema di informazione mondiale: i responsabili delle reti sociali cominciano a diventare rudimentali editori e non più semplici osti. Sono costretti ad applicare forme elementari di controllo sulla pubblicazione dei contenuti.

Fino a qualche mese fa, i padroni delle reti sociali, arricchitisi spropositatamente sulle fandonie e sulle cattiverie, o sulle semplici idiozie, che milioni di decerebrati vomitano incessantemente nei loro canali, si dichiaravano sprezzantemente indifferenti, incolpevoli, ignari, dei contenuti pubblicati.

Come degli osti che spietatamente alcolizzano i propri clienti e li lasciano sfogare, che più si sfogano e più bevono, per anni (soprattutto Facebook) le reti sociali hanno ampliato il loro pubblico, e la loro influenza mediatica, cavalcando l’onda delle panzane e dell’odio.

Walter Matthau e Jack Lemmon in Prima Pagina (Front Page, 1974 regia di Billy Wilder).

Ma da quando i presidenti super euforici (il trio imbarazzante Trump, Bolsonaro, Johnson: già soprannominati Prozac Leaders per la loro entusiastica continua proclamazione che tutto va bene) hanno cominciato a tirare troppo la corda, i responsabili hanno cominciato a tappare loro la bocca.

Non solo: ma anche a tutti i seminatori di zizzania, odiatori incalliti, falsari incalliti, e bestie varie. Facebook e Twitter l’altro giorno hanno cancellato un messaggio del Plantigrado Biondo inneggiante alla superiore letalità dell’influenza rispetto al Covid-19, perché eccessivamente una boiata pazzesca.

E subito dopo Facebook ha annunciato la chiusura di tutto ciò che sia legato al movimento cospirazionista QAnon (sostenitori reciprocamente ammirati di Trump), anche su Instagram: persino le pagine prive di contenuti violenti se solo sono associate al movimento.

L’estremismo sconsiderato sta costringendo le reti sociali ad assumere sempre più un ruolo di controllo e, nei casi eccessivi, censura sui contenuti pubblicati. Non più solo sulle mammelle muliebri, anche di statue e quadri antichi, ma proprio sulle parole dementi.

Da un lato è un bel segno di responsabilità: almeno c’è un limite. Dall’altro pone una questione fondamentale: cosa stanno diventando le reti sociali? Se esiste un controllo razionale sulle cose pubblicate (no: questo non lo mettiamo, è troppo una cazzata) non è più un circolo di fessacchiotti ma un mezzo d’informazione.

Le domande rampollano: chi sono i controllori? a quale titolo controllano? che preparazione hanno per controllare? Sono censori o sono redattori? Sono burocrati o giornalisti?

Occorrerà pensarci, perché le reti sociali coinvolgono milioni e milioni di persone, e quasi tutti credono di essere in altro posto, leggere e vedere un’altra cosa, quasi sempre tutti credono di essere al bar.

 

A furia di dai e dai