Dopo le elezioni

Alcuni interessanti spunti sui risultati elettorali veneziani

Le elezioni amministrative si sono concluse con la vittoria totale della giunta uscente, che è uscita riconfermata negli uomini (quasi completamente), nelle direttive (inesistenti), nello spirito (esacerbato). Ma questo non è l’unico risultato delle urne. Ve ne sono molti altri, da analizzare con un po’ di attenzione.

Elezioni 2020

VENEZIA — Ci sono tanti aspetti interessanti, molti confermano la peculiarità del voto cittadino che si mostra diverso dalle tendenze nazionali, altri indicano dei lati debolissimi della società veneziana, alcuni, secondo noi, lasciano intravvedere un tragico futuro; altri (pochissimi) sono inaspettatamente positivi. Ma andiamo con ordine e anche un po’ alla rinfusa.

Prima di tutto però ricordiamo, come insopportabili cassandre, che non andrà tutto bene e il peggio è sempre dietro l’angolo. Che l’acqua alta e il coronavirus sono due nemici mortali per Venezia e che, come nei mesi e negli anni appena trascorsi, l’amministrazione uscente e riconfermata si è dimostrata assolutamente incapace di far fronte ai problemi quando erano gravi. E adesso sono gravissimi.

Marginalità politica nazionale. Venezia non serve a nessuno dei partiti nazionali, che non vi hanno speso il minimo interesse. D’altronde: se il capo dei ministri crede che l’acqua alta sia causata dalle piogge eccessive, non c’è da stupirsi se l’italiano medio (di cui sono espressione i politici) consideri in qualche modo importante una città di pietre ed acqua, dove si parla una lingua incomprensibile e gli usi i costumi, i riti i sistemi, sono ormai alieni. Venezia è all’ultimo posto in classifica dei luoghi politicamente interessanti per gli scontri elettorali nazionali.

Marginalità politica locale. Venezia centro storico, come il villaggio dei galli di Uderzo e Goscinny, resiste indomita alla modernità della terraferma e vota contro. Il sindaco, che non sa vincere, si è arrabbiato tantissimo, mostrando ancora una volta di che pasta umana è fatto. E nessuno degli assessori comunali risiede a Venezia città. Continua l’espulsione del centro da parte di una periferia che, per vari e a volte giustificati motivi, non ne sopporta neanche l’idea (se non quando fa comodo per i contributi monetari e il prestigio d’immagine).

Destra a picco. Il partito del sindaco ha cancellato i partiti di destra che lo appoggiano. Certo: qualche voto lo hanno preso anche loro, ma alcuni sono in caduta libera, alcuni confermano l’inadeguatezza della loro presenza politica con un ruolo assolutamente di secondo piano. Bene, benissimo per l’autocratico primo cittadino che non avrà da rispondere a nessuno della sua gestione. Bene anche un pochino per i cittadini, che non avranno partiti romani a controllare la città.

Effetto Governatore. Il divario tra i voti plebiscitari presi dal presidente del Veneto e quelli invece presi dal sindaco di Venezia è un interessante modo per capire come si possono vincere le elezioni anche in retromarcia, se c’è qualcuno che spinge avanti anche se di meno. La fortuna del sindaco è che Venezia non interessa al Governatore (e forse anche la fortuna dei veneziani).

Personalismi azzerati. Com’era prevedibile, risultati mica tanto confortanti (anzi) per i candidati che correvano da soli confidando (non capiamo come e neanche perché, conoscendo lo spirito critico e ingrato del popolo veneziano) di poter in qualche modo contrastare i due grossi schieramenti l’un contro l’altro in campo. Non è andata bene: non sono serviti nemmeno ad impedire al centrosinistra di vincere, né lo hanno aiutato a perdere. Magra consolazione: qualcuno è entrato in consiglio comunale.

Tragico futuro. A parte le dichiarazioni immediate che hanno subito dato il senso di come saranno gli anni a venire per il centro storico, e la composizione della giunta che rafforza la morsa della periferia sul centro (e il sindaco è anche e ancora assessore alla cultura), è soprattutto l’immaginario che preoccupa: l’euforia tecnocratica per il collaudo (fortunatamente) andato bene del Mose e l’impegno per il ripristino del turismo di massa nelle sue forme più orrende sono solo le prime conferme di una direzione che punta esclusivamente sul ripristino a tutti i costi dell’economia parassitaria e predatrice così com’era prima del 12 novembre 2019: tantissimi turisti, tantissimo spremuti, zitti tutti.

Incredibile nel centrosinistra. Hanno (abbiamo) perso ma non si sentono (sentiamo) sconfitti. A cominciare dal candidato che ha confermato la volontà di fare opposizione in consiglio comunale, tutti gli eletti (e tutti i non eletti e gli elettori pure) stanno preparandosi a un confronto lungo continuo e duro, costruttivo quando possibile. Uno spirito di continuità che non si è visto di frequente in passato: in alcuni casi (del centrosinistra) vincitori o sconfitti erano già stufi di impegnarsi il giorno dopo il voto.

Ancora più interessante: alcune delle liste collegate nel grande raggruppamento uscito perdente sono andate meglio di quello che pensavano (e sicuramente meglio di quanto siano andate consimili liste nel resto d’Italia), soprattutto in centro storico, e il giorno dopo il risultato invece di abbandonare la partita per ko tecnico sono pronti a ricominciare per recuperare il consenso che il sindaco ha perduto, e perderà ancor più nei prossimi mesi.

Gli unici ad essere furiosi. Sono i cittadini stranieri residenti a Venezia, che hanno scoperto, a pochi giorni dal voto, che avrebbero dovuto far domanda entro il 10 agosto per essere iscritti alle liste elettorali. Lo hanno saputo troppo tardi: sarà anche colpa loro che non si erano informati prima; sarà stato un abbaglio sbaglio di miope burocrazia anticipare così tanto e sotto ferragosto o sarà stata (come sparlano le malelingue) una marachella preterintenzionale; resta il fatto che alcune centinaia di cittadini che pagano le tasse e condividono con i gli altri cittadini gioie e dolori della città sono stati privati del diritto di votare. E questo non è per niente bello, comunque si voglia girare la frittata.

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