L’unico Prince
In memoria di Prince Rogers Nelson
noto con il nome d’arte di Prince
Accipicchia è morto Prince. Sì: è vero. Che roba. Non dovremmo scrivere quello che stiamo scrivendo, però non possiamo farne a meno. È stato, fu (purtroppo) il più trasgressivo, geniale, libertario, anarchico, insofferente, schivo e geniale artista della musica commerciale degli anni ottanta, novanta e duemila. Litigò persino con le compagnie dei dischi, e divenne il primo a vendere su internet. Era il più sexy di tutti. Era figo, e non era neanche gay. Per tutti coloro che hanno vissuto da giovani gli anni ottanta, e anche i novanta, è stato più importante di tutti gli altri.
COSMOPOLI – Abbiate pazienza. Siccome tutta la vita di Prince potete trovarla ovunque (non come i video che non è così facile) non scriveremo qui quanti dischi ha venduto, quando ha cominciato a suonare, quanti nomi ha cambiato, e via dicendo. Faremo solo un commosso omaggio ad un artista che, incredibile a pensarsi, era più vecchio dell’autore di queste righe.
Quando per la prima volta vidi in televisione &nbps;Purple Rain era il millenovecentoottantaquattro: un milione di anni fa. C’era questo ragazzino dentro una vasca da bagno, oppure con la moto viola, e vestito di viola (di viola, sottolineo) e la chitarra elettrica, e la vocina a volte acute, a volte roca, a volte da maschio, a volte anche no. A quel tempo non capivo l’inglese (anche adesso, ma faccio benissimo finta, anche di parlarlo) per cui il breve scarno testo era del tutto ininfluente. Ma c’era questo insistente, penetrante, ossessivo ritornello di chitarra e di voci, e di batteria, in una specie di crescendo orgasmico che poi non andava da nessuna parte.
Era cristallino, era ossessivo, era entusiasmante. Era assolutamente diverso.
Alla tv lo passavano decine di volte al giorno, e a quell’epoca visto che fingevo di studiare all’università, era irresistibile guardarlo. Cioè voglio dire. Per esempio: c’era Michael Jackson, c’era Stevie Wonder. Ma santo cielo: nessuno dotato di un minimo di senso dell’amor proprio poteva ascoltare quei due (e anche gli altri, per la verità, tipo Lionel Richie) senza sentirsi sinceramente in imbarazzo.
Il Principe no, invece. Ascoltare il Principe non era affatto imbarazzante, era nuovo, era veramente figo. Il Principe aveva un gruppo che si chiamava Rivoluzione. E lo era sul serio. E poi aveva, come dire, una corte di donne dalla bellezza impossibile (con nomi ormonali, uno per tutti: Apollonia), artiste stupende, che suonavano con lui, cantavano con lui, e altre cose ancora.
Il Principe era quello che avrebbe voluto essere Kid Creole (and the Coconuts) se non fosse stato così tamarro. Il Principe era quello che avrebbe potuto essere Michael Jackson se non fosse stato così fuori di testa. Il Principe era quello che avrebbe potuto essere Jimi Hendrix se non si fosse drogato così tanto. Il Principe era quello che sarebbe stato David Bowie in un universo parallelo.
Il Principe era unico. Per esempio, quando nel 1985 fecero quella patetica ruffianata del We Are the World con tutti i vecchi e nuovi babbioni della musica commerciale a cantare per ripulirsi la coscienza dei problemi africani: lui non c’era.
Avrà avuto le sue ragioni. Come per litigare con le compagnie dei dischi che volevano a tutti i costi fargli fare i dischi che volevano loro e lui invece no. Al contrario di altri, che gli è venuto l’esaurimento nervoso e poi sono anche totalmente andati fuori di testa: il Principe si mise a vendere i dischi da solo e si cambiò nome (due o tre volte) così potevano fare a meno dei contratti.
Comunque il Principe ti colpiva sempre. Quando meno te lo aspettavi. Per esempio nel novantuno, un altro milione di anni fa, e un milione di anni dopo &nbps;Purple Rain eccolo che ritorna con &nbps;Cream. Come se fosse passata una settimana. Che dire: eccolo là. Con la chitarrina che sembra modellata dall’intagliatore pazzo delle cornicette del &nbps;Carosello, e tutte quelle cantanti, e tutte quelle ballerine, e tutte quelle posizioni, e perfino il batterista grossissimo con il cappello da capitano da mar (ma questo di sicuro non lo sapevano: né il batterista né Prince). E con tutti quegli assoli allusivi.
E là si capisce che si può essere glamour, e tantissimo: principescamente glamour. Sempre Prince.★