Animaletti educati
Vi ricordate quel mondo di favole? C’è la cicala che canta tutta l’estate, la lepre addormentata, la volpe acerba e incendiaria che è quella del formaggio, e ci sono il topo di campagna e il topo di città, e il leone, e la tartaruga, e il cervo impigliato per le corna, e c’è l’uccellino, e l’asino selvatico, e il pipistrello. E poi la cornacchia superba e il pavone, le rane che chiedono un re, l’aquila la gatta e la scrofa selvaggia; e ancora il lupo e l’agnello inferior stabat agnus, superior longeque lupus, e lo scorpione che «è nella mia natura», c’è un animale nella luna, il topo catturato dall’ostrica.
E poi c’è l’occhio del padrone, le orecchie della lepre, la testa e la coda del serpente; c’è la gallina dalle uova d’oro, ci sono il vaso di terra e il vaso di ferro; e poi la montagna che partorisce, il topo eremita e il topo cambiato in ragazza; il vecchio e i tre giovinetti, la vecchia e la giovane amanti d’un uomo di mezza età.
È il mondo semplice e arguto della virtù delle favole, condito dai vantaggi del sapere. Cominciò il mitico Esopo nel lontanissimo sesto secolo prima avanti Cristo, continuò l’umile Fedro, giunto a Roma come schiavo trace, a cavallo dell’anno zero (vent’anni di là e cinquanta di qua), le raffinò il colto francesissimo Jean de La Fontaine, sovrintendente alle acque e alle foreste, che visse per gran parte del Seicento. Ci si è cimentato persino Rudyard Kipling, lo scrittore otto novecentesco anglosassone nato in India premio nobel, con le sue gobbe di cammelli e balene, le macchie del leopardo, gli armadilli, l’elefantino curioso e il granchio giocherellone. Il leone e la gazzella che corrono come pazzi per la savana non sono suoi: li ha inventati un saccente pennivendolo statunitense e il vulgata imbecille erroneamente glieli attribuisce. Invece il vitello dai piedi di balsa è di Elio e le Storie Tese.
In mezzo, nei lunghi buchi temporali tra un turbine di favole e l’altro, schiere indomite di raccoglitori, divulgatori, traduttori, diedero enorme diffusione a questo mondo incantato. Nell’antichità e nel medioevo, nell’età moderna e sicuramente fino agli anni settanta del secolo scorso, sterminate moltitudini di scolari hanno mandato a memoria infinite favolette esopiane fedriane lafontaniane, in latino e in volgare. L’intento dichiarato dei maestri e delle maestre è sempre stato educare a una sana moralità sociale mentre si insegnano i rudimenti di qualcosa qualsiasi (la lingua latina, la grammatica, l’aritmetica, l’etologia, il francese, l’educazione sessuale).
Insomma, tutti (almeno quelli che hanno più di quarant’anni oggi) abbiamo studiato (o avremmo dovuto farlo) o Esopo, o Fedro, o La Fontaine, o Kipling; e tutti prima di noi, dai secoli bui dell’evo medio su su per le sorti meravigliose e progressive del presente prossimo. Dal sesto secolo avanti Cristo fino al ventesimo.
Il principio olimpico della bisaccia davanti e della bisaccia didietro, evangelizzato nella trave e nella pagliuzza, inculcato nelle menti duttili dei bimbi di tutti i tempi occidentali capillarmente: in massa ed individualmente, nei secoli.
È servito a qualcosa? Sembra proprio di no.
Sui banchi delle elementari, con il calamaio la gomma per cancellare e le orecchie sul quaderno, avranno sicuramente studiato a memoria le stesse favolette anche Adolfo Hitler e Napoleone Bonaparte e Giuseppe Stalin, forse anche Mao (qualcosa di simile almeno), e tutti gli altri più o meno grandi ma sempre cattivissimi autori di grandi e piccole orribili catastrofi umane, compresi gli squali della finanza, i politici corrotti o imbelli o cialtroni, i banchieri irreprensibilmente irresponsabili, i conduttori televisivi di programmi indecenti, il tabaccaio di un’altra città che vi dà in resto una vecchia moneta di cinquecento lire invece di due euro. ★