Tra Venezia e Varsavia
Sogno e realtà in Corte Polacca di Sebastiano Giorgi
L’ultima (in senso cronologico) opera di Sebastiano Giorgi, artista giornalista, aborigeno veneziano in prestito a Varsavia, è un libro onirico politico che si legge con grande piacere. Scritto molto bene si fa perdonare (per il vostro amato critico, magari per voi no) alcune digressioni informative di forte sapore saggistico, a volte comunque molto utili.
VENEZIA — È un libro onirico perché la narrazione è incardinata su un lungo bizzarro delizioso sogno, una specie di infundibolo cronosinclastico¹, che tiene unito il presente, il passato e anche il futuro del racconto lungo o romanzo breve del nostro caro autore. Il protagonista (non vi dirò come) cade nel suo passato preferito (non vi dirò quando) per incontrare i suoi personaggi storici più amati (e non vi dirò quali). È il punto di svolta narrativa dell’opera che illumina in avanti e all’indietro tutto il libro e che dà molta soddisfazione al lettore.
È un libro politico² perché parla sinceramente e anche duramente di due città: Venezia e Varsavia, delle loro diverse nature, indoli, storie. Di come i cittadini di ciascuna hanno affrontato le tragedie e le glorie della loro vita urbana, di come vivono il loro presente, di come s’immaginano il proprio futuro. Dei loro tentativi di indirizzare, governare, la propria casa comune. Il confronto e lo scontro tra Venezia e Varsavia, lo schizofrenico amore del protagonista per entrambe, la descrizione lucida e spietata di pregi e difetti, formano il fondamentale centro filosofico del libro.
Strutturato come un’antologia di epifanie³ diaristiche, alcune buffe, altre quotidiane, tutte raccontate con ironica potente sensibilità, il lungo racconto breve romanzo di Sebastiano Giorgi è altamente autobiografico e si muove incessantemente (furiosamente, per usare un avverbio che all’autore piace moltissimo) nella storia (passato presente e futuro) negli affetti (gli amici veneziani, la famiglia polacca) nella geografia (dalla Vistola al Canal Grande) tra realtà e fantasia. Beccatevi questa lunghissima citazione (l’unica che farò) di rotta onirica:
Ci sistemiamo su un paio di sdraio attorno a una basso tavolino semiaffondato sulla sabbia della riva della Vistola. Stasera la corrente del fiume, nella sua incessante discesa da sud a nord, è forte. Vedo un piccolo motoscafo ormeggiato sulla riva. E se ci salissi sopra e navigassi senza sosta uscendo nel Mar Baltico, circumnavigando l’Europa del Nord fino ad entrare nello stretto di Gibilterra per poi puntare dritto al tacco salentino dell’Italia, superato il quale svolterei a sinistra e via su fino alla bocca di porto degli Alberoni? Entrato in laguna costeggerei Malamocco e poi prenderei il canale dell’Orfano che dall’isola di Poveglia porta su fino all’isola delle Grazie, lì andrei a sinistra arrivando dietro la Giudecca per poi attraversare il rio del Ponte Lungo, sbucare nel Canale della Giudecca e raggiungere l’agognata riva dirimpettaia delle Zattere, all’altezza della Chiesa dei Gesuati a due passi dall’Istituto Cavanis e dall’ex Maracanà dei veneziani. Oh, quando sento struggentemente vicina Venezia in questo momento.
Nel libro ci sono tantissimi personaggi, veri e immaginari. Per non far torto a nessuno e per non rovinare la sorpresa ai lettori, non ne citerò nemmeno uno.
Corte Polacca, Avventure oniriche tra Venezia e Varsavia, edito da Wydawnictwo Austeria uscirà anche in polacco. È definitivamente un libro da leggere: scorrevole, veloce, divertente, impegnato, ironico, sensbile, filosofico. I lettori veneziani troveranno spunti per condannare definitivamente e a ragione decenni di presuntuosi incapaci al governo della città e per riprendere forze e orizzonti; i lettori varsaviani un antidoto all’ubriacatura di superficiale modernità occidentale da cui sono afflitti e uno scorcio d’altra antica cultura. Entrambi ambedue imparare cose che non sanno sull’altrui città.
Come per esempio che Stanislao II Augusto Poniatowski, ultimo re di Polonia e granduca di Lituania della Confederazione delle Due Nazioni, eroe amatissimo del protagonista, parlava e scriveva anche veneziano.
La corte Polacca esiste davvero: la trovate in Via Garibaldi, quasi all’inizio. Nel libro è spiegato tutto, ovviamente.
Ma visto che questo articolo è è una critica letteraria e non una servile propaganda ecco due maligne osservazioni. Uno: il pianeta Terra si scrive con la maiuscola, sia quando è accompagnato da pianeta, sia da solo, sennò in italiano sembra terra (come terra e acqua). Due: sarebbe stato meglio se il protagonista fosse rimasto Sebagiorgi completo in tutto il suo folle furioso vigore, non un Sebagiorgi travisato in versione minore e petulante. Oppure un eroe completamente diverso ma ugualmente potente come l’autore: sinceramente i protagonisti sfigati per finta sono per il critico ormai uno stereotipo insopportabile e purtroppo Francesco/Checco lo è.
Compratelo: farete contenti l’autore e l’editore che così troveranno gratificazione alle loro fatiche (non serve che lo leggiate). Leggetelo: farete contento il critico che così non avrà scritto invano (non serve che lo compriate).
Corte Polacca
Sebastiano Giorgi
Edito da Austeria (Cracovia-Budapest-Siracusa), luglio 2023
Copertina Guido Fuga
Prefazione Alessandro Baldacci
Pag. 210
Acquisto online (14 eu / 63 zl): www.austeria.it / www.austeria.pl
Note al testo
1. «Crono significa tempo. Sinclastico significa incurvato dalla stessa parte in tutte le direzioni, come la buccia di un’arancia. Infundibulum è il nome che gli antichi romani davano all’imbuto. Se non sai cos’è un imbuto, fattene mostrare uno dalla Mamma.»
(K. Vonnegut, Le sirene di Titano, 1959; traduzione di Vincenzo Mantovani, Feltrinelli, Milano 2006.)
2. Politica deriva dall’aggettivo greco πολιτικός, a sua volta derivato da πόλις, città. Era il termine in uso per designare ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, dunque allo Stato (πόλις) e al cittadino (πολίτης). Centro e insieme oggetto della p. è la πόλις, la vita nella città e della città; τά πολιτικά è l’espressione che indica, in generale, le questioni politiche.
https://www.treccani.it/enciclopedia/politica_%28Dizionario-di-filosofia%29/
3. L’insopportabilmente presuntuosissimo James Joyce così descrive l’epifania mettendola in bocca al suo personaggio più presuntuosamente insopportabile, Stephen Dedalus: «Questa banale scenetta lo fece pensare alla possibilità di raccogliere insieme molti di quei momenti in un libro di epifanie. Per epifania intendeva Stephen un’improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso o in un gesto o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura, considerando che erano attimi delicati ed evanescenti…» J. Joyce, Stephen Hero (1944) postumo. Stefano eroe, Mondadori, 1950, volume XXVI della collana «Il ponte», 302 pagine con 8 illustrazioni di Luigi Broggini.