La formula magica dello stile Zoppè
Un circo tradizionale ma tutto innovativo
Tradizione e innovazione: curato nei minimi particolari, pensato come una storia, preparato come un viaggio nel tempo, nello spazio e nella fantasia, affilato giorno dopo giorno con esperienza, dedizione e intuizione, il Carnevale di Venezia di Giovanni Zoppè e della sua grande famiglia è pronto a conquistare il pubblico statunitense.
FRASER COLORADO USA — Lo show si sistema sempre più. È il vantaggio di aver tre repliche al giorno nei fine settimana: si scoprono pregi e difetti. Ci sono tempi da stringere: all’inizio (nell’immaginaria Piazza San Marco in cui Arlecchino scatena il Carnevale); un paio di numeri nel seguito; l’uscita del finale. Ma tutto si aggiusta.
Il pubblico continua a riempire gli spalti. Che sono delle semplici tavole di legno, legate alla struttura di sostegno con corde rosse, dipinte in bianco per la seduta e in rosso per l’appoggio dei piedi. Tutto nel Circo Zoppè è vecchio stile, old fashion, à l’ancienne. Gli applausi tutti in piedi si ripetono alla fine di ogni spettacolo. All’uscita, gli artisti in linea ai lati del Ponte Rompipalle salutano gli spettatori uno per uno, e i complimenti sono tanti e sinceri.
«Non hanno mai visto uno spettacolo come questo — dice Gimmi Fornaciari, il tenore verticalista originario di Verona, da anni negli USA — qui sono abituati alle solite cose: moto, animali, effetti speciali, casino mostruoso: ogni tanto fracassano oggetti, così tanto per fare scena. Poi alla fine entra l’elefante, sventola la bandiera stelle e strisce con la proboscide, tutti in piedi, inchino dell’elefante. Fine. Non c’è una storia, un’idea completa. Solo un numero dietro l’altro. Sempre la stessa cosa da quarant’anni».
«Se vi è piaciuto il nostro show — annuncia Giovanni Zoppè al microfono dal retroscena, alla fine dell’intervallo tra la prima e la seconda parte — appena tornate a casa ditelo a tutti i vostri amici, ai vostri vicini, scrivete sui social, telefonate, mandate email, messaggini, uozap, lettere postali, segnali di fumo, dite che vengano a vederci anche loro. Se invece lo spettacolo non vi è piaciuto, per favore: non dite niente a nessuno!»
Funziona. In questo enorme paese dove viaggiare in auto per dodici ore di seguito (tutta una tirata) è considerato normale, un viaggio di un’ora o due è niente, pur di vedere il Circo Zoppè. Infatti: secondo l’ultimo censimento, la popolazione residente di Fraser è di millequattrocentro persone: quattro-cinque repliche. Tutti gli altri devono per forza venire da fuori.
Cena sociale
Domenica sera niente ultimo show del «pacco da sei»: tutti al ristorante nel vicino Winter Park (Parco d’Inverno). Località sciistica che d’estate non dice nulla (Fraser ancora meno). Cucina alla creola della Lousiana, il Vostro Amato Priore ha ordinato un Chicken Toulouse (Pollo alla Tolosana; voto: bene bravo sette più) tre birre ambrate produzione locale (voto: dal sei a sette). Come entrée: anelli di calamari fritti in pastella croccante salata con salse: rosa, remoulade, sriracha (voto: bene bravo sette più). Tutti gli artisti vestiti fighissimi. Primi classificati: gentlemen: Giovanni Zoppè (tuxedo, camicia texana bianca e nera); ladies: Jeannette Prince Zoppè (blusa e cappello viola); young ladies: Chiara Zoppè Meyer (jeans a toppe verticali, top in seta verde, mantellina in filato grezzo multicolore); young gentlemen: a pari merito Aurelius Lukas, Jai Riley, Argenis Ortiz (nero integrale: camicie a sbuffo, pantaloni attillati, capelli lunghissimi, argenteria inox assortita, occhi bistrati per tutti); junior: Ilario Zoppè (frac nero su misura con rever in seta). Fuori classifica: Luca Colferai (all white Armani). Tra i tanti argomenti anche il futuro: «Ho un progetto che sto preparando da anni e devo assolutamente fare — dice Giovanni Zoppè — Blues Night: con un’orchestra jazz vera, ma proprio vera, di New Orleans, che suona dal vivo accompagnando tutti i numeri». (Bellissimo. Questa dichiarazione vale come primogenitura dell’idea: chi dovesse copiarla verrà accusato di plagio). Abbiamo finito a ora tarda (qui i ristoranti chiudono alle ventuno, le ventidue sono come l’una da noi) con sambuche a raffica.
Attività
Il circo non è solo il più grande spettacolo del mondo. È un impegno costante. A tempo pieno. Esibizioni e prove sono solo una parte del lavoro. Montare e smontare lo chapiteau; disporre, montare e smontare, riporre le attrezzerie prima durante e dopo lo spettacolo; assistere gli altri artisti durante i numeri; assistere il pubblico; preparare e vendere bevande, cibarie, giochi e souvenir; pulire tutto prima e dopo ogni spettacolo. Propaganda, pubblicità, prevendita e vendita dei biglietti. Un’attività incessante.
E stare sempre all’erta.
Sul vasto Altopiano del Colorado l’escursione termica è notevole: ventisette gradi mezzogiorno, anche sei prima dell’alba. Passano enormi nuvoli neri, soffiano raffiche improvvise, cadono scrosci violenti, tuona e lampeggia anche senza pioggia. Sabato imprevista e grande sventolata da paura all’inizio del secondo spettacolo, giusto appena finita la Commedia dell’Arte sul palchetto all’aperto (per fortuna). Entra il pubblico, ma sotto il tendone è peggio che fuori. Il vento, molto forte, penetra dritto l’ingresso. Polverone mostruoso. Il tendone si gonfia, i teloni di gomma pesante sbattono, i cavi in tensione sibilano e schioccano. Per precauzione: tutti fuori. Per fortuna dopo un minuto il vento ha già girato e si è fiaccato. «Forse sono stato precipitoso» dice Giovanni Zoppè a fine serata. «Ma l’anno scorso il vento, con una pioggia intensa, per poco non si portava via lo chapiteau. È questione di secondi: salta un picchetto, pop! Ne salta un secondo: pop pop pop! Tre quattro: metà, tutti! Vengono via uno dopo l’altro. Ed è finita. Vola via lo chapiteau e buonanotte. Può facilmente morire qualcuno. Troppo rischio.
A scuola di circo
C’è poi il Circus Camp: la scuola di circo per ragazze e ragazzi. «È importante per rinforzare i rapporti con le comunità dove ci spostiamo — dice Zoppè — e con il cuore del pubblico». Per gli insegnati è una retribuzione in più, ma sono pur sempre ore accessorie di lavoro (dalle nove alle quindici) anche nel giorno di riposo. Oggi lunedì ventiquattro alunni in quattro postazioni. Funanbolismo alla sbarra e alla corda (a pochi centimetri da terra) con Lukas e Isabella; equilibrismo sul rullo e sulla palla con Chiara e Jai; capriole e ruote al tappeto con Mia, Thomas, Martin e Renson; giocoleria con Patrick; Jeanette all’accoglienza.
Si continua così fino all’ultimo di luglio. E subito: smonta e rimonta. Il 4 agosto seconda tappa, Wheat Ridge, sempre in Colorado, a un centinaio di chilometri di distanza verso oriente. Giovanni Zoppè sposta il suo circo verso le piazze a cui si sente legato: per la sua storia personale e quella della famiglia.
Spigolature circensi
Chi aggiusta gli impianti idraulici dei caravan? E i tetti? Un tubo del trailer di Giovanni ha una perdita: se si apre il rubinetto centrale si allaga tutto il pavimento. Bisogna tenerlo chiuso. Per fortuna ne hanno due, ma bisogna trafficare con taniche e bottiglioni. Esiste un idraulico per roulotte? Toccherà farlo a Giovanni, ma quando? Nel furgone laboratorio rifugio di Patrick piove dentro dal soffitto: dove sarà la falla? E quando troverà il momento per tapparla?
Il numero di Geppetto e Pinocchio (German Rodogell nel ruolo del mastro falegname e sua figlia Robyn come burattino birichino) funziona alla grande. Tecnicamente un rag doll (bambola di pezza) sfrutta l’equivoco tra essere umano e manichino, favorito da costume incalzato dalla snodabilità dell’acrobata. (Volessi stracciarla, potrei scrivere di bias cognitivo, ma basta così). Così quando Robyn si toglie la maschera da Pinocchio, sempre qualcuno rimane colpito scoprendo che la bambola di pezza è invece una bambina in carne e ossa. Un attempato signore ha esclamato bello forte: «Shit!». Che è come dire: «Cazzo!».
Ossigeno
Fraser è a quasi tremila metri di altezza sul livello del mare. Non si direbbe, visto che ci vedono solo le cime dei monti (antichissimi peraltro e quindi alquanto consunti, smussati delle ere e coperti di foreste). Per la precisione sarebbero 2.613 metri, ma il mio corpo sessantenne di veneziano anfibio ne risente al minimo sforzo. Penso agli acrobati, ai salti mortali doppi e tripli, agli avvitamenti sul tappeto elastico di Braian e Argenis, alle Sorelle Zoppè e al loro numero appese alla lyra, alla pedalata di cinque interminabili minuti nel Velodromo della Morte… e mi sento subito senza fiato. Se pensate che soffro di vertigini anche in cima al ponte dell’Accademia e mi tocca camminare al centro, lontano dai parapetti: sto per svenire solo a scrivere queste righe.
Tempus fugit…
Si avvicina inesorabile il ritorno del Vostro Amato Prior Grando, autoctono veneziano, dall’Altopiano del Colorado all’arcipelago lagunare. Ieri sera (lunedì 24 luglio) è stato il mio ultimo spettacolo: oggi martedì giornata di riposo (in programma gita alle fonti termali), domani mercoledì partenza (Perché? No! Non voglio!).