Un anno passato invano
La gestione fallita dell’emergenza
Un anno è passato invano. Le misure di contenimento sempre più strette restano l’unica risposta del Paese alla pandemia. Dopo dodici mesi governatori, generali, ministri si trovano a ripetere l’emergenza: chiudete tutto, restate a casa. Scelte disperate di restrizione delle libertà individuali che avevano un senso all’inizio caotico della catastrofe, ma che ora dimostrano la totale inettitudine dei governanti nel governo della situazione.
Nessuna progettazione in dodici mesi. Solo l’attesa che le cose si risolvano da sole, che il contagio finisca da solo, come sempre succede: o prima o poi. I responsabili della nazione prendono le stesse misure che prendo io (che non governo nessuno, nemmeno me stesso): sto attento a non beccarmi il virus e spero che passi presto, perché non ne posso più; ogni tanto rischio, si sa com’è.
Solo che, nel frattempo, i responsabili del governo sociale condiscono la loro inazione di sicumera arrogante e faconda. S’inventano le primule e le app, fanno battute fuori luogo, inveiscono contro gli esperti, invocano misure drastiche per gli altri, si ergono a paladini di categorie minoritarie. Escludono di avere alcuna responsabilità. E alla fine invocano gli arresti domiciliari dell’intera popolazione come unica soluzione.
Saltato subito (cioè l’anno scorso) il tracciamento dei contagi, si è rinunciato a trovare una soluzione a questo fondamentale problema. Bloccata l’economia e la vita sociale, si è passati all’elemosina dei ristori e al contentino dello spritz al banco. Rivelatosi infine l’arma letale di distruzione di massa. Azzerata la vita culturale e fisica di una nazione, dopo dodici mesi non si è ancora dimostrato che la chiusura di cinema teatri musei e palestre abbia veramente fermato il contagio. Ma si continua a lottare sulla scuola, dove il contagio aumenta, ma ciò non ha importanza (dicono).
A tre mesi dall’inizio della campagna vaccinale, la percentuale di popolazione vaccinata avanza lumachevolmente e ci vorranno (oggi 6 marzo 2021) 1 anno, 6 mesi e 18 giorni per coprire il 70% della popolazione. Che, oltre tutto, è una soglia sbagliata: l’immunità di gregge (se esiste) si raggiunge con almeno il settanta per cento di immuni, non di vaccinati: per essere sicuri bisognerebbe raggiungere almeno l’ottanta per cento di inoculati. Ma per velocizzare le cose, almeno qui a Venezia, gli ultranovantenni potranno prenotarsi via posta elettronica a partire da lunedì. Poi, di settimana in settimana, un anno a settimana, a scalare a ritroso. Dieci settimane per arrivare a settant’anni.
I nuovi ministri pongono traguardi, prospettano soluzioni, avanzano ipotesi. Tutti tirano un sospiro di sollievo alla fine dello sproloquio: «Ma tanto non possiamo perché i vaccini non arrivano…». Eppure: di 499.200 dosi già in magazzino di vaccino Astrazeneca, in Italia ne sono state somministrate 96.621. Negli altri Paesi ancora meno. La scusa, in questo caso, è che fa venire la bua alle maestre, anche se costa euro 1,78 a puntura, contro i 18 di Moderna, i 12 di Pfizer; per esempio. E intanto anche i vaccini fanno politica e spuntano i marchettari della puntura alla russa.
Dopo dodici mesi si comincia a pensare di vedere come decidere di procedere con i vaccini. I resoconti delle riunioni ai vertici dello Stato sono tempestate di: «bisogna risolvere», «c’è la necessità», «avvieremo da subito», «partirà l’esplorazione». «A stretto giro», «già da domani», «il traguardo da raggiungere», Ma c’è bisogno comunque di «una regia unica», «un fondo di solidarietà», di «creare condizioni di semplificazione».
Dopo un anno. Passato invano.