Di chi sono le bandiere?
Due storie di emarginazione (e sopruso) da un capo all’altro del mondo
Gli aborigeni sono molto arrabbiati. Hanno rubato loro la bandiera, oppure anche no, visto che la bandiera della nazione aborigena l’ha inventata un artista grafico e l’ha protetta legalmente (e soprattutto economicamente) come prodotto della propria arte. Invece sono quasi inesistenti i veneziani che si arrabbiano perché una parte politica (pessima, tra l’altro, e non solo secondo noi) usa il simbolo del Leone di San Marco come se fosse proprio.
VENEZIA — Gli aborigeni vivono in Australia: un’isola enorme come un continente, piena di deserti. Si chiamano così perché stavano là prima che arrivassero gli europei (in prima buttata carcerati e carcerieri inglesi) e lì era originari e originati. I veneziani vivono a Venezia: un’isola minuscola, piena di canali. Si chiamano così perché abitano da sempre in città, in laguna, in terraferma: vi sono nati o lo sono diventati (venuti da ogni parte del mondo).
La bandiera aborigena è molto semplice e affascinante: al centro un cerchio giallo: il sole; in alto il nero: le persone; sotto il rosso: la terra australiana. È stata creata da Harold Thomas, artista e attivista aborigeno (del popolo Luritja nell’Australia Centrale) nato nel 1947: fu sventolata la prima volta il primo luglio del 1971 ad Adelaide, in Victoria Square, nel Giorno Nazionale Aborigeno (oggi Settimana), giornata da cui si è poi evoluta la NAIDOC Week (sigla orrendamente intraducibile). E fu un grandissimo successo.
Con grandissima soddisfazione dell’artista che l’ha inventata e che ne ha sempre rivendicato la proprietà intellettuale (non l’ha regalata a nessuno). Per il pieno diritto d’autore sulla bandiera ha combattuto una lunga battaglia legale negli anni Novanta. Poi ne ha concesso la riproduzione a diverse società. Nel 2018 ha firmato infine un accordo con la WAM Clothing, un’azienda australiana non aborigena di abbigliamento e accessori, cedendo i diritti globali esclusivi per l’utilizzo della bandiera su abbigliamento, supporti fisici e supporti digitali.
Essendo proprietaria del simbolo, ed essendo una società a scopo di lucro, la WAM Clothing dal 2019 ha cominciato a ricordare a tutti quanti che devono pagare per riprodurre la bandiera, in qualsiasi modo vogliano usarla. Ovviamente si è scatenato un casino, prontamente sfruttato dai politici e dagli imprenditori locali che hanno mescolato le carte in tavola giocando sull’identità del popolo aborigeno per prendere voti o per continuare a usare la bandiera sui loro prodotti. Tutto legittimo e anche doveroso, però in fin dei conti la bandiera prima non c’era: l’artista l’ha inventata, è piaciuta a tutti e (sarà l’avidità, sarà il desiderio di una vecchiaia serena) ha preferito venderla che regalarla. Al contrario della Procuratoressa Trona, che invece non aveva problemi di capitale.
Invece la bandiera di Venezia, il Leone di San Marco con tutti i ghirigori giallo oro, le sue belle frange che fanno un effetto delizioso al vento, non l’ha firmata nessuno. Anche se l’avessero firmata (come per esempio Goffredo Mameli con la sua poesia) nessuno avrebbe protetto i diritti perché la protezione delle creazioni intellettuali è recente e un tempo non ci badava nessuno.
Resta il fatto però che è la bandiera di Venezia, con una storia ben precisa e con un popolo ben preciso, anche se in via di estinzione, e in teoria non dovrebbe usarla nessuno al di fuori dei cittadini di Venezia e dei loro amici e simpatizzanti. Il fatto che un defunto partito politico rocambolesco, picaresco e fantasioso avesse preso il gonfalone di San Marco come simbolo perché si rifaceva alla Serenissima Repubblica nell’ardimentoso desiderio del passato, già questo era perdonabile solo per l’intrinseca comicità dello schieramento. Quando fu invece sventolata assieme al simbolo da scuola elementare del fiore nel cerchio, assieme all’eroe in armatura di un passato ignoto ai veneziani: questo ecco dava tanto fastidio.
Ma adesso continua l’abuso del simbolo di Venezia, con un raccapricciante accostamento tra la destra di oggi e la nostra città; fino al punto che un narcisista incapace, seminatore di zizzania, diffusore di odio e divisioni, arriva ad indossare una mascherina con il Leone di San Marco per farsi pubblicità elettorale. «Questo proprio no» come diceva il delicatissimo Conte Emile Targhetta d’Audriffet de Greoux, veneziano d’adozione.
Eppure, per ignavia, per compiacenza, per servilismo, per ignoranza, tutti sono a favore della liberazione della bandiera aborigena, nessuno dice nulla per la nostra.