Il mondo dopo il Covid-19
Dall’analisi delle pandemie storiche un aiuto per la comprensione del futuro
Le pandemie portano grandi cambiamenti sociali. Fino a qualche mese fa era un pensiero riservato agli storici, e a qualche appassionato di catastrofi umane. A parte la peste medievale, nell’immaginario collettivo le epidemie mondiali e i loro effetti a lungo termine erano completamente dimenticate. Oggi guardare al passato è necessario per immaginare il nostro futuro.
COSMOPOLI — Persino la Spagnola di cento anni fa era cancellata nella memoria dall’enormità della Prima Guerra Mondiale, e come effetto della peste del Trecento i più colti ricordavano al limite Boccaccio e la sua allegra brigata di contastorie del Decamerone: di sicuro non i profondi mutamenti sociali ed economici che chiusero definitivamente il Medioevo.
Finora il Covid-19 ha prodotto o accelerato piccoli cambiamenti, più o meno accentuati secondo i vari paesi del mondo: telemedicina, lavoro da casa, distanziamento sociale, la fine della stretta di mano, la diffusione del commercio in rete, riduzione del pagamento in contanti, frequenti lavaggi delle mani e mascherine.
Forse è troppo presto per capire i cambiamenti più profondi che può generare, anche se alcune indicazioni sono già evidenti: aumento della disoccupazione; forte impoverimento generale (soprattutto per i ceti più bassi), fortissimo arricchimento particolare (soprattutto per i ceti più alti); riduzione del turismo e della cultura alta; aumento del cazzeggio in rete e dell’aggressività reale.
Ma vediamo gli effetti di altre grandi pandemie della storia nel tentativo di lumeggiare la comprensione dei possibili cambiamenti provocati nella storia dell’umanità dall’arrivo del coronavirus.
Secondo Andrew Latham, che insegna scienze politiche al Macalester College di Minneapolis (USA): «Le pandemie tendono a modificare le attività umane in tre modi: alterare profondamente la visione del mondo di una societa; demolire strutture economiche fondamentali; influenzare la lotta per la supremazia tra le nazioni».
In un articolo pubblicato su The Conversation (e che qui traduciamo, compendiamo e integriamo) Latham analizza tre pandemie del mondo antico che hanno rimodellato la storia dell’Occidente.
Un secolo di epidemie e la nascita del cristianesimo
La peste Antonina (dal nome dell’imperatore Antonio, o anche di Galeno, che la descrisse), e la sua gemella e successiva peste di Cipriano (dal nome dello scrittore cartaginese che ne lasciò testimonianza) colpirono duramente l’Impero romano in due riprese dal 165 al 262 d.C. (la prima tra il 165 e il 180, la seconda tra il 249 e il 262). La causa è incerta, data l’imprecisione dei dati superstiti, ma è molto probabile si sia trattato di vaiolo o varicella più che di altri ancor validi candidati (morbillo e filovirus). In questo caso sarebbe il primo esempio storico di salto di specie per un virus (Variola) che dagli animali passò all’uomo (e vi rimase, fino ad essere completamente debellato).
«Si stima che la mortalità combinata di entrambe le pandemia sia stata approssimativamente da un quarto a un terzo dell’intera popolazione dell’Impero. Anche se impressionante, il numero dei morti è solo una parte della storia, e provocò una profonda trasformazione religiosa degli antichi Romani.»
«All’inizio della peste Antonina l’Impero era pagano, la stragrande maggioranza della popolazione venerava i numerosi dei, spiriti, eroi dell’Olimpo grecoromano e dell’antichità italica: e credeva che i fiumi, gli alberi, i campi e anche gli edifici avessero il proprio nume. Il Cristianesimo, una religione monoteistico con molto poco in comune con il paganesimo, contava qualcosa come quarantamila fedeli, non più dello zero virgola zero sette per cento della popolazione dell’impero».
«Eppure, una generazione dopo la fine della peste di Cipriano, divenne la religione predominante. Secondo lo storico Rodney Stark, nel suo studio La nascita del Cristianesimo queste due pandemie hanno reso la religione cristiana un sistema di credenze molto più attraente. Sebbene la malattia fosse effettivamente incurabile, le cure palliative rudimentali — ad esempio l’assistenza con cibo e acqua — potevano stimolare il recupero di coloro che, guariti, erano troppo deboli per prendersi cura di sé stessi. Motivate dalla carità cristiana e da un’etica di cura per i malati — e rese possibili dalla fitta rete sociale e caritatevole attorno alle quali era organizzata la chiesa primitiva — le comunità cristiane dell’impero erano disponibili e in grado di fornire questo tipo di assistenza. Dall’altra parte i pagani, invece, scelsero di fuggire o di isolarsi nella speranza di evitare il contagio».
Il diverso comportamento tra le differenti religioni ebbe due effetti: «Il primo. I cristiani sopravvissero alle devastazioni più dei pagani e svilupparono più rapidamente una maggiore di immunità. Vedendo che molti altri loro compatrioti cristiani stavano sopravvivendo alla peste — e attribuendo ciò al favore divino o ai benefici delle cure fornite dai cristiani — molti pagani furono attratti dalla comunità cristiana e dal sistema di credenze che la sosteneva. Allo stesso tempo, prendersi cura dei pagani ammalati offriva ai cristiani opportunità senza precedenti di evangelizzazione. Il secondo effetto, secondo Stark, fu demografico: avendo colpito in modo sproporzionato donne giovani e in gravidanza, il tasso di mortalità complessivamente più basso tra i cristiani si tradusse ben presto in un tasso di natalità più elevato. Nell’arco di circa un secolo, un impero essenzialmente pagano si trovò sulla buona strada per diventare un impero a maggioranza cristiano».
Il crollo dell’Impero
La seconda grande pandemia della storia antica fu la peste di Giustiniano (dal nome dell’imperatore), provocata da un ceppo estinto di peste di origine forse ,che colpì particolarmente l’impero d’Oriente e Costantinopoli tra il 541 e il 542, ma che non scomparve prima del 755. Durante i due secoli di continuata ricorrenza, sterminò tra il venticinque e il cinquanta per cento della popolazione, una cifra tra i venticinque e i cento milioni di persone.
«Questa massiccia perdita di vite paralizzò l’economia, innescando una crisi finanziaria che esaurì le casse dell’Impero e ne minò irrimediabilmente la potenza militare. Anche il principale rivale geopolitico, la Persia sassanide, fu devastata dalla peste e non era quindi in grado di sfruttare la debolezza dell’Impero Romano. Ma in Oriente le forze del califfato islamico Rashidun in Arabia — a lungo contrastato da Romani e Sassanidi — non furono indebolite dalla peste. Le ragioni di ciò non sono ben comprese, ma probabilmente hanno a che fare con il relativo isolamento del califfato dai principali centri urbani. Il califfo Abu Bakr non sprecò l’occasione propizia: il suo esercito conquistò rapidamente l’intero Impero Sassanide e spogliò l’indebolito Impero Romano dei suoi territori nel Levante, nel Caucaso, in Egitto e nel Nord Africa».
Prima della pandemia, il mondo mediterraneo era stato relativamente unificato da commercio, politica, religione e cultura. Dopo due secoli di peste «Ciò che emerse fu un trio frammentato di civiltà in lotta per il potere e l’influenza: una islamica nel bacino del Mediterraneo orientale e meridionale; uno bizantino nel Mediterraneo nord-orientale; e uno europeo tra il Mediterraneo occidentale e il Mare del Nord».
Intanto, in Italia, gli Ostrogoti di Totila avevano la possibilità di impadronirsi della penisola e di svuotare Roma degli ultimi (forse cinquecento) abitanti rimasti.
«Quella che oggi chiamiamo Europa medievale venne definita da un nuovo sistema economico distintivo. Prima della peste, l’economia europea era basata sulla schiavitù. Dopo la peste, l’offerta di schiavi significativamente ridotta costrinse i proprietari terrieri a concedere appezzamenti a lavoratori nominalmente liberi, ma in realtà servi che lavoravano nei campi del signore e, in cambio, ricevevano protezione militare e alcuni minimi diritti legali».
I semi del feudalesimo furono così piantati.
Arriva la Peste Nera, finisce il Medioevo
La terza grande pandemia, una zoonosi batterica dei topi trasmessa all’uomo da pulci infette, è la Peste Nera (con entrambe le maiuscole) che esplose nel 1347 e in pochi anni uccise da un terzo a alla metà della popolazione europea, al tempo di ottanta milioni di esseri umani. «Ma ha ucciso molto più delle persone: quando la pandemia si estinse all’inizio del 1350, emerse un mondo decisamente moderno, definito da lavoro libero, innovazione tecnologica e una classe media in crescita».
«Prima che il batterio Yersinia pestis arrivasse nel 1347, l’Europa occidentale era una società feudale sovrappopolata. Il lavoro costava poco, i servi della gleba avevano poco potere contrattuale, la mobilità sociale era ostacolata e c’erano pochi incentivi ad aumentare la produttività».
L’Occidente si barcamenava senza prospettive tra periodi di paurosa carestia e attimi di incontrollato sovrappopolamento, con una società cadaverizzata sotto il peso della penuria, della religione, dell’ignoranza (con buona pace dei romantici).
«Ma la perdita di così tanta vita ha scosso una società ossificata. La carenza di manodopera ha dato ai contadini più potere contrattuale. Nell’economia agraria fu incoraggiata l’adozione diffusa di tecnologie nuove o esistenti ma limitate: l’aratro in ferro, il sistema di rotazione delle colture a tre campi e la fertilizzazione con letame, che hanno aumentato significativamente la produttività. Oltre alle campagne, spinse all’invenzione di dispositivi per risparmiare tempo e manodopera. Nacquero dispositivi innovativi come la stampa, le pompe idrauliche per il drenaggio delle miniere, le armi da fuoco».
«La liberazione dagli obblighi feudali e il desiderio di salire la scala sociale incoraggiarono molti contadini a trasferirsi nelle città e impegnarsi in mestieri e commerci. Quelli di maggior successo divennero più ricchi e costituirono una nuova classe media. Ora potevano permettersi più beni di lusso che potevano essere ottenuti solo al di là delle frontiere europee, e questo ha stimolato sia il commercio a lunga distanza sia le navi a tre alberi più efficienti necessarie per intraprendere quel commercio».
«La crescente ricchezza della nuova classe media stimolò anche il patrocinio delle arti, della scienza, della letteratura e della filosofia. Il risultato fu un’esplosione di creatività culturale e intellettuale, quello che oggi chiamiamo Rinascimento».
Un utile corollario: il colera ottocentesco
Per continuare con l’analisi dei cambiamenti introdotti dalle epidemie storiche aggiungiamo ad integrazione della panoramica di Andrew Latham la pandemia di colera che colpì l’umanità (stavolta l’intero mondo) nel corso dell’Ottocento (dal 1817 al 1893) con pesanti ritorni anche nel Novecento.
Sebbene non grave come precedenti (però in certi periodi e luoghi raggiunse anche una mortalità del cinquanta per cento) la pandemia di colera provocò profondi cambiamenti. Malattia esclusivamente umana, viene trasmessa da un batterio (vibrione) per contaminazione con le feci o il vomito infette. In campo medico la lotta al colera, le cui origini rimasero ignote per decenni, produsse tra le tante cose: il tramonto della farmacologia tradizionale (salassi, purghe ed emetici dimostrarono finalmente la loro imbarazzante inutilità assieme alla teriaca e altri farmaci d’invenzione); segnò il trionfo della batteriologia e del metodo sperimentale nella ricerca e nella terapia; dimostrò la validità della statistica applicata alla sanità per la determinazione della cause del contagio. Una volta scoperta la pericolosità della contaminazione tra acque di scarico e acqua potabile, in campo sociale modificò radicalmente la costruzione delle abitazioni (così abbiamo un bagno e una cucina in casa) e la struttura delle città (con l’eliminazione dei vecchi quartieri medievali); introdusse l’igiene personale come prima difesa al contagio (ampiamente disatteso, purtroppo, in tempi recenti). Solo per restare a Venezia: il colera diede il colpo di grazia alla Repubblica del 1848-49, e fu tra i motivi dei molti canali cittadini interrati, delle calli aperte e dell’edilizia popolare durante l’ultimo trentennio dell’Ottocento e i primi del Novecento. Non poco.
Il nostro presente futuro
Secondo Latham (e lo speriamo proprio) «niente di tutto ciò significa che la pandemia di COVID-19 ancora in corso avrà esiti altrettanto sconvolgenti. Il tasso di mortalità non assomiglia a quello delle epidemie analizzate, e le conseguenze potrebbero non essere così profonde».
Ma ci sono alcune indicazioni, soprattutto dal punto di vista di uno statunitense come lo studioso, che le ripercussioni della pandemia in atto potrebbero essere pesanti. Per esempio: «Gli sforzi maldestri delle società aperte dell’Occidente per fare i conti con il virus infrangono la fede già vacillante nella democrazia liberale, creando uno spazio per altre ideologie non democratiche per evolversi e metastatizzare».
«In modo simile, il COVID-19 potrebbe accelerare un cambiamento geopolitico già in corso nell’equilibrio di potere tra Stati Uniti e Cina. Durante la pandemia, la Cina ha assunto la guida globale nel fornire assistenza medica ad altri paesi come parte della sua iniziativa Health Silk Road. Alcuni sostengono che la combinazione dell’incapacità dell’America di guidare e del relativo successo della Cina nell’approfittare del momento potrebbe spingere l’ascesa della Cina a una posizione di guida globale».
«Infine, COVID-19 sembra accelerare il disfacimento di modelli e pratiche di lavoro consolidati, con ripercussioni che potrebbero influire sul futuro delle cattedrali per uffici, delle grandi città e dei trasporti di massa, per citarne solo alcuni. Le implicazioni di questo e dei relativi sviluppi economici possono rivelarsi profondamente trasformative come quelle innescate dalla Peste Nera nel 1347».
«Le conseguenze a lungo termine di questa pandemia — come tutte le precedenti — sono semplicemente inconoscibili per coloro che devono sopportarle. Ma proprio come le pestilenze del passato hanno creato il mondo in cui viviamo attualmente, anche questa probabilmente plasmerà il mondo popolato dai nostri nipoti e pronipoti».