Il successo veneziano del Circo Zoppè
È partita alla grande la stagione «Carnevale di Venezia»
Standing ovation. Finisce così, tutti in piedi per un lungo fragoroso applauso, la prima della stagione 2023 del Circo Zoppè: «Il Carnevale di Venezia».
FRASER COLORADO USA — «A mind refresher» così un giovane spettatore — l’adolescenza è la più ardua delle età — ha commentato a caldo lo spettacolo: un tonico per la mente (in un italiano desueto ma efficace).
E se non venisse nessuno? E se venissero in pochi? E se lo spettacolo non piace? E se avessimo sbagliato tutto? Questi sono i demoni che ogni artista affronta la sera della prima. «Quattrocento biglietti già venduti» dice sorridendo Giovanni Zoppè sottovoce mentre all’esterno si addensa una coda sempre più lunga di famiglie e coppie e gruppi di tutte le età.
«Però sono nervoso» dice Giovanni.
Perché? Lo spettacolo è bellissimo, tutti sono bravi e pronti.
«Ho chiesto a German, e lui mi ha detto che è nervoso. E siccome lui non è mai nervoso, adesso lo sono anch’io!» German Rodogell è il mite e instancabile patriarca degli artisti dell’estesa famiglia Portugal: il capo di tutti i lavori pesanti e leggeri del circo.
Anche Chiara Zoppè è nervosa: ma dai, andrà tutto alla grande. Sguaina il suo radioso sorriso di scena, gli occhi brillano e scintillano, ma si capisce che, se almeno rincuorata, è nervosa lo stesso.
Le insidie più pericolose dello spettacolo sono due.
Uno: il fondo della pista. Lo chapiteau è montato uno spiazzo abbandonato, a lato di un caotico cantiere in corso per la costruzione di imbarazzanti case per facoltosi vacanzieri invernali. Non però ricchi abbastanza da andare a Aspen, che da decenni è al vertice della piramide del lusso sciistico statunitense. Il terreno è composto di sassi, tantissimi sassi. Forse tutti i sassi più cattivi dell’Altopiano Colorado sono qui. Triturati da milioni di anni: dal Permiano al Paleozoico. Aguzzi come il pietrisco delle massicciate ferroviarie. Affiorano di continuo: tutti li tirano fuori dalla pista, ma è inutile, ne riaffiorano di nuovo. La segatura aiuta a coprirli, ma non abbastanza. Fuori pista distruggono le scarpe da scena, ma soprattutto dentro il ring rendono difficilissimo sistemare gli attrezzi. Ne soffrono tantissimo Patrick McGuire, il gentleman giocoliere sonoro, e ancor di più Gimmi Fornaciari, il verticalista cantante, che hanno bisogno di una perfetta orizzontalità per le loro pedane.
Due: i pali cinesi. «Maledetti — dice Giovanni — mai che si riesca a metterli giusti». I segnaposti ci sono: due nastri rossi inchiodati al suolo. Ma i due pali di nove metri vanno montati in fretta, senza luci — perché l’attenzione del pubblico è diretta alla giocoleria con le campane tubolari di Patrick — e i segnaposti sono invisibili e ormai forse inghiottiti dai sassi e dalla segatura, o addirittura inavvertitamente coperti dai materassini antiurto. Se non sono perpendicolari le acrobazie diventano goffe o purtroppo anche pericolose.
Non c’è altra soluzione che provare e provare, incessantemente fino a raggiungere la precisione necessaria. Oggi (sabato 22 luglio) ci sono tre spettacoli di seguito. Ciò vuol dire che: mentre il Vostro Amato Priore scrive queste note, Giovanni e il gruppo addetto al montaggio dei maledetti pali cinesi stanno montando smontando e rimontando gli attrezzi, a oltranza (e a esaurimento). Colpo di genio Zoppè: sostituiti i nastri rossi con nastri tricolori (rosso bianco verde) molto più visibili.
La sera della prima si capisce subito che lo spettacolo è riuscito. Il pubblico non solo applaude, ma partecipa, incita, si esalta e si commuove fin dall’inizio. L’effetto sugli artisti è potente e tutto funziona alla grande. «Non è ancora perfetto, ma è già completo» ammette Giovanni. I numeri si susseguono come da programma, con minime variazioni e aggiustamenti del caso (perciò qui non vengono riscritti: li trovate nel precedente articolo).
Molto carino il «Volo della Colombina» del bastardino (color cognac) Macho che si lancia da un immaginario Campanile di San Marco tra le braccia dell’addestratrice Jennifer Walker.
Esilarante il classico numero di Nino (il clown di Giovanni Zoppè) la scopa e il cappello. Non ce l’ha più in testa. «Dov’è il mio cappello?» «Ma è lì! In cima alla scopa!» «Ma dove?» «Lì!». Inutile indicare con il dito: Nino si gira di qua e di là, guarda per aria. Ma non trova il suo cappello. Che poi ecco! Cade per terra. Vola tra il pubblico per i tentativi maldestri di Nino di rimetterselo in testa a colpi di scopa. Finale coinvolgente con ripetuti tentativi del pubblico (tutti falliti) di lancio del cappello in testa al protagonista. Ogni tanto (come nella replica di sabato alle 13, con una bella signora estratta dal settore vip in prima fila) il lancio alla fine riesce al primo colpo, con grande soddisfazione di tutti.
Non ci sono più i pompieri di una volta. Terrorizzati dalle fiamme libere hanno implorato di non accendere la barra del trio Kaloleni per il loro numero di limbo, la danza di ritmo caraibico con passaggio sotto l’ostacolo sempre più basso. (I Antichihanno le foto delle prove, però, che pubblicheranno).
«Faccio molto poco in questo spettacolo» dice Giovanni. «In che senso? Cadi da dieci metri, hai quattro intervalli. Tappi tutti i buchi se ce sono. E governi tutta la regia dello show (che già sarebbe più che sufficiente)». «È vero…» ammette.
Il filo conduttore del «Carnevale di Venezia» del Circo Zoppè è il passaggio delle consegne da Arlecchino al clown Nino, che dopo lo charivari iniziale diviene, per aver indossato le toppe e il cappello magico della maschera veneziana, lo svagato padrone di casa di tutto lo spettacolo, dirigendo e assistendo nei vari numeri. Alla fine, dopo il ballo conclusivo sulle note delle Notti di Madrid di Boccherini e il disvelamento delle maschere, Nino riprende il suo caratteristico berretto rosso e gioca con il piccolo Ilario, nei panni di Ninito.
Di grande effetto i costumi veneziani del Settecento di Nicoletta Lucerna, sarta ufficiale della Compagnia de Calza I Antichi, che appaiono come a sorpresa nel ballo finale: un tocco di classe che il pubblico apprezza con ammirazione. Il più bello: un delizioso abito bianco crema, con ricchi riflessi di ricami dorati e piccolo tricorno, indossato con grazia sorridente da Chiara Zoppè.
Questa è stata la prima di almeno duecento ottantacinque repliche, da luglio 2023 a gennaio 2024.
Sabato tre repliche domenica (oggi) solo due. Di solito sono tre, per completare il six-pack: il pacco da sei che gli appassionati di culturismo e di birra conoscono bene. Con effetti diametralmente opposti sui loro addominali. Soli due repliche: perché questa sera c’è la cena sociale. Evviva.
Sabato, nella prima replica delle tre, a mezzogiorno, è andato storto tutto quello che (per il momento) poteva andare storto: casino totale con la colonna sonora; audio disconnesso per le giocolerie di Patrick McGuire; silenzio assordante come base per Gimmi Fornaciari; Persefone imbizzarrita (è pur sempre un cavallo selvaggio) disarciona Aurelius Lukas. Nino tappa tutti i buchi e lo spettacolo riesce lo stesso. «Every time is like the first time» «Ogni volta — per il pubblico — è la prima volta». Standing ovation per tutti tre gli spettacoli di sabato. Congratulazioni emozionanti degli spettatori all’uscita.
Alla fine, ecco l’inizio. Sul palchetto all’esterno, discorso introduttivo, in inglese e italiano, di Giovanni Zoppè. Presentazione dell’idea dello spettacolo, del duro lavoro preparatorio. Presentazione del Vostro Amato Priore («l’uomo senza il quale tutto ciò non sarebbe stato possibile» parole di Giovanni, non mie). Discorso di Luca Colferai, in anglo-veneziano: presentazione della Commedia dell’arte. Pre-show della piccola compagnia allenata da Mace Perlman, sior Pantalon: Lelio de Bisognosi (Aurelius Lukas) Arlecchino (Argenis Ortiz) Brighella (Jai Riley) Colombina (Mia o Isabella Riley). Tutti sono sempre più «dentro la parte» e, nel corso delle settimane, la commedia si arricchirà, come già è successo finora, sempre più di battute e trovate esilaranti.
Note finali.
Una volta nei circhi c’era il freak-show (la donna barbuta, l’uomo scheletro, la sirena, i gemelli siamesi, eccetera). Oggi per ovvie ragioni non si usa più. Ma l’esibizione di autentico aborigeno veneziano di un metro e novantacinque, con una compiaciuta somiglianza con Giacomo Casanova nei suoi anni migliori, ci va molto vicino. È una battuta: ridete o lettori.
Tra gli odori, da aggiungere l’aroma della canfora degli unguenti contro i dolori muscolari e articolari, inevitabili nell’incredibile arte del circo.
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