Una lacrima sul riso
Ardite acrobazie lessicali
Si intitola «Io mi libro», e già questo spiega molte cose, l’ultima fatica letteraria dell’umorista, poeta e musicista fiorentino Alessandro Pagani, impiegato all’Asl della sua città per necessità. Un florilegio demenziale di ben cinquecento (500!) tra battute e freddure, non sempre felici, che traggono l’ispirazione dagli imbarazzi inavvertitamente comici della vita di tutti i giorni. Tra giochi di parole, iperboli e calembour, con rimandi a maestri della comicità come Bergonzoni, Marchesi e Campanile, l’autore ci guida per mano regalandoci un sorriso di questi tempi non facili.
(A.F.) — Non sono frequentissimi (e per fortuna) i libri che contengono solo battute. O freddure, che dir si voglia. Sono libri di lettura faticosa per lo più, non sempre d’ispirazione felice, scritti da comici e cabarettisti per un pubblico ristretto di amatori del genere. Gente che per motivi alquanto misteriosi si diletta, in preda a qualche strano morbo, a ripetere le stesse insulsaggini fino a instupidirsi.
Alessandro Pagani, che avendo superato la cinquantina non è più quel che si dice un ragazzo, di questo rischio è ben consapevole, quando decide di dare alle stampe un peraltro delizioso libriccino (“Io mi libro”, 96 Rue de La Fontaine), che raccoglie la follia di 500 (cinquecento!) battute e/o freddure, in un fuoco d’artificio iperbolico e continuo di giochi di parole.
Ispirato (vagamente) a maestri dell’umorismo e del calembour come Bergonzoni, Marchesi e Campanile, l’autore si muove tra satira e comicità, tra umorismo e circostanze grottesche, in frasi, neo-aforismi, e brevi dialoghi dai tratti demenziali.
Scrittore e musicista, appassionato di musica e poesia, impiegato per necessità all’Asl di Firenze, la sua città, acrobata del lessico e ginnasta della mente, l’autore punta a cogliere quei momenti di “imbarazzo” che possono scaturire dall’ambiguità delle parole di tutti i giorni, in quelle situazioni paradossali che possono sembrare banali ma che a volte non lo sono.
Un modo semplice, ma non semplicistico, per non prendersi troppo sul serio. Qualche esempio? “Un cinese che piange è una lacrima sul riso”. “Attentato alle terme: fiuggi fiuggi generale”. “Coito, terga cum”. “E come dissero i battuti, siamo nati per soffriggere”. Una passione per l’assurdo che era già sfociata in altri due precedenti lavori, “Le domande improponibili”, e “Perché non cento?”, una raccolta di novantanove poesie.
Ora una nuova e più ambiziosa prova, parzialmente riuscita (cinquecento freddure sono troppe, e non tutte, inevitabilmente, sono felici), con la coda di un raccontino, “Piccolo raccorto onirico”, quale omaggio al lettore che è arrivato fino in fondo.
“Sebbene addolcire la vita con un commento amaro possa sembrare un ossimoro –spiega Pagani- il senso ultimo dell’umorismo è proprio questo: prendere in prestito la “scomoda” verità degli argomenti di tutti i giorni e renderla un’intrigante forma d’arte transitoria qual è la comicità, quell’attività umana irriverente, tagliente e perspicace, che ci aiuta nella vita di tutti i giorni a dissociare il mondo reale dall’immaginario, e a capire meglio le debolezze e i pregi del nostro modo di vivere”.
LA PAGELLA
Alessandro Pagani, “Io mi libro” (96 Rue de La Fontaine). Voto: 6,5