Panic room 4
E’ sempre più emergenza
Il micidiale coronavirus non sembra volersi arrestare. Anzi. Continua la sua corsa dappertutto, e con lui l’escalation di contagiati e di vittime. Ormai non più solo in Italia ma nel resto dell’Europa e del mondo. Unico dato positivo è che in Cina la situazione migliora. Ma quello che preoccupa, più che l’assenza di un antidoto, è che nessuno, nemmeno tra gli scienziati, riesce a prevedere quando inizierà la curva discendente del contagio. Chi si spinge ad azzardare qualche previsione, ipotizza che il contagio proseguirà, con numeri sempre crescenti, ancora per un mese. Sarà durissima. Ma avremo il tempo di pensare al dopovirus, che non si presenterà per niente facile. Perché nulla tornerà uguale a prima. Ma intanto stiamo in casa per favore.
Tre lunedì fa, quando ho scritto la prima “Panic Room”, i morti per coronavirus in Italia erano 7. Due lunedì fa erano diventati 41. Lunedì scorso ne sono stati contati 463. Oggi, lunedì 16 marzo, sono saliti a 2.158. Potrei fermarmi qui, senza il bisogno di aggiungere altro. Le cifre parlano da sole. E sono molto eloquenti.
In meno di un mese, a partire dal 21 febbraio, l’escalation del contagio è stata impressionante. Siamo arrivati a 23.073 contagiati in Italia, dove ormai non è più soltanto un problema del Nord, e a 166.277 nel mondo, con 6.065 morti. Numeri che bisogna aggiornare non più di giorno in giorno ma di minuto in minuto.
Anche il mondo ha capito, ha dovuto capire, è stato costretto a farlo dall’evidenza (purtroppo, non c’è nulla di cui gioire, non è mal comune mezzo gaudio), che non è più solo un problema di quegli sporcaccioni di cinesi e di quei cialtroni di italiani, come parecchi pensavano all’inizio. E’ un problema che riguarda tutto il pianeta ed è un problema molto serio.
Sia perché non si sa come fermarlo, il virus, sia perché non c’è ancora una cura, sia perché nessuno sa dire se e quando il virus si fermerà. Per ora il numero dei contagi continua a crescere, e corre sempre più veloce. La malattia non ha ancora toccato il suo picco, e ci vorranno almeno un paio di settimane per capire se le misure giustamente adottate –restiamo tutti a casa, per favore!- avranno dato qualche risultato.
Nessuno si azzarda a fare previsioni, non solo su quando finirà, ma anche sul momento in cui la curva del contagio comincerà a scendere. Perché prima o poi dovrà pur cominciare a scendere. In Cina, dove hanno preso misure più drastiche di contenimento, l’epidemia ha cominciato a diradarsi dopo due mesi. Da noi, è passato meno di un mese dall’inizio del contagio.
Qualcuno, tra le autorità sanitarie, azzarda che il virus continuerà a crescere almeno fino alla metà di aprile. Ancora un mese sprofondati dentro questo disastro. Prepariamoci al peggio.
Ci sarà tempo per pensare al dopo. Però è bene sapere già fin d’ora che il dopo sarà molto complicato. Meglio non illudersi che tutto tornerà d’incanto come prima. Non tornerà come prima dal giorno dopo. Il mondo non sarà più uguale. Ci sarà un dopovirus come c’è stato un dopoguerra. Lungo e faticoso. Non è difficile prevedere che saranno lacrime e sangue.
Per almeno due buoni motivi: il primo, e più importante, perché molti di noi –migliaia di noi- non ci saranno più. Il secondo, perché non ci saranno più molte industrie, molti negozi, bar, ristoranti, alberghi, locali, eccetera. Ci saranno danni per miliardi, molti miliardi, e molti, moltissimi posti di lavoro andranno perduti per sempre. Ci vorrà molto tempo per riprenderci e far ripartire un’economia ridotta in ginocchio.
Si tornerà a vivere, certo, quelli che ce la faranno continueranno a vivere. Ma anche noi –quelli di noi che sopravviveranno, e confidiamo che siano la maggior parte- saremo cambiati, saremo diversi. Migliori o peggiori, non lo so, questo dipende dal carattere di ciascuno. Ma diversi di sicuro. Sicuramente più poveri. E con qualche ferita.