Su il sipario

Obbligo di cultura in tivù

Non è concepibile, in un Paese civile, che lo spettacolo del calcio continui ad andare avanti, sia pure a porte chiuse, senza spettatori, e solo in televisione, mentre tutti gli altri spettacoli, che sono cultura anche più del calcio, no. Stadi comunque aperti e teatri e circhi comunque chiusi sono un paradosso. Se esistesse un ministro della cultura, lo Stato si farebbe carico di riservare allo spettacolo dal vivo almeno lo stesso trattamento dello spettacolo del calcio, finanziandolo per farlo continuare a vivere, per adesso, almeno in tivù. 

Su il sipario (fonte: commons.wikimedia.org).

COSMOPOLI — Che nel bel Paese chiamato Italia il calcio contasse più della cultura era abbastanza risaputo. Ma che durante la pandemia lo spettacolo del calcio continuasse e quello della cultura no, non era scontato. Non è nemmeno logico. Né giusto.

Vero che il calcio continua a porte chiuse, senza spettatori, e si vede solo in tivù (tutt’altra cosa, e piuttosto deprimente, che non dal vivo e con il pubblico, però sempre meglio di niente). Ma anche gli spettacoli, di ogni genere, nei teatri e nei circhi – e gli spettacoli, anche i meno prestigiosi, sono cultura, non ci piove – potrebbero continuare. A porte chiuse, senza spettatori, con tutte le precauzioni del caso, tecnici con le mascherine dietro le quinte, artisti ben distanziati sul palcoscenico. E, come il calcio, si potrebbero vedere in tivù.

Conosco l’obiezione. Ma il calcio continua perché gli interessi economici che muove sono enormi, perché ci sono milioni di persone nel mondo disposte a pagare per vedere una qualsiasi partita di calcio, e quindi le società di calcio possono andare avanti comunque perché perderanno sì gli incassi ma avranno pur sempre gli introiti dei diritti televisivi, che per le squadre più importanti sono molto rilevanti, e non di rado costituiscono addirittura la prima voce attiva dei bilanci. Nessuno invece pagherebbe un dollaro bucato per guardare in televisione i volteggi di una troupe di trapezisti del Kazakistan, o i motteggi di una commedia di Eduardo Scarpetta (e, detto fra parentesi, avrebbe torto marcio).

Tutto vero. È il mercato, bellezza. È la spietata legge della domanda e dell’offerta. Logico. Ma il mercato non può essere tutto. Non possiamo farci dominare sempre e comunque e soltanto dal mercato. La cultura, anche quando non dovesse rendere economicamente, va aiutata. Supportata. Dallo Stato che se ne fa carico, perché cultura e istruzione sono le fondamenta di uno Stato civile, e un popolo senza cultura né istruzione non va da nessuna parte, e dai privati che lo capiscono.

Una soluzione quindi, se nel bel Paese ci fosse un ministro della cultura, ci sarebbe. Nei teatri e nei circhi si deve continuare a lavorare, produrre spettacoli e andare in scena, sia pure senza pubblico, e con tutte le precauzioni possibili. Le televisioni, pubbliche e private, dedicheranno una rete – quelle che ne hanno più d’una, sia chiaro – alla trasmissione quotidiana di spettacoli dal vivo, un paio d’ore della giornata quelle che ne hanno una sola. E non serve sempre la diretta, che ha costi superiori, va benissimo anche la trasmissione registrata.

Le reti nazionali ospiteranno gli spettacoli dei grandi teatri e circhi nazionali, le reti locali quelli dei piccoli teatri e circhi locali. Variando sempre genere. Un giorno la musica classica, un giorno la musica leggera, un giorno la commedia, un giorno il circo, un giorno la danza, un giorno il cabaret, un giorno il varietà, un giorno i saltimbanchi, un giorno gli artisti di strada, un giorno le marionette e i burattini, e così via. Senza trascurare alcuna delle espressioni artistiche dello spettacolo dal vivo.

Anche qui conosco l’obiezione. Ma chi paga? Se il calcio lo pagano i telespettatori, gli spettacoli di cultura, almeno per ora, non li paga nessuno. Può ben darsi. Allora, data l’emergenza, anche di questo, che non è un problema da poco, dato che si chiama cultura, ha l’obbligo di farsene carico lo Stato, che tra l’altro è già il principale finanziatore dei teatri lirici italiani e anche di molti teatri di prosa, insieme a Comuni e Regioni. Toccherà a loro, invece di distribuire finanziamenti a pioggia, spesso discutibili, e spesso assegnati con criteri ancora più discutibili, finanziare quei teatri e quei circhi, grandi o piccoli che siano, disposti a continuare a produrre e presentare spettacoli anche in questa fase, e trattare con le televisioni nazionali e locali, pubbliche e private, per concordare gli spazi.

L’obiettivo è una rete al giorno per lo spettacolo dal vivo finché il virus non andrà via (e magari anche dopo, la cultura non basta mai). Su il sipario.

 

LA PAGELLA

Ministro italiano della cultura. Voto: 5
Gioco del calcio in tivù. Voto: 5
Spettacolo dal vivo (tutti i generi). Voto: 8
Teatri e Circhi chiusi (non per loro colpa). Voto: 4
Televisioni italiane. Voto: 4
Stato Italiano. Voto: 5
Regioni e Comuni italiani. Voto: 4

 

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