Dialoghi acrobatici
Il circo raccontato
Storici e critici del circo, artisti e registi, appassionati e collezionisti a confronto su passato e futuro delle arti circensi all’International Salieri Circus Award di Legnago. Un caso unico: sei ore di parole intorno al circo tra talk show e convegni. E il progetto di un’Unione internazionale di storici e critici per far tornare l’amore per il circo.
LEGNAGO (Verona) – Abbiamo parlato di circo per sei ore. Una follia? Può darsi. Un record? Può essere. Sicuramente, un fatto abbastanza raro. È accaduto alla prima edizione dell’International Salieri Circus Award, nell’ambito degli eventi collaterali della Terrazza Salieri Show (mostre, sfilate, convegni, talk show), dei quali il direttore artistico della rassegna, Antonio Giarola, mi aveva affidato il coordinamento.
Nei cinque giorni del festival, quattro talk show di Dialoghi Acrobatici un’ora ogni mattina, aperti al pubblico e trasmessi in streaming, in diretta, nella piazza del Teatro Salieri, con la partecipazione degli artisti in gara, e un convegno di due ore, in Sala Riello, «Stories, il circo raccontato», con giornalisti, critici circensi, storici, registi, direttori artistici, appassionati di arti circensi.
Non solo per il piacere di parlarci addosso, ma per un bisogno più vero: il bisogno di raccontare il circo. Il circo vive anche perché c’è chi scrive di circo perché il circo viva. Il circo è cultura, e la sua cultura va preservata, trasmessa e divulgata. Per farla conoscere a chi non la conosce, per farla apprezzare meglio a chi la conosce. Di qui il ruolo –centrale- di storici, giornalisti, critici circensi, attraverso i giornali, le televisioni, i siti, gli incontri con gli studenti nelle scuole, e con il pubblico nelle sedi di dibattiti e di incontri.
Ho aperto il dibattito spiegando che non è per niente facile. Il mondo dei media, distratto da altre cose più di moda, riserva – e non da oggi – una scarsa attenzione al mondo del circo. Se ne occupa principalmente solo quando scappa una giraffa, una tigre azzanna un domatore, o divampa la protesta contro l’impiego degli animali. Come uscirne?
«È sparita la figura del critico circense perché non ci sono più spettacoli che valga la pena di recensire, gli ultimi grandi personaggi del mondo del circo sono scomparsi, il loro nome è stato svenduto, e il pubblico viene ingannato: oggi chi sono i veri Orfei?», attacca Curzio Pettenò, giornalista della Rai, grande appassionato e conoscitore di arti circensi.
«Bisogna sforzarsi di capire dove si è staccata l’attenzione dei media verso il circo, che fino agli anni Settanta era abbastanza viva, quasi ogni giornale aveva un cronista di circo – spiega Raffaele De Ritis, storico e regista – quello che è successo è che oggi in effetti gli spettacoli sono diventati meno interessanti».
«Il Principe Ranieri avvertì il problema di questa disaffezione ancora 45 anni fa quando ideò, proprio per questo motivo, il festival del circo di Montecarlo», dice Dario Duranti di Circusfans, che lamenta la perdita dei «grandi personaggi» che il circo ha avuto in passato, e che erano anche «dei grandi comunicatori che sapevano confrontarsi direttamente con le istituzioni».
«Servirebbe un divulgatore della cultura circense, qualcuno con la capacità di Piero Angela di arrivare al grande pubblico – sostiene sorridendo Alessandro Serena, storico, docente di circo – ma dobbiamo anche fare un passo avanti oltre al nostro amore per il circo: darci una strategia, trovare una chiave diversa, inventare un nuovo linguaggio, magari anche un videogame».
«La qualità dello spettacolo circense è indubbiamente scaduta a tutti i livelli», sentenzia amaro Francesco Mocellin, presidente del Club Amici del Circo, e rappresentante per l’Italia negli organismi internazionali dell’European Circus Association e della Federation Mondiale du Cirque. A suo parere, vi è la necessità di migliorare gli spettacoli, ma anche di investire maggiormente su una strategia mirata di comunicazione.
Un’impostazione sostanzialmente condivisa da Daniel Burow, giornalista di Circus Zeitung (Germania), che ha tracciato una panoramica della situazione nel suo Paese, «che è un po’ migliore di quella italiana», dove il circo «è ancora apprezzato come fenomeno culturale e vi sono ancora insegne prestigiose che godono del favore – sia pure, anche lì, calante – da parte del pubblico».
«Il problema è che è venuta a mancare una generazione – annota Roberto Fazzini, editore, stampatore, e grande collezionista di cimeli circensi – quella dei nostri nonni che amavano il circo e ci portavano al circo. Noi siamo gli ultimi dinosauri. Ora bisogna trovare altri canali, imboccare altre strade».
Quelle del circo contemporaneo, per esempio, un fenomeno che soffre meno la crisi che attanaglia il circo tradizionale. «In Italia c’erano centoventi circhi, oggi ci sono centoventi scuole di circo», spiega Adolfo Rossomando, di Juggling Magazine, secondo il quale le chiavi del successo di un settore «in grande crescita e che ha generato dal nulla un’economia», risiedono nella «partecipazione a un’esperienza immersiva» in cui è fondamentale la relazione con il pubblico.
De Ritis concorda con l’importanza della «chiave partecipativa», ma ritiene che per tornare a interessare il pubblico generalista, bisognerebbe superare la barriera di due parole «diventate ormai inutili», come «tradizionale» e «contemporaneo»: «Non se ne può più – dice – il circo è bello oppure è brutto. Ed è il grande pubblico che sceglie se andare a vedere uno spettacolo oppure no».
Secondo Mocellin, «il problema viene da lontano, da quando, cominciando a considerare il circo come uno spettacolo per bambini, è iniziata un’operazione di delegittimazione culturale, che ha fatto danni enormi, e che ha portato alla crisi soprattutto dello spettacolo itinerante, mentre continuano a funzionare i festival e gli eventi, come i circhi di Natale. Dirompente, poi, ad aggravare il quadro, si è aggiunta la questione degli animali».
In Italia, fino agli anni Settanta, sostiene De Ritis, c’erano firme prestigiose che si occupavano di circo, non solo critici come Massimo Alberini, ma giornalisti e scrittori del calibro di Italo Calvino e Orio Vergani. «Quando Egidio Palmiri, presidente dell’Ente Circhi, decise di fondare il Cadec, il club degli amici del circo, aveva l’intenzione di replicare in Italia un tipo di associazione che partisse dal mondo intellettuale, e fosse capace di mobilitare, proprio per la sua forza culturale, anche l’associazionismo popolare. In questo modo era il mondo della cultura italiana che andava incontro ai circensi. Poi è cambiato tutto: svaniti gli intellettuali, persa la borghesia, relegato in periferia, il circo è diventato lo spettacolo del sottoproletariato».
«È cambiata la società…», commenta Serena. Lui, che è nipote della celebre Moira, qualcosa ha tentato di cambiare. Ha portato il circo all’università. Nientemeno. Come materia di studio, alla Statale di Milano, grazie alla complicità iniziale del professor Paolo Bosisio, docente di teatro e teatrante egli stesso. Al dipartimento dello spettacolo dell’università milanese, è dal 2005 che un centinaio di studenti, mediamente, seguono il corso di laurea in storia del circo, tenuto dallo stesso Serena. Sul tema sono già state pubblicate una settantina di tesi di laurea. Un risultato fantastico, inatteso, impreziosito anche dalle Giornate di Studio sull’Arte Circense, che si tengono annualmente, con la presenza di artisti, storici e critici.
«Ma è pur sempre solo una goccia nell’oceano», dice Serena. Già. Anche perché pochi di questi ragazzi continuano ad occuparsi di circo, una volta usciti dalle aule universitarie. E pochi sono aggiornati. «Chi ha vinto l’ultimo Festival di Montecarlo? Dall’aula, nessuna risposta». «Il problema è grande e serio. Non si riesce a far parlare di circo. Anch’io non mi capacito».
Anche per questo abbiamo provato a parlarne.
Quelle che avete letto sono solo alcune schegge di un dibattito che è stato ampio, serio, approfondito, rispettoso delle opinioni. Bisognerà continuare a parlarne. A lungo e quanto prima. Accarezzando anche l’idea, appena balenata, di dare vita ad una Unione degli Storici e Critici del Circo, sull’esempio di quanto fece in Francia Tristan Rémy. Perché il circo ha bisogno anche di venire raccontato. Il circo vive perché c’è chi scrive di circo perché il circo viva.