Io sto con l’orso
La vergogna del Trentino
L’hanno battezzato M49 come fosse un sottomarino. Ma anche un orso ha diritto a un nome, non a una sigla. Noi l’abbiamo battezzato Libero, come il cane di Fabrizio De André, e facciamo il tifo per lui, perché non lo prendano quelli che lo vogliono uccidere solo perché fa l’orso, che poi è il suo mestiere. L’orso Libero è riuscito a scappare, con una fuga rocambolesca, dalla prigione in cui lo avevano rinchiuso, il centro faunistico di Casteller, in Trentino. Con un’impresa eccezionale, da vero acrobata, ha superato barriere alte quattro metri e recinzioni percorse da corrente elettrica a settemila volt. Scappa, Libero, scappa. Non ti fermare. E non ti fidare di nessuno. Specialmente degli uomini.
(r.b.) — Ma che brutto nome gli hanno dato. M49. Non è un nome. E’ la sigla di un sottomarino. Di un aereo da guerra. Di un museo del piffero. Di uno sciroppo contro la pertosse. Un orso, che è un animale vero, ha diritto a un nome vero. Come Bruno, per esempio. Ecco, Bruno, Bruno sì. Bruno è un nome da orso. Anche se io preferisco battezzarlo Libero, che in fondo è il nome che si è guadagnato con l’impresa di cui è stato capace. Libero, sì, come il cane di De André (“Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane, il mio è un po’ di tempo che si chiama Libero”, da “Amico fragile” del 1975).
L’Orso Libero, che è uno splendido esemplare giovane, tre anni appena, robusto, sveglio, il muso affilato, occhioni gialli come due fari, è scappato dalla prigione in cui lo avevano rinchiuso. Mi fa piacere, sono contento. Se l’è guadagnata, la sua libertà. Nulla è riuscito a fermarlo. Non le reti metalliche, non i muri, nemmeno l’alta tensione.
Per scappare dalla prigione degli uomini ha superato due recinzioni percorse da corrente elettrica a settemila volt, si è arrampicato su una barriera alta quattro metri e l’ha scavalcata. Poi, per arrivare al muro esterno, ha dovuto superare altre due recinzioni elettriche ad alta tensione. Un formidabile acrobata.
Nessuno se lo aspettava. Nessuno lo credeva capace di tanto. Nemmeno le guardie forestali della Provincia autonoma di Trento che dopo averlo catturato in Val Rendena con una trappola, lo avevano rinchiuso nel centro faunistico del Casteller, una struttura specializzata (e a torto ritenuta, come si è visto, a prova di fuga), che ospita altri animali selvatici definiti, con un sottile eufemismo, “problematici”.
Ora l’Orso Libero è in fuga. No. Lui non fugge da nessuno, non gli interessa. E’ semplicemente tornato in libertà. Com’è logico.
Gli uomini armati vestiti con le divise gli stanno dando la caccia – probabilmente in mancanza di meglio da fare- su tutte le montagne del Trentino e dintorni. Hanno licenza di uccidere e l’ordine di sparare a vista. Perché l’orso, dicono, è pericoloso. Per persone, cose, altri animali. E come lui sono pericolosi gli altri cento e venti orsi (che bellezza!) che incredibilmente riescono ancora a sopravvivere in questo pazzo Paese chiamato Italia, disseminati tra i monti del Trentino, appunto, e dell’Abruzzo.
Devono ucciderlo, dicono –“devono!”- perché l’orso, come ha già fatto più volte nel corso degli ultimi due anni, ha la pessima abitudine di attaccare pecore, mucche, arnie e caseifici (l’uomo ancora no, ma c’è sempre tempo).
Insomma, fa l’orso. Fa nient’altro che l’orso. Secondo quella che è la sua natura. Normale. Meno normale che si voglia ucciderlo solo perché fa il suo mestiere. Al contrario, dovrebbero premiare la sua impresa, la sua voglia di libertà, e lasciarlo stare.
Scappa, Orso Libero, scappa. Non ti fermare, corri veloce. E non ti fidare di nessuno. Specialmente degli uomini.