Divieti & Divieti
Marina Punturieri Ripa di Meana ex Lante della Rovere, vale a dire una che se ne intende, sostiene che il presidente della Repubblica francese Francois Hollande è un uomo con un fascino «uguale a zero». Può darsi. Questo rende ancora più inspiegabile come riesca ad accompagnarsi a donne sostanzialmente piacenti (certo più di lui) come Ségolène Royal, Valérie Trierweiler, e adesso, buona ultima (e più giovane), l’attrice Julie Gayet.
Fatti suoi, comunque. Che a noi, in questa sede, poco importano. Anzi nulla. E di cui ci occupiamo perché l’inquilino dell’Eliseo ha chiesto, con tutto il peso e il potere che derivano dalla sua carica di capo dello Stato, che venissero proibite, vietate, tolte dalla circolazione e fatte sparire dai giornali e dai siti le foto pubblicate da Closer, un settimanale specialista in pettegolezzi, che documentavano — in modo inequivocabile — la scappatella amorosa del primo cittadino di Francia.
Hollande ha torto marcio. Non può chiedere, né tanto meno ottenere, un divieto, una censura e un sequestro del genere. Perché nella pubblicazione delle foto il giornale in questione non ha commesso alcun reato. Ha scoperto una cosa (la scappatella) e l’ha resa pubblica. Chissenefrega, si può dire al massimo, ma non che non poteva farlo.
Il presidente della Repubblica è un uomo pubblico, come un ministro, come un politico, come un attore, come uno scrittore. E in quanto tale non ha diritto alla vita privata. Deve sottostare, come tutte le persone famose, anche agli oneri — come agli onori — della notorietà. Avrebbe avuto ragioni da vendere solo nel caso in cui quelle foto si fossero rivelate false. Ma così non è.
Ha invece pienamente ragione Francois Hollande quando chiede di mettere il silenziatore alla boccaccia del comico antisemita Dieudonné. Quando dice di voler vietare i suoi spettacoli. Qui, in realtà, la questione è più spinosa, e anche un tantino più complessa.
Perché vietare qualcosa, in questo caso la parola, le parole di uno spettacolo, è quasi sempre sbagliato. Quasi sempre grave. Quasi sempre autoritario. Quasi sempre pericoloso.
Quasi. Perché in certi casi (pochi) qualche paletto ci deve pur essere. Specie quando si sconfina in certi campi minati. Un commentatore autorevole come Bernardo Valli lo spiega bene su Repubblica: è sempre meglio proibire di proibire che censurare, dice. Perché una democrazia la si misura anche sulla libertà di espressione. La libertà è un diritto generale, l’interdizione dev’essere l’eccezione. La prima incorre tuttavia nella seconda nei casi previsti dalla legge.
E la legge, sostiene Valli, prevede delle restrizioni, ad esempio per quanto riguarda la protezione dei diritti d’autore, i limiti della pornografia o l’incitamento alla violenza razziale. Per il governo francese, «Dieudonné ha infranto quest’ultimo principio con il suo antisemitismo. Il principio è chiaro: se questo è accettato o tollerato in alcuni Paesi, non lo è, non può esserlo per esperienza storica, in modo variabile, nelle democrazie europee».
Permettergli perciò di continuare nelle sue provocazioni, avrebbe avuto un solo, terribile significato: quello di legalizzare il razzismo. ★