Barba ci cova - 7
Vuolsi in questo capitolo scrivere per zibaldoneggiare annotazioni e informazioni barbesche, scrivendo in primis della barbifobia e delle pene legiferate ad hoc favorendo il barbicidio.
Se qualcosa ci appartiene legittimamente, è proprio, credo, ciò che la natura ci ha dato. Orbene, la barba è un dono della natura e quindi la barba ci appartiene. Quanto detto è così vero che Proudhon, autore di un paradosso molto astuto sulla questione della proprietà, non si è perorato affatto di contestare quella della barba. Perché allora alcuni si sono arrogati il diritto di perseguitarla sulla base di un veto umorale e capriccioso? Siatene molto convinti, lettori; qualsiasi attentato barbicida è un attentato alla libertà di cui la barba è simbolo. Maledetti siano tutti i persecutori della barba in questo mondo! L’onnipotenza è dalla parte della barba. (Eugène Dulac, Fisiologia e igiene di barba e baffi, 1842, traduzione dal francese di Catia Lattanzi).
Trascritto ciò, scrivo brevemente di chi ha disapprovato e perseguito, per esplicita volontà dell’autorità al potere, l’arredo pilifero facciale, specificando anche il chi-come-dove-quando-perché. Dando per scontata la conoscenza di notizie relative al dissenso ideologico e alla pratica della opposizione politica che hanno determinato in ogni tempo l’irsutismo facciale in molti dei suoi leader, emulati da ammiratori e seguaci ortodossi.
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Il doge Domenico Michiel (35° dal 1117 al 1130), dopo aver trionfato nella guerra tra Venezia e Bisanzio (1122-1126), ha bandito la barba nel 1128, sotto pena della forca. Col divieto assoluto di indossare travestimenti o l’applicazione di barbe posticce «alla greca», e l’illuminazione obbligatoria, a carico dei curati, di tutte le edicole o capitelli votivi in calli e campielli per non dare maggior vitalità al malaffare delle tenebre.
È del 1351 un decreto del re di Spagna nel quale risulta ammonito: «…che nessuno osi portare e fabbricare una barba falsa o finta».
Lo zar Pietro il Grande (1672-1725) non ha intrattenuto rapporti amichevoli con le barbe russe del suo tempo, perché le ha scoraggiate tassandole, e ha imposto ai pope di radersi.
Alla fine del 1700 Ferdinando I re di Napoli (1751- 1825), ha incaricato il Capitano Giustiziere di sottoporre alla pubblica rasatura tutti i portatori in luogo pubblico di visi scandalosamente adorni di barbette o «virbitti», segno di ludibrio e manifestazione di pericolosi propositi e disdegno relativi all’uso della parrucca e della cipria.
Arthur Schopenauer (1788-1860) ha pensato e scritto che la barba rende brutale il viso dell’uomo e sia, perciò, da proibire perché mascherando la sua fisionomia, maschera ogni contrassegno somatico di tendenza criminale.
Durante il risorgimento italiano è stata criminalizzata dal governo austriaco che l’ha disapprovata e contrastata legiferando la sua rasatura totale, nei casi in cui è risultata modellata alla maniera di Giuseppe Mazzini, considerandola manifestazione pubblica di opposizione o dissenso. Allo stesso Giuseppe Mazzini, esiliato a Londra, è stato consigliato inutilmente di tagliarsi la barba da cospiratore per comparire meglio nella società inglese.
Il regime nazista l’ha avversata. Una delle vessazioni più frequenti è stato il taglio della barba e dei riccioli agli ebrei ortodossi, che l’hanno considerato e continuano a considerarlo atto umiliante subito come degradazione, poiché la barba è manifestazione esteriore della propria fede religiosa per gli ebrei tradizionalisti.
Annotazioni e informazioni barbesche
In Mesopotamia (tra il Tigri e l’Eufrate) la barba è stata portata folta, lunga, accuratamente pettinata, già alcuni milleni avanti Cristo.
La Regina di Saba, molto bella, molto ricca, potente e intelligente, ha avuto gambe molto pelose (dalle caviglie alle ginocchia). Durante la sua epoca (1000 a.C.), in più occasioni, la moglie del re ha portato una barba costituita da fili d’oro.
Nell’Egitto dei Faraoni, la Regina Maatkara Hatshepsut (quinto sovrano della XVIII dinastia) ha indossato una barba finta durante le cerimonie ufficiali, come simbolo del suo potere faraonico. E la dea Iside è stata iconizzata anche barbuta con un Horus bambino in grembo.
Gli Spartani (VI-IV a.C.) hanno imposto ai vili, come segno della loro pusillanimità, di lasciarsi crescere la barba su una sola guancia.
Nella regione del Mediterraneo, particolarmente a Cipro e nel sud della Francia, è stata adorata una Venere Barbuta: «…una immagine barbuta e maschile di Venere (probabilmente Astarte) in abbigliamento femminile», ha scritto James George Frazer nel suo Adone, (p. 432, nota). Descritta dal poeta Calvo pollen deus<(i> e con altre parole da Esichio di Alessandria (V sec. d.C.), la Venere barbuta è citata come Venere cipriota, da chi concorda con chi la considera una dea della guerra di Cipro nomata, in precedenza, Citera. A Luigi Palma di Cesnola (1832-1904), diplomatico e archeologo nato a Rivarolo nel Canavese, spetta il merito di avere rinvenuto due esemplari di tale Venere barbuta durante alcuni scavi a Cipro, argomento di una relazione che comprende questo brano: «Così vi ho pur rinvenute due Statuette raffiguranti Venere colla barba (Barbuta) di cui cercheresti indarno un esemplare in qualunque Museo del mondo, e che spiegherebbe ora in certo qual modo perché la Dea vi fosse anche chiamata Ermafrodite». (Da una «Narrazione» di Giovacchino De Agostini,Tip. Fratelli Guglielmoni, Vercelli gennaio 1871).
I lanzichenecchi, in buona parte luterani e rabbiosamente antipapali, saccheggiatori a Roma nel maggio 1527, hanno portato barbe e capelli intrecciati…: «Alti di statura, aspetto selvaggio, maniche e brache a sbuffo, agitatori con terrificante disinvoltura di picche, alabarde smisurate e spadoni impugnati con due mani». A Roma, vi furono almeno trentamila uomini atti alle armi, dai sedici ai cinquant’anni, durante i giorni del Sacco, e tra questi «…n’erano molti usi alla guerra; molti romani altieri, usi a star sempre in brighe, con barbe insino al petto» (Francesco Vettori 1474 – 1539).
Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro (1475-1541) ebbe successo immediato nel Perù governato da Atahualpa, re degli Incas, perché al momento dello sbarco i suoi armigeri barbuti furono creduti cloni del dio barbuto incas Viracocha e per tale motivo non furono immediatamente contrastati o combattuti.
La barba divenne moda nel Cinquecento, secolo in cui fu coltivata dai Grandi del momento, in tutte le forme che, subendo alcune modifiche, si moltiplicarono. Leonardo, Michelangelo, Torquato Tasso, Pietro Aretino, Galileo Galilei, il Bembo e il Tiziano, sono alcuni Grandi di tale secolo (soffermandomi tra gli artisti e i letterati per talune affinità condivisibili). Lo stesso Raffaello fu sedotto da tale moda: in un ritratto di G. Busone, infatti, è raffigurato col viso barbuto. Verso la metà del secolo cominciarono a coltivarla un po’ tutti gli artisti, gli uomini di governo, i Papi e, per emulazione e inflazione anche alcuni rappresentanti della plebe. A proposito della maestosa barba del Mosè di Michelangelo, il Vasari ha scritto che è scolpita con una perfezione tale da sembrare più «opera di pennello che di scalpello». Secondo la fantasia popolare, nella barba del Mosè, sotto il labbro inferiore, leggermente a destra, Michelangelo avrebbe scolpito il profilo di papa Giulio II e una testa di donna. Clemente VII (Papa) nel 1527, per il dolore del Sacco di Roma, si lasciò crescere la barba e molti sacerdoti, anche in Francia, lo imitarono. Ma il loro re Francesco I (1494-1547) ottenne un breve in cui fu stabilito che gli ecclesiastici dovevano pagare per non radersi. Baffi, pizzetti e mosche, come varianti della barba si sono diffusi in tutta Europa a partire del Rinascimento.
L’uso d’incipriare la barba è da attribuirsi ai francesi che lo introdussero durante il regno di Luigi XV (1710-1774).
Nella Bibliothèque de L’Arsenal a Parigi, c’è una busta che contiene segmenti di peli, lunghi un millimetro un millimetro e mezzo. Su tale busta c’è scritto: «La mia barba». Alla data, segue la firma di Victor Hugo (1802-1885).
Gli Enciclopedisti francesi del 1700, tutti sbarbati, hanno sostenuto che la forza sta nella peluria facciale e l’intelligenza e la classe nella sua assenza.
L’ukraino Petro Prokopovych (1775-1850), considerato l’inventore dell’apicoltura moderna, ha costruito per primo sul proprio volto una barba fatta di api. «La sua performance, che fu presto riproposta nei sideshow e nei circhi itineranti di tutto il mondo, si basava su una semplice ma ingegnosa trovata: appendere sotto il mento una piccola cella contenente l’ape Regina viva. Attratte dai suoi feromoni, le altre api si dirigevano verso la minuscola scatoletta e vi si accatastavano a migliaia».[1]
Il francese Louis Coulon (1826-1897) si è lasciata crescere la barba e i baffi a cominciare dalla più tenera età, fino a ottenere una lunghezza di metri 3,30 per la barba e un metro e mezzo per i baffi. Nel 1973, in un giorno del mese di aprile, il sarto indiano novantenne Maukha di Hardaspur è morto nello stato dell’Uttar Pradesh, accendendosi un sigaro e incidentalmente anche la barba, lunga 70 cm., cosparsa di olii odorosi e infiammabili. Nel 1975 Sorrisi e Canzoni ha notiziato un cittadino norvegese sessantaduenne, cognomato Langseth, come pedone deambulante con un sacchetto di plastica appeso al collo, contenitore di una barba color biondo con qualche filo grigio, lunga sette metri, non avendola mai rasata a cominciare dal 1946.
Nel 1960, a Parigi, il vigile urbano André Mayer fu l’unico flic della capitale portatore di barba disapprovato dai cosiddetti Organi Superiori, ai quali si oppose con ogni mezzo, vanificando ogni ordine di radersela fino a che gliela dettero vinta, come suol dirsi, a condizione che fosse ben tenuta e non provocasse riso e ridicolaggini.
Con regolamento datato 15 dicembre 1973 la reale compagnia aerea olandese KLM ha stabilito la lunghezza delle basette e dei baffi dei piloti, col divieto della barba non rasata, giustificandosi col dire che le barbe dei piloti non sono ben accette da molti passeggeri e per consentire una più rapida applicazione delle maschere a ossigeno. Anton Kool pilota barbicultore quarantenne, componente di un gruppo di venticinque piloti KLM barbicultori, è stato sospeso dal lavoro a tempo indeterminato, perché si è rifiutato di tagliarla. Fino al giorno in cui ha deciso di capitolare e se l’è tagliata, per non perdere il posto, contrariando i suoi tre figli e causando un esaurimento nervoso alla moglie.
Richard (Milhous) Nixon (1913-1994), 37° Presidente USA dal 1969 al 1974, affetto da pogoniasi e dotato di una barba piuttosto fitta, ha avuto un volto con evidenti ombre scure sulle guance alle cinque del mattino, a mezzogiorno, alle nove di sera e (probabilmente) anche durante le ore piccole, con grave disappunto dei responsabili della sua immagine che lo hanno obbligato a sottoporsi a più rasature giornaliere: persuadendolo a far ciò col dirgli che, siccome gli uomini dalle mascelle perennemente azzurrine hanno sempre l’aria di chi si sia alzato al mattino in fretta e furia, come Presidente USA non era opportuno fornire tale impressione.
L’ufficio ricerche di una celebre marca di lamette ha calcolato che quanti sono affetti da pogoniasi si tagliano al giorno tanta barba da poter mettere assieme un unico pelo lungo circa nove metri: se non ci credete, mettete in fila, in bell’ordine, i piccoli segmenti di barba recisi dal rasoio, come del resto avranno fatto quelli dell’ufficio ricerche per giungere a una tale conclusione.
Donald Horner, insegnante di psicologia in un college del Missouri, si è dimesso perché il rettore ha preteso che si tagliasse la barba, così motivando le sue dimissioni: «Il regolamento prescrive soltanto una buona rasatura». Il rettore ha ribattuto: «È vero, ma è sottinteso che l’interpretazione esatta è una completa buona rasatura».
A un giornalista portatore di un fluente barbone nero, in odore di assunzione come redattore del Corriere della Sera diretto da Giovanni Spadolini (dal 1968 al 1972), fu consigliato di radersi prima d’incontrare per la prima volta il Direttore barbifobo. Così fece.
Nel 1976 il baritono barbicultore Renato Bruson fu sostituito dal giovane Leo Nucci per essersi rifiutato di tagliarsi la barba, suo arredo pilifero facciale da dieci anni, interpretando Scarpia nella messa in scena della Tosca al Teatro Reggio di Parma, con Rajna Kabaiwanska e Josè Carreras. Il regista Dario Dalla Corte lo pretese, poiché Scarpia è il prefetto di polizia papale, siamo nell’Ottocento e i prefetti di polizia non hanno barbe.
Nella città del Cairo, il 6 ottobre 1981, l’assassinio di Anwar Al-Sadat (nato nel 1918), causò un improvviso aumento di clienti nelle sale da barba, perché numerosi egiziani barbuti si fecero tagliare la barba per non essere fermati dalla polizia impegnata a sospettare di ogni portatore di barba coltivata, poiché un gran numero degli indiziati come complici dell’assassino portavano barbe lunghe.
Paul Breitner giocatore del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, nel 1982 firmò un contratto pubblicitario con una casa di prodotti per la barba disposta a versargli 150.000 marchi (170 milioni di lire italiane), a condizione che si tagliasse la barba che coltivava da otto anni.
Nel 1982, Adriano Adami, direttore della Cassa Lombarda Banca Cambio di Milano, è stato processato per condotta antisindacale, perché si è rifiutato, durante una riunione sindacale, di trattare col barbicultore Ambrogio Rossi rappresentante della FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani) dicendo: «Con lei non parlo, perché io non voglio discutere con le persone barbute».
A tutti i poliziotti di Amburgo è stato vietato nel 1985 di lasciarsi crescere barba e baffi, perché impediscono l’uso corretto della maschere antigas. Contro la rasatura immediata, però, qualcuno ha protestato affermando che il provvedimento «limiterebbe» la libertà di espressione.
«Io non ho bisogno dei baffi perché ho il cervello, invece mi sa tanto che tu ti sei fatto crescere la barba perché in testa non hai idee», disse Ciricaco De Mita (presidente della Democrazia Cristiana) a Giovanni Goria (ministro democristiano in carica) in un ufficio di Piazza Del Gesù a Roma (in la Repubblica del 12.6.1992): sottovalutando l’azione giudiziaria logotipata Mani Pulite che avrebbero deruolato e depotenziato entrambi in tempi brevi.
Nel 1993 l’ex deputato Francesco Barbaccia, che per vent’anni aveva curato capi e picciotti detenuti nel carcere palermitano dell’Ucciardone, fu arrestato per associazione mafiosa accusato di essere un uomo d’onore combinato dal boss Gaetano Badalamenti, a Favarella, la tenuta di Michele Greco. L’ex deputato cognomato Barbaccia era entrato a far parte di Cosa Nostra qualche anno dopo aver lasciato Montecitorio, dove aveva occupato un seggio per due legislature.
Il Sindacato Italiano Unitario dei Lavoratori di Polizia (SIULP) di Ferrara, nel settembre 1993, invitò tutti gli operatori a lasciarsi crescere, nel pieno rispetto del regolamento di servizio e con la massima cura: se uomini barba, baffi e capelli, se donne la chioma, in segno di protesta contro l’immobilismo e lo scarso impegno dimostrato dai vertici dell’amministrazione della P.S., relativamente alle problematiche e alle rivendicazioni sindacali del momento.
Un soldato che nella vita borghese faceva il barbiere, riceve dal suo capitano un ordine apparentemente molto ragionevole: fare la barba a tutti coloro – e soltanto a coloro – che, nella compagnia, non si fanno la barba da sé. Venuto il momento di radersi, il soldato pensa e si paralizza. Se si fa la barba trasgredisce l’ordine ricevuto, che era di radere soltanto coloro che non si radono da sé. Il grave è che, anche se si rade trasgredisce l’ordine, perché, in questo caso, entra a far parte della categoria di coloro che dovrebbe radere: di coloro che non si fanno la barba da sé. Quanto, tale soldato, abbia pensato a lungo prima di decidere che fare, lo ignoro. Ignorando, anche, quanto e come il Paradosso del Barbiere formulato nel 1918 da Bertrand Russell, possa aver determinato il capitano a ordinare la rasatura e il barbiere a eseguirla senza trasgredire l’ordine ricevuto.[2]
Tra i reparti degli alpini, quello degli Zappatori ha obbligato tutti i suoi componenti alla coltivazione della barba per rispettare una gloriosa tradizione e come segno distintivo del reparto. Nel 1936, però, è accaduto che alcune matricole del reparto si sono rifiutate di rispettarla. Non l’avessero mai fatto! Il capitano Lucciani, loro comandante, ha ordinato l’applicazione di barbe finte sui loro volti. L’ordine è stato eseguito.
Negli USA le barbe sono state vietate a tutti i componenti dell’esercito e dell’aviazione, poi sono diventate tabù anche per la marina. Non rappresenta un problema per i componenti della cosiddetta società civile. Tuttavia, nella maggior parte delle aziende negli Stati Uniti, un uomo con barba folta ha scarse possibilità di carriera, perché difficilmente sarà prescelto per occupare una posizione manageriale, in particolare una posizione di servizio nel settore delle vendite. L’immagine è business: quindi, tutti preferibilmente rasati e pettinati.
Nel 2009, centinaia di uomini barbuti in atteggiamenti pavoneschi ai Campionati Mondiali di Barba e Moustache in Alaska (Anchorage), sono stati fotografati e collezionati da Matthew Rainwaters che li ha poi pubblicati in un libro intitolato Beard, divenuto vetrina cartacea di peluria sul viso, con testi scritti da alcuni dei concorrenti.
La cattura di Osama Bin Laden sarebbe stata vaticinata da Nostradamus (1503-1566) scrivendo queste parole: «Nascosto e preso, tirato fuori per la barba…» (quartina 29 della centuria n.10).[3]
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