E sotto i riccioli sbucò lo statista
Tra storia e politica. Riscoperte
Un volume curato da Gennaro Acquaviva, con numerosi scritti ed interventi di noti esponenti politici, dedicato al riformismo del leader socialista Gianni De Michelis a due anni dalla scomparsa. È stato presentato a Venezia, sua città natale, nella sede del circolo culturale Renato Nardi, da tre esponenti dei maggiori partiti del Novecento, Luigi Giordani del Psi, Cesare De Piccoli del Pci, Ettore Bonalberti della Dc.
VENEZIA – C’è chi lo ricorda per i capelli. Chi per i balli. Chi per le feste. Qualcuno per tangentopoli. Poi c’è chi, specie tra i più giovani, non lo ricorda affatto. E tra quelli che lo ricordano, non sono in molti che ricordano che sotto i capelli talora luccicanti di brillantina brillava la testa di uno dei più illuminati statisti del Novecento.
Giuliano Amato, il Dottor Sottile, che è stato presidente del consiglio, lo ricorda perfettamente: «Per meritare a Gianni De Michelis la qualifica di statista, basterebbe da solo il lavoro che svolse nel ruolo di ministro degli esteri. Qui la sua lucidità e la sua lungimiranza si sarebbero applicate non già a spicchi, pure importanti, della vita economica e sociale, le partecipazioni statali (di cui fu ministro) o il potere d’acquisto dei salari (fu anche ministro del lavoro), ma alle prospettive geopolitiche globali dopo la caduta del muro di Berlino e al ruolo che avrebbero potuto giocare l’Italia e l’Europa». «Pochissimi hanno avuto la visione che ha avuto De Michelis – continua Amato — in un tempo in cui prevaleva il trionfalismo della storia ormai finita e di un futuro segnato dalla pacifica espansione dell’economia di mercato e della democrazia liberale».
Che sotto i riccioli ci fosse di più, e magari non tutti se ne sono accorti, giunge opportuno a ricordarcelo, a due anni dalla scomparsa, un bel volumotto di 325 pagine (25 euro) voluto e finanziato dalla Fondazione Socialismo per i tipi di Marsilio e curato da Gennaro Acquaviva, che di De Michelis ama sottolineare, insieme al carattere «entusiasta e irrefrenabile, fortemente positivo», il ruolo di «promozione, di sostegno, di guida, che è fondamentale per l’avvio della costruzione di una forza socialista autonoma e preparata al nuovo». «De Michelis – sostiene Acquaviva — è infatti capace di aiutare questo mondo a emergere e ad affermarsi, spesso rompendo una cappa fatta di riti antichi, di graduatorie tradizionali, di burocrazie clientelari e fin troppo localistiche, che molte volte nel passato lo avevano depresso, deviato, devitalizzato».
Il libro (prefazione di Piero Craveri), che raccoglie scritti dello stesso De Michelis e di molti esponenti politici e sociali del suo e di altri partiti, da Sabino Cassese a Giuseppe De Rita, da Luigi Covatta a Claudio Signorile, da Giorgio Benvenuto a Luigi Zanda, è stato presentato ufficialmente a Venezia, la città natale di Gianni De Michelis (1940-2019) nella sede del circolo culturale Renato Nardi alla Giudecca, e ha visto gli interventi dello scrittore Riccardo Calimani e di tre pezzi da novanta dei maggiori partiti del Novecento, Luigi Giordani del Psi, Cesare De Piccoli del Pci ed Ettore Bonalberti della Dc.
È stato proprio Giordani, membro della direzione nazionale del Psi e anima storica del socialismo veneziano, a ripercorrere la carriera politica di De Michelis, sin da quando fu proprio lui il responsabile dell’iniziazione socialista di quel ragazzo esuberante che era stato colto da un’infatuazione giovanile (fortunatamente presto superata) per i movimenti d’ispirazione monarchica. Cesare De Piccoli, che è stato eurodeputato e vicesindaco di Venezia, ha ricordato il rapporto spesso tormentato tra socialisti e comunisti, gli amori e i disamori, riconoscendo che all’epoca «l’apporto dei socialisti fu più qualificato», e rammaricandosi che negli anni venuti dopo si sia cercato di tutto per «smantellare il passato e la memoria».
Ettore Bonalberti, influente dirigente nazionale della Democrazia Cristiana, ha battuto il tasto dell’importanza delle «grandi culture riformiste» di matrice cattolica, socialista e comunista, «che oggi si sono esaurite per lasciare spazio al nulla», ed ha sostenuto la necessità di «riportare in auge» le culture delle grandi forze riformiste che hanno redatto la Costituzione. Lo scrittore Riccardo Calimani ha ricordato i primi passi del giovane De Michelis, di cui ha lo colpiva soprattutto «la velocità di pensiero». «Credo che il mondo socialista meriti più attenzione», ha aggiunto.
Era esattamente il pensiero di De Michelis. «Ero convinto, in un misto di utopia e ideologia – scriveva — che il problema fosse utilizzare la chance offerta dallo sviluppo e dalla tecnologia per attuare grandi disegni globali e per rilanciare l’impegno politico e sociale. Il problema era “come” utilizzare questa occasione di cambiamento negli anni in cui vigeva una netta separazione tra coloro che credevano nel metodo drastico, i massimalisti, i rivoluzionari, e coloro che non ci credevano, i riformisti». De Michelis aveva aderito alla Sinistra Socialista di Riccardo Lombardi, che rappresentava a quel tempo «l’ala moderna del partito, la componente più riformista e propositiva».
L’ipotesi rivoluzionaria, infatti, non era più, come nell’Ottocento, una delle ipotesi. «Il riformismo non è più l’antitesi della rivoluzione – sono sempre parole di De Michelis — e non c’è più la possibilità di una contrapposizione nitida tra due grandi schieramenti politici o sociali, perché non c’è più la base sociale di una spartizione nitida tra interessi conservatori e interessi progressisti o di liberazione». Di qui il rischio dei fondamentalismi, che nascono in fasi di grandi cambiamenti storici con il tentativo di sostituire alle certezze laiche delle certezze ultraterrene, metafisiche, irrazionali. «Ma il movimentismo, che è a monte del fondamentalismo, anche se spesso ha radici giuste, poi non esprime alcun tipo di soluzione. L’unica strada per rispondere ai fondamentalismi ed evitare i rischi connessi con il loro dilagare, è il riformismo». Parole profetiche.
Di qui la necessità di «prevedere, progettare, guidare il cambiamento» (discorso al congresso socialista di Rimini del 1987): «questo è il nuovo riformismo che i socialisti oppongono alla conservazione e all’arroccamento difensivo dei piccoli e grandi interessi tradizionali in un Paese sollecitato a rapide trasformazioni». Con l’attenzione sempre all’obiettivo principale della sua politica: il lavoro. «Bisogna far diventare la battaglia per l’occupazione un vero grande problema politico, passando dalle enunciazioni ideologiche e di principio ai fatti concreti; rompendo gli unanimismi astratti e di maniera e avviando lo scontro tra chi vuole veramente la soluzione del problema e chi pensa che la disoccupazione sia il prezzo da pagare nella transizione al XXI secolo».
«Dallo scontro per far diventare la battaglia per l’occupazione il vero nodo politico, la nuova vera discriminante tra destra e sinistra, dovranno derivare le capacità propositive e decisionali in grado di imporre reali valori solidaristici alla nostra società. Nel momento in cui l’occupazione diverrà l’obiettivo centrale aumenteranno le capacità di intervento e di presa sul sistema all’interno di un disegno globale di politica economica».
Parole da statista e leader politico. Gente di cui si avverte brutalmente la mancanza, tanto più in quest’epoca di politici mediocri, d’incapacità, d’ignoranza e di arroganza.
LA PAGELLA
Gianni De Michelis. Voto: 8,5
(Il riformismo di Gianni De Michelis, a cura di Gennaro Acquaviva, Marsilio)