La sconfitta dell’Arzanà
Il fallimento di una classe dirigente
Lo smembramento dell’Arsenale di Venezia, un pezzo alla Marina militare, l’altro alla Biennale, certifica, nella confusione delle idee e nell’assenza di un progetto unitario e credibile, la drammatica impotenza e l’incapacità della classe dirigente della città che fu Serenissima, ormai ridotta ai minimi termini.
VENEZIA – Mettono tristezza e destano istinti di rabbia le ultime indicibili vicende relative all’annosa questione, eternamente dibattuta e mai avviata a soluzione, dell’Arsenale di Venezia, che in base agli ultimi accordi viene restituito, per una parte, alla Marina Militare, che ormai da tempo non sa più cosa farsene, e per l’altra parte viene regalato alla Biennale, che di spazi, nella città che fu Serenissima, ne occupa già abbastanza, e non sempre in modo pertinente.
I Giardini, per dirne una, che le vennero graziosamente affidati in cura, restano vergognosamente chiusi alla città, con i loro bei padiglioni addormentati, nei lunghi mesi in cui non vengono utilizzati per le mostre. Difficile sostenere, manie di grandezza a parte, che ha bisogno di nuovi spazi. E pensare che per decenni, nell’ultimo mezzo secolo, classi dirigenti più avvedute di quelle attuali si erano battute allo stremo per restituire l’Arsenale alla città, quello spazio enorme, un pezzo di città nella città, quarantotto ettari di terre e di acque, di edifici e capannoni abbandonati e malandati, dove la presenza dei militari, per loro stessa ammissione, aveva perso da tempo di avere una qualsiasi ragione per esistere.
Si immaginava ben altro destino per quell’ «Arzanà de’ Viniziani» cantato da Dante dove «bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani» (Canto XXI dell’Inferno). Si immaginava uno spazio pubblico, logicamente, aperto sempre e a tutti, non sequestrato da militari improbabili e artisti presunti. Un luogo di arti e di mestieri, di svago e di cultura. Un luogo, insomma, dove poter andare in qualsiasi momento a fare qualsiasi cosa. Anche niente.
Ecco quello che è mancato. Dove le classi dirigenti che hanno governato Venezia – e l’ultima è di gran lunga la peggiore – hanno miseramente fallito. Non sono state capaci – e sì che il tempo non è certo mancato – di farsi venire un’idea per l’Arsenale, di elaborare un progetto, di discuterlo con le varie espressioni della cittadinanza, di creare consenso intorno a un’operazione che non può venire calata dall’alto, di cercare i finanziamenti necessari, di darsi delle scadenze.
Serviva un progetto unitario per l’Arsenale, data anche la tipologia particolare di quello spazio. Un’idea. Una sola. Ma potente, vincente. Non serve a nulla, anzi è dannoso, frammentarne gli spazi, dividere le competenze, fare una cosa qui e quell’altra lì, darne un pezzettino a Caio e l’altro a Sempronio, così, tanto per accontentare tutti. Significa abdicare, da parte dell’amministrazione comunale, al proprio ruolo di guida e di governo del territorio. E certificare in modo drammatico la propria tragica impotenza, denunciare la propria incompetenza. Il risultato è l’avvilimento, lo smantellamento, la distruzione di un bene collettivo. In una parola, il disastro.
Non tocca a chi scrive dire cosa avrebbe potuto essere l’Arsenale. Avrebbe potuto essere molte cose, e molte cose sono state dette, alcune interessanti, altre meno. Di sicuro doveva diventare una cosa sola, perché l’operazione avesse un senso. Ma bisognava avere la capacità e il coraggio di saper scegliere e decidere. Se farne un parco pubblico di svago e di divertimento, tanto per dirne una, sul modello (vincente) del Parc de La Villette a Parigi, o se farne, tanto per dirne un’altra, quel Museo della Città (vivo e vivibile, non certo statico e morto), di cui una città come Venezia, a differenza di molte capitali mondiali, incredibilmente è ancora priva.
Insomma, ci voleva un progetto. Un progetto che per l’incapacità dei governanti non c’è mai stato. Possibilmente credibile, convincente e condiviso. Magari anche modesto. Magari anche qualunque. Ma un progetto, uno solo. Al limite, meglio un cattivo progetto che nessun progetto. Altrimenti tanto valeva evitarsi tutto questo nefasto chiacchiericcio. E lasciare, fin dal principio, tutto in mano ai militari. Almeno avremmo passato fanciullescamente il tempo a guardarli sfilare impettiti lungo il rio delle Galeazze fasciati nelle loro eleganti divise. Quelle della Marina, non v’è dubbio, sono le più belle.