Un salto
nel buio
Il grande sognatore
Preparazione alla partenza completata con enorme bagaglio di due metri cubi, pronto, forma fisica buona dopo quattro mesi di preparazione atletica, animo deciso e alle cinque del mattino, quando il buio esterno inesorabilmente si dissolve per far posto alle prime luminescenze dell’alba, lascio casa di Donna Lucia al Lido di Venezia… già; Donna Lucia, incontrata casualmente e l’anno successivo divenuta mia compagna, dopo un iniziale periodo alquanto libertino dovuto alla grave malattia che ancora mi attanagliava e che mi ha perseguitato per più di un anno e mezzo, con grande felicità della mia mano destra, finalmente impegnata in normali attività lavorative.
Onestamente non mi ritengo particolarmente superstizioso ma ben ricordo il primo giorno che da novello navigatore, feci il mio ingresso a casa della mia futura compagna: il grande giardino con le palme, il verde prato, la deliziosa casa fronte mare a due piani dotata di raffinati mobili intarsiati in oriente e bella donna compresa, svaniscono in un baleno, dissolvendosi, mentre osservo il grande quadro del Titanic appeso in soggiorno ed il coniglio di casa quasi mi caga sulle scarpe; un leggero brivido mi percorre la schiena mentre mi afferro sorridendo i gioielli di famiglia. Forse è solo una reazione nervosa.
05 maggio 2014: Poco meno di duecento metri separano la casa di donna Lucia dalla laguna, dove c’è la Avl (Associazione velica Lido), in quel punto la microscopica isola del Lido di Venezia è larga poco più di trecento metri: mare da una parte, laguna dall’altra, e lì mi aspetta il fedele Nervetti, piccolo Boston Wahler di quattro metri munito di un motore da nove cavalli.
La laguna a quell’ora, sempre la visibilità lo permetta, è semplicemente stupefacente: Nervetti, agile e scattante, taglia rapido l’acqua perfettamente liscia e piatta che riflette la luce del nascente sole alle mie spalle e la città intera, di un dorato colore, è contornata da mistiche montagne dalle cime innevate e dai Colli Euganei… Che spettacolo, quale fortuna! Che privilegio!
Mi sento gasato e combattuto… lo sento, ho paura. Questa notte ho dormito poco ma non lascio posto al lato oscuro e paure, dubbi, indecisioni provo a lasciarmele dietro: Sarei tornato? Ce l’avrei fatta? Sto facendo una cazzata da cinquantenne separato? Sarò in grado di portare a termine ciò che mi sono prefissato?
Guardo la mia incantevole città-patria e penso ai nostri Vecchi, alle loro paure, alle tante incognite che affrontarono, alle geniali soluzioni che inventarono… a quanti salti nel buio avevano fatto, e, qualcosa da dentro, mi dice che, nel mio piccolo, anch’io c’è la farò.
Plana leggero e veloce il prode Nervetti mentre i miei occhi si riempiono di lacrime di gioia per l’emozione di quel attimo irripetibile, in un esplosione di luce dorata si va’ per una nuova vita: è l’inizio. Adesso si fa’ sul serio. Taglio sopra barena navigando rapido in poco più di cinquanta centimetri d’acqua e in poco meno di mezz’ora sono nel cuore della Città, passo sotto il ponte di Rialto, passo per la ex casa del mio vicino, tale Polo Marco (non mi stupirei di vederlo apparire alla finestra, chiedermi cosa sto facendo e dopo avergli esposto il mio piccolo progetto, dirmi, chiudendo lo scuro: «Torna a casa, mona!»)
Percorro il Rio del Piombo ed in breve arrivo a San Lio, dove, con il fidato Jacopo, carichiamo rapidi barca e successivamente furgone che ho noleggiato per questo viaggio. Parto per Merano dove mi attende Giorgio che è un amico con dieci anni di esperienza nei lavori di cantieristica, manutenzione e riparazioni di imbarcazioni, velista non esperto ma dotato (in quanto proveniente da Merano) di una mente tedesca, cioè organizzativa e capace di seguire un programma definito. Cosa sconosciuta e quasi impossibile per quella di un italiano.
In questa prima fase è esattamente la persona di cui ho bisogno per acquistare e fornire la mia nuova imbarcazione di tutto cio che è necessario al suo funzionamento e mantenimento, così, visto che Giorgio è momentaneamente senza lavoro ed è munito di patente nautica, altra cosa che non ho, lo assumo per i tre mesi successivi.
Arrivo a Merano la sera ed il giorno dopo siamo in marcia per la Bretagna; tagliando a nord per le innevate montagne della Svizzera dove abbiamo l’onore di degustare il caffè dei record, come lo abbiamo chiamato: la orribile oste, minorata mentalmente dal suo visibile razzismo, parola mia che sono alto, biondo e con gli occhi chiari (non proprio biondo, biondo… diciamo che attualmente li tingo apposta di grigio), ci ha fornito il caffè più disgustoso e caro ( 6 euro a tazzina) della mia vita: è proprio vero che quando gli Svizzeri devono fare qualcosa la fanno bene e fino in fondo. Tanto in alto… quanto in basso.
Passata la impeccabile terra svizzera, viaggiamo tranquilli attraverso una Francia semi deserta per festa nazionale e la notte, dopo aver percorso milleduecento chilometri, ci fermiamo a dormire a sud di Parigi per poi arrivare, nel primo pomeriggio del giorno dopo, in Bretagna, a Combrit, sede del cantiere, dove scopro, con mio grande rammarico, che la barca è in ritardo di circa un mese e sarà probabilmente pronta alla fine di maggio, così, dopo una serratissima ed intensa riunione serale al Bar del Pirata, verso le prime ore del mattino, decidiamo di prendere una casa in affitto nella tranquilla Saint Marine, al numero 3 Impasse de Malakoff.
La casetta di due piani in pietra, piccola e accogliente, si trova all’interno di una stradina di ciottoli che una ventina di metri più avanti si trasforma in un ripido e breve sentiero tra gli alberi che porta al mare, proprio dove il fiume lo incontra, e laggiù , dove finisce la foresta verde, inizia quella bianca: sono gli alberi della barche a vela che formano piccole foreste galleggianti di bianchi alberi senza foglie, e le foreste galleggianti sono numerosissime in Bretagna, da Roscoff fino alla Rochelle.
Incantevole questo angolo della Bretagna: il fiume Odet separa, non solo fisicamente, i Bretoni della Cornovaglia, dai Bretoni Begouden: da una parte, parlo della Cornovaglia, terra ricca e fertile, diciamo per semplificare, vita facile nella turistica Benodet, mentre nella vicina terra Begouden, dall’altra parte del fiume, a Saint Marine, vita dura, terra spazzata dai venti, mare feroce e implacabile. La storica rivalità e l’astio tra le due sponde è ora cosa passata e nel 1985 venne costruito anche un ponte per connettere agevolmente le due parti: prima c’era il traghetto che univa le due rive, e, a detta di alcuni locali, si attendeva solamente la partita di calcio per, finalmente e civilmente, potersele dare di santa ragione.
Saint Marine è piccola e coccola con i suoi due bar, tre creperie, un ristorante, un mini-market, l’immancabile boulangerie e una piccola caletta, giusto alla foce del fiume Odet ed il Cafe de la Cal si trova propio all’inizio della caletta, il che permette di avere una eccezionale visuale del fiume che sfocia ad un centinaio di metri. Mentre passano i giorni, il ritardo della barca, che potrebbe sembrare una seccatura, mi dà invece la possibilità di preparare al meglio l’attrezzatura della stessa. E soprattutto di iniziare a conoscere la popolazione locale e di gustare questa terra ricca di tradizione e cultura. Per fortuna mia, nella piccola Saint Marine, essendo un luogo altamente civilizzato, esiste, come da noi, la tradizione dell’aperitivo serale e, proprio come da noi a Venezia, non hai bisogno di telefonare o di dare appuntamento a qualcuno: semplicemente ti rechi in un luogo già conosciuto dove sai che conviviali amici saranno più o meno presenti.
Potrei chiamarle schermaglie dei primi giorni ma in realtà la presentazione bretone veneziana fu fondamentale per mettere in chiaro una linea di reciproco rispetto di identità millenarie.In genere i primi incontri si svolgevano pressapoco con la medesima modalità. Qui ci si saluta con una stretta di mano, arrivo, mi presento e a quel punto mi chiedono da dove vengo… risposta: «vengo da Venezia».
«Ah. Italiano.»
Ed io: «No: di Venezia.»
«Sì certo, sei Italiano»
Ed io: «Dipende; tu sei Bretone o Francese?»
A quel punto, gonfiato il petto, l’interlocutore rispondeva con solare franchezza: «Bretone!»
Ed io: «Appunto, ed io sono Veneziano.»
Messo in chiaro il punto tutti contenti; personalmente infatti mi ritengo prima Veneziano, poi Italiano e poi, orgogliosamente Europeo.
Mi prendono in giro per il mio pessimo accento francese ed io ribatto facendogli battere le doppie: difatti, se volete mettere un francese in seria difficoltà linguistica, provate un po’ a fargli pronunciare, per esempio, burro, arrecare o altre simili parole con doppie.
Il ritardo mi dà un progressivo senso di noia ed un pizzico di invidia, mentre guardo uscire centinaia di barche al giorno comodamente seduto al Cafe de la Cale, dove, di giorno in giorno, si consolida la reciproca conoscenza, mentre da entrambe le parti si raccontano storie ed aneddoti presenti e passati.
Vela come materia facoltativa a scuola… così è in Francia.
Per quanto mi riguarda, sono un neofita nella terra dei velisti per eccellenza: qui in Bretagna, se non diventi esperto velista, è meglio che te ne resti a terra; nessuno, aspiranti suicidi a parte, esce in questo mare senza le adeguate conoscenze. Comprendo subito che qui la vela è veramente popolare, nel più nobile dei significati che si può attribuire a questa parola.
È proprio vero che le persone più grandi sono sempre accompagnate da umiltà e semplicità, e più grandi sono, più sono tranquille e non hanno né il bisogno di dimostrare nè quello di farsi vedere e tantomeno quello di vantarsi: nella mia avventurosa esistenza, ho avuto la fortuna ed il piacere di conoscere, nonostante la mia profonda ignoranza i quasi tutti i campi della vita, parecchi personaggi famosi ed importanti nel loro specifico e tra questi non ne ho mai trovato uno altezzoso o sbruffone… se sono veramente grandi, non ne hanno bisogno.
998 IL PATTO
Secondogenito di una nuova e potente famiglia di commercianti da poco entrata nella aristocrazia veneziana, Niccolò, votato alla diplomazia ed emulo degli evoluti costumi di Bisanzio faceva parte della nuova classe dirigente che si andava formando in quei decenni, evoluta ed erudita, pronta ad incrementare il valore dei propri commerci evitando la guerra a costo di dover pagare dazio o di mostrare sottomissione pur di poter fare ciò che era vitale ; una classe dirigente mercantile che apportasse ricchezza, benessere e prosperità usando la diplomazia ed evitando la guerra, inutile dispendio di tempo, denaro, vite ed energie.
Niccolò, come era suo uso e costume, aveva, ancora una volta, preso in giro il suo amico: non completamente come era solito fare, ma dicendogli una mezza verità alla sua maniera ; vero era che a Bepi erano state affidate delle galere in qualità di comandante, ma le galere erano solo tre, cioè quelle spettanti ad ogni comandante della grande spedizione e non le preventivate e dichiarate quindici che, come ben sapeva l’arguto Niccolò, ora pesavano come macigni sulle spalle del Bepi in attesa della convocazione ufficiale dei comandanti presso il palazzo, del Doge.
Il Bepi, nel frattempo, era, con gran goduria del Niccolò e del Maffio ormai partecipe anch’esso, sprofondato in un cupo secchio di torbidi pensieri: come avrebbe fatto? Ben quindici navi da comandare! Iniziò a mangiare poco, a gettarsi sull’unico libro marinaresco in suo possesso ed a prendere appunti di ogni tipo ripetendo ad alta voce il tutto, camminando per la stanza sotto gli occhi alquanto preoccupati della moglie; chiuse l’attività lavorativa e trascorse due notti insonni difronte alla carta nautica che il Niccolò gli aveva fornito, per imparare, quasi a memoria, porti, ricoveri, insenature e quant’altro tenendo sveglia anche il resto della famiglia che di tanto in tanto era costretta ad interrogarlo, mappa alla mano.
In quell’afoso pomeriggio, madido di sudore e con gli occhi ormai rossi come due braci, attendeva l’arrivo del crepuscolo serale per incontrarsi con gli amici all’ostaria dal Pansa.
Ci andò quattro ore prima; non c’è la faceva più di stare a casa e sarebbe passato nella bottega del mastro intagliatore per chiedere consigli e suggerimenti: la posta in gioco era grossa… guerra ai pirati… li cancelleremo dalla faccia del nostro golfo… e lui avrebbe dovuto fare al meglio la sua parte: sentiva che la Repubblica gli stava dando una ulteriore possibilità di crescere e di cambiare il suo status di cittadino.
Voleva anche lui entrare a far parte di quella nuova classe dirigente mercantile.
Maffio era da due giorni il nuovo allievo del Niccolò, si era infatti deciso, in vista de l’imminente entrata in guerra, ad apprendere l’arte del lancio del coltello… in fondo, sarebbe sempre potuto essere utile; l’occhio nero lo aveva ricavato da una rissa del giorno prima suonandole al figlio del venditore di giunchi, quel primitivo e barbaro scava terra, dalla lingua lunga e senza rispetto per nulla, soprattutto verso i Rialtini.
Si eran pestati a sangue dopo la assurda pretesa di quel maledetto selvaggio che aveva tentato di imbrogliare sul peso ed, alla richiesta di chiarimenti da parte del Maffio, gli aveva detto che il valore del carico sarebbe rimasto quello anche se ne mancavano parecchie balle; i giunchi sono importanti se si vuol iniziare a imbonire il terreno, e al Maffio, visto l’epilogo, non era propio andata giù.
Considerava la diplomazia l’arte dei deboli ma, essendo ignorante, non ne aveva mai osato discuterne con gli altri ed, in fondo, lui, era un uomo d’azione, trasportava sale verso terra e legno verso casa; legno per costruire, arginare, creare terreno, porte, finestre, case, tetti, moli, rive, ponti, barche e quant’altro l’ingegno umano poteva, con la forza e la abilità delle proprie mani, inventare, decorare, plasmare… altro che diplomazia!
Olio di gomito! Come le otto mude che si era fatto come galeotto per poi comprarsi le imbarcazioni con le quali rifornire la città di legno ed approvigionare la sua famiglia.
Seduto nervosamente sulla panca del cortile interno della Osteria del Pansa ed oramai al terzo bicchiere di rosso, Bepi navigava, ormai da ore, nei mari nebbiosi della sua mente, gli occhi rossi ed il volto scomposto di chi non ha dormito.
Niccolò e Maffio, superato il polveroso campiello, arrivarono all’Osteria mentre gli astanti si erano raggruppati tutti sul lato destro dell’entrata, degustando un bicchiere di vino rosso all’ombra, lasciando i due grandi tavoli esposti al sole e chiacchierando della grande spedizione che sarebbe avvenuta, della sua preparazione e del suo svolgimento: tale era l’importanza dell’argomento che oramai la città intera ne era direttamente o indirettamente coinvolta, anima, cuore e portafoglio.
Trascinato l’affranto Bepi all’esterno e svelatogli l’inganno, subirono ire ed insulti alquanto volgari sulle loro persone, le loro madri, padri e parenti sino alla terza generazione, aspettando bonari lo sfogo dell’amico, che, camminando nervosamente su e giù per il campiello alzava in aria un minaccioso e prosaico dito uncinato sfornando parolacce e maledizioni da fumo alcolico.
Passata la bufera e messo a sedere l’imbufalito Bepi, Niccolò espose a grandi linee le decisioni che sarebbero state prese e comunicate alla convocazione ufficiale dei comandanti al Castello di Olivolo che sarebbe avvenuta circa tra un mese.
«Andremo a riprenderci il golfo con tutte le nostre navi, da carico, da guerra e porteremo a traina le piccole Zelandrie per arrivare fin dentro le minuscole insenature, in più, ho convinto mio padre, che a sua volta ne ha parlato a chi è in potere, a sostituire buona parte delle catapulte con buone balliste che costruiremo in tre misure: la grande, fissa da prua o da poppa, la media movibile all’interno della nave e la piccola brandibile a mano così che gli arcieri possano farne buon uso.»
I tre per in un attimo di silenzio si guardarono negli occhi, avevano capito che da lì a poco non si sarebbe più giocato, che tra breve diplomazia, educazione, arte e parola sarebbero scomparse… ingoiate dalla guerra, digerite e cagate dalla morte.
Si strinsero la mano e si promisero semplicemente: «Partiamo in tre e tre ritorneremo!»
Scolato l’ultimo bicchiere i tre si salutarono: da domani al Castello di Olivolo, per i prossimi mesi ci prepareremo alla guerra, a tirare di arco e di ballista… ogni giorno almeno due ore dedicate.
Fate vela tutto l’anno
Alla foce dell’Odet nella piccola cala di S. Marine vengo attirato dal piccolo ufficio flottante, lo stesso, che avevo intravisto quella notte a Benodet mentre uscivo barcollante dal bar del pirata; è rosso, galleggia alquanto malconcio a fianco del pontone e mentre discendo la banchina leggo: Baleine Blanche, noleggio gommoni, barche a motore, con cartello «Fate vela tutto l’anno con Titou».
Guardo bene e, tra i gommoni vedo una barca a vela noleggiabile, così, per non restare con le mani in mano, mi presento e conosco Titou il proprietario, al quale affitto per cinque pomeriggi la AC 31. La prima volta usciamo insieme in una giornata di sole con una quindicina di nodi e mentre mostra e spiega il funzionamento della barca, lo ascolto affascinato, carpito dalla passione che fuoriesce dalle sue parole e dalla sua persona; dopo aver veleggiato per un paio d’ore sento veramente un buon feeling con questa persona che ho la sensazione di conoscere da tanto tempo.
Titou ha quasi la mia età, sposato con tre figli ed un matrimonio alla frutta; si chiacchiera, si beve l’aperitivo nel tardo pomeriggio, a volte si mangia insieme, ed un giorno, proprio difronte ad un succulento spiedino di capesante mi chiede se potrà uscire con me a barca pronta, ed io, col piacere che dà una nuova conoscenza, accetto di buon grado di veleggiare col mio nuovo amico, imprenditore del noleggio gommoni a motore; in fondo, essendo del luogo, sicuramente ne saprà più di me.
Grandezza della Bretagna e del mondo della vela Bretone.
Scoprirò in seguito che il nuovo amico noleggiatore è invece un esperto velista, un recordman di attraversata oceanica su trimarano, esperto di cartografia e quant’altro, da giovane ha navigato con Eric Tabarly, nella sua vita ha costruito e venduto barche, vinto regate ed ha un palmares oggettivamente impressionante, almeno per come la vedo io, e non solo.
Personalmente valuto le persone con un metro che lascia quasi sempre i titoli acquisiti o conquistati in secondo piano rispetto a ciò che chiamo «spessore umano» che considero un quid, un numero che dà valore agli zeri.
Pochi giorni al varo della barca, sale la tensione: una volta in acqua mi sono prefissato un programma di apprendimento alquanto ardito per un neofita come me che ha appena acquistato una super barca a vela di dodici metri e mezzo e sento di avere le idee ben chiare oltre che un programma fattibile ; nel mio caso riesco a pensare, se non in forma molto semplice, solamente quando, a volte a caso, i miei cinque neuroni si incontrano, e, quando questo avviene, la situazione diviene lineare, semplice e si dipana ai miei occhi vivida: sto per affrontare il nuovo mondo che mi attende, imparare a navigare, conoscere la mia imbarcazione, testare i miei limiti nello assimilare quello che vivrò, e, per ottenere questo, non posso fare a meno di vedere due realtà oggettive che vi sono dietro.
La prima è che mi serviranno tempo e miglia nautiche per apprendere; la seconda è che ho 48 anni, inizio ora e non ho voglia di perdere tempo ad apprendere un alfabeto della vela » errato» o incompleto, e per fare questo, avrò bisogno di due cose: 1. uno skipper professionista ed un programma di navigazione in sicurezza; 2. programma di navigazione.
Primo mese training per conoscere l’imbarcazione sulle coste bretoni, poi navigazione verso nord per Amburgo; da lì mi sarei unito alla European Odyssey 2104, una trasmigrazione di gruppo, e avrei navigato in sicurezza, passando, per Londra , con una organizzazione pronta a supportarmi in caso di problemi, in direzione delle Isole Canarie. Da Benodet ad Amburgo e da Amburgo a Lanzarote, totale miglia: tante.
Inizio a chiedere in giro, per avere con me un ottimo skipper, uno con le contro palle, in grado di insegnarmi bene, un professionista capace, non uno skipper da pub tronfio di imprese mai compiute, neanche uno normale, né uno bravo… voglio un Professionista e ho deciso che investirò il 10% del costo della barca per la mia formazione… e per salvaguardare la mia pelle.
Al cantiere mi guardano strano dopo la mia pubblica ammissione di ignoranza, ora, secondo me, non capiscono se sono un ricco che si sta comprando l’ultimo giocattolo, un folle aspirante suicida che si sopravvaluta pensando di iniziare una nuova avventura così dal niente, oppure se sono semplicemente un debuttante voglioso di apprendere che ha la fortuna di aver comperato, come sua prima barca, un piccolo gioiello del mare; nel frattempo, diffidenti, ci si studia a vicenda; loro non sanno chi sono, ma neanche io so chi sono loro e spesso nei cantieri, ci vai a lavorare quando non hai niente da fare, così investo l’un per cento del costo della barca per far esaminare con ultrasuoni scafo e coperta da professionisti certificati: tutto ok e mi ricredo presto, rimanendo stupito della loro professionalità e passione, della gioia e dell’orgoglio con il quale fanno il loro lavoro.
Adesso mi gioco l’unica carta che ho a mia disposizione per presentarmi in questo nuovo mondo, l’unica maniera per accedere alla conoscenza, per incontrare persone e luoghi, per apprendere; è semplice, potente e se pronunciata con sincera convinzione ardente desiderio di conoscere, apre le porte del mondo intero: «Io non conosco.Je ne sais pas. I don’t know.»
Barca quasi pronta.
Due giorni al varo… ho comperato una barca da crociera veloce, 12.50 metri di lunghezza, 4.50 metri la larghezza a poppa, inaffondabile con chiglia retrattile che da tre metri di pescaggio arriva a 120 centimetri, barca piatta, planante; albero di 17 metri in carbonio e crocette acquartierate in alluminio, niente paterazzo, no vang, barca moderna, marina.
In questo anno di attesa, non essendo in grado di occuparmi né di comprendere la barca nei suoi aspetti velici, mi sono dedicato alla preparazione dell’interno e alle cose necessarie per rendere l’imbarcazione più autonoma possibile.
Il piano iniziale prevedeva un motore elettrico, un impianto di depurazione per le acque dei serbatoi, pannelli solari smontabili e idrogeneratore, che mi avrebbero garantito autonomia energetica svincolandomi da idrocarburi poco compatibili con la mia visione delle cose, ma teoria e pratica, come sempre, vanno spesso poco d’accordo.
Abbandonato, causa poca autonomia, il motore elettrico, rovinosamente fallito il tentativo di depurare l’acqua dei serbatoi rendendola bevibile senza bollirla e momentaneamente tralasciato l’acquisto di pannelli solari, mi sono dotato di un idrogeneratore e di un buon motore da 29 hp sufficiente a spingere bene i 5500 Kg della mia barca.
Dentro ho cercato di creare una piccola, pratica, confortevole casa: due camere con grandi letti e materassi veri, indispensabili se ci vivi dentro; un bagno dignitoso con tazza a misura umana e doccia con acqua calda fuori, in pozzetto, come dentro, riscaldamento nelle camere ed in bagno; piccolo proiettore per avere il cinema a bordo e micro impianto Bose per la musica, senza dover far buchi in barca o avere complicate e sofisticate attrezzature per ascoltarla, cucina con forno, un buon tavolo da carteggio e un buon telo copri sole per quando si è ancorati o in marina…tutto qui, non ho bisogno di altro.
Narayan è il nome che ho scelto per questo cavallo di razza; è un nome indiano che, oltre a ricordarmi i quasi dieci anni trascorsi in quel paese, ricorda un grande amico e il nome simboleggia una divinità protettrice del pantheon indù che è conosciuta anche come «il grande sognatore». Narayan, semplicemente, dorme e dai suoi sogni, nascono pianeti ed interi universi.
Per quanto mi riguarda, già non riuscendo neanche da sveglio a creare qualcosa e non avendo per il momento intenzione di costruire qualche nuovo universo dormendo, spero solo che mi protegga; affronterò oceano e acque pericolose per la navigazione in uno dei posti del mondo dove è più difficile andare in barca a vela: la Bretagna non perdona, l’oceano neanche.
Sogno, sogno di apprendere l’arte marinaresca, sogno di diventare uno yachtman, sogno viaggi e avventure, sogno una nuova vita, sogno un mondo nuovo; speriamo che il Narayan mi aiuti, speriamo io sia in grado di ascoltarlo.
Un mondo nuovo, è possibile.
Prosperità e benessere bene amati concittadini.★