Tra teoria e pratica
Forse venticinque chili di libri non sono sufficienti
Torno a Venezia pieno di speranze e con cinque anni di meno, avendone perduti cinque nei restanti giorni passati con la ormai ex moglie. Poco male, non me ne rendo ancora conto ma sembra proprio finita; sono i primi di luglio ed una pesante spina mi si pianta nel cuore… è il fallimento… il fallimento di un progetto. Ho perso. Ho perso. Se il mio matrimonio fallisce, perdo, perdo mia figlia, perdo la famiglia, perdo la possibilità di essere veramente padre; perdo il bacio della buona notte come perdo le carezze mattutine o la coccola occasionale. Perdo, perdo la possibilità di essere vicino al mio amore.
Mi lancio in libreria per acquistare svariati libri sui più vari argomenti nautici: torno a casa con circa venticinque chilogrammi — e non esagero — di testi specifici e tento di assopire il dolore nello studio. Faccio quel che posso e le cose da imparare sembrano infinite. Ma non demordo… Certo è che — sarà dovuto al periodo o alle condizioni psicofisiche — ma rimane il fatto che oggettivamente i testi, tale è la mia competenza, mi sembrano scritti in assiro-babilonese. Divido innanzitutto, come è buon uso, la pratica dalla teoria, due mondi spesso agli antipodi da dove ogniuno di noi parte… a seconda della sua natura percorre la prima o la seconda strada. Personalmente, visto le mie scarse capacità nell’elaborare manoscritti, preferisco nettamente la pratica, ma riconosco come in questo caso studiare, o informarmi come dico io, sarà necessario… mente pigra!
Uno: regolare le vele a seconda della andatura. Due: studiare ciò che serve sapere per far avanzare una casa galleggiante sul mare. Sembra chiaro (in teoria) basterà applicarsi (in pratica). E detta così, sembra anche facile. Le vele con il grasso, la balumina e i matafioni ballano insieme, la drizza di randa se la fa con il boma… forse sto facendo un po’ di confusione… meglio fermarsi e concentrarsi sulle vele. Già, le vele. Molti dei nostri vecchi erano impauriti dal metter su vela in laguna, i più preferivano remi e corrente a favore… non c’è chiglia e al minimo refolo più intenso… è il disastro.
E allora a remi! Con l’alta marea si passa quasi dappertutto, solo le torri delle isole spuntano e le paline che delimitano la secche e i canali, con la bassa invece tutto cambia… e dico tutto… ma veramente tutto: con la bassa marea resta un immenso prato di alghe verdi segnato da tortuosi rivoli e pozze d’acqua mosse dal vento, contorni indefiniti, linee rette assenti ed il continuo mutare del paesaggio. «Sempre peggio — pensava Bepi il frutariol — i fiumi riempiono piano, piano la laguna intera, finirò per fare il contadino». Pensava mentre con la sua barca andava nell’isola di Sant’Erasmo dove la terra è fertile e dove ci sono quegli speciali e dolci carciofi che un nobile patrizio, suo acquisito cliente, gli aveva ordinato in gran quantità. Bepi il frutariol è uno dei pochi temerari che usa la vela quando i venti portanti lo aiutano, così fa presto e prima degli altri, magari costretti a perdere mezza giornata in attesa della buona marea. Oggi la vecchia tela ormai sbiancata lo ha abbandonato lacerandosi per una cinquantina di centimetri giusto nel centro. Torna al mercato di Rialto, scarica i carciofi e chiama subito il il bocia che corra con la tela rotta a San Lio in Calle delle Vele dove ruvide e laboriose mani cuciranno una toppa… finchè dura. «Mi raccomando bocia niente tintura. I tintori lucchesi di San Lio ti tingerebbero anche le mutande e la tela è vecchia per una altra colorazione… presto vai bocia vai!» Tela, tela per la mia barca! Apro il web e mi metto a caccia di una deriva; le tasche non sono quelle di adesso, sicché mi adatto e cerco una deriva indefinita che costi massimo mille cinquecento euro… cavolo… non ho bici né moto, e tantomeno la macchina: vivo sull’acqua e a parte Nervetti, dignitoso barchino munito di un nove cavalli, non possiedo altri mezzi… vela, vela, vela! Due ore a frugare nel web e finalmente la vedo: è lei, mi piace da subito, è elegante e aggraziata, sembra scattante e longilinea come una bella donna… non so che tipo di barca è, ma sembra quasi un Laser un poco più grande.
Verde acido e nero sono i suoi colori, pesa ottanta chili e mi segue sinuosa e docile mentre la traino con l’albero sdraiato prima alla Marina della Certosa e poi al Circolo velico nel quale mi sono iscritto progettando innumerevoli uscite (teoria).
Torno nel web per scoprire cosa ho comperato, guardo i video e capisco che non sarà facile iniziare a fare vela con una barca così (pratica); comunque debbo dire che ho buon gusto (scusate la poca modestia, ma mi viene naturale): ho infatti acquistato un Contender. Bella barca. Ho la netta sensazione che non riuscirò mai a condurla e, quando vengo invitato sul Lago di Santa Croce dai contenderisti per assistere ad una regata, ne ho piena conferma. Volano sull’acqua leggeri con uomini agili attaccati ai loro trapezi, rapidamente accelerano, scattanti avanzano sull’acqua increspata. L’ambiente è cordiale e sereno. Viva i contederisti. Viva la vela. Torno a Venezia deciso: dopo tre uscite con poco vento ho accumulato più contusioni, tagli e ammaccature che in cinque anni di football americano, sport da me giocato da ventenne (bella età), così scendo dal pero prima di farmi troppo male e acquisto un 4.20 Maretta Touring con la quale continuo ad ammaccarmi, tra bomate e manovre alquanto inopportune per tutta l’estate.
Prendo anche le mie prime lezioni di vela, poca cosa; cinque uscite sulla placida laguna per un abc minimo ma basilare.
Così trascorro il finire dell’estate. Abbronzato, escoriato, ammaccato, con dita delle mani e dei piedi parzialmente incerottate ritorno a casa, dopo aver veleggiato, con l’espressione di Klaus Kinski in Fizcarraldo, occhi da matto compresi.
Inizio a capire: randa, fiocco, carrello, scotta, drizza eccetera eccetera, finalmente l’assiro-babilonese diventa comprensibile, poco a poco, piano piano. L’inizio dell’inverno e vengo invitato in qualità di zavorra a partecipare alle regate invernali a bordo di un Este 25. Le regate sono brevi e simpatiche ma non fanno per me, troppi esperti. Per l’inverno vado in montagna due mesi, carico di libri e di lividi; studio, leggo, mi informo e alla fine mi ritrovo con il grande buco. Niente di erotico purtroppo: solo un grande vuoto nel cervello fatto di tanta teoria e poca o nessuna pratica. Voglio andare a vela, voglio andare a vela qui e ora, non domani.
Arriva la primavera e contatto i primi skipper per noleggiare così barche di una certa dimensione: alcuni sono professionali e gentili, ma non trovo la vibrazione che cerco, altri variano (e ne conoscerò in seguito) dal mago del mare, al capitano misterioso al… «ti porto tanto non impari, figurati che io ci ho messo trant’anni ad imparare, figurati se ce la fai tu». Non demordo. Non rinuncio, in fondo c’è un solo lato che veramente conta, che come un quid dà valore agli zeri, e questa non è la conoscenza di una materia specifica, ma il lato umano, la persona. Il mondo nasce e si plasma attraverso il desiderio, si configura al desiderio stesso che ne ha motivato e ne motiva la crescita, l’evoluzione. E il desiderare ha fatto crescere ed evolvere il mondo nel quale viviamo, costruito dai nostri sogni Così tra i grandi sognatori debbo menzionare i nostri vecchi, capaci di sognare l’inimmaginabile e di realizzarlo con mirabile capacità. Così nasce la nostra bella città, miei cari, da sognatori caparbi e a volte privi di scrupolo, ma capaci di vedere oltre, nello spazio e nel tempo. Dal momento in cui perdiamo il desiderio di conoscere, di sperimentare, di essere, di sognare, siamo a mio parere già morti, suicidi annegati nel mondo da noi stessi ridotto ad un secchio.
È il secchio delle generalizzazioni e dei pregiudizi… in fondo semplificano la vita e mostrano evidentemente che i cattivi sono gli altri. A tal proposito mi vengono in mente quei due imbecilli che nel ‘91 si dichiararono guerra… entrambi con Dio dalla loro parte: tanto sono gli altri che muoiono.
Proprio il mio ardente desiderio di andar per mare mi fece incontrare ad aprile quello che da ora innanzi chiamerò il Capitano… sì: Capitano con C maiuscola, ma di questo vi racconterò la prossima volta.
Un caro saluto beneamati concittadini della Serenissima Repubblica