Sulle strade d’Italia
i fiorellini di De Gregori
Vivavoce, il tour del cantautore
Una lunga tournée teatrale su e giù per la penisola porta Francesco De Gregori e la sua band di dieci elementi a presentare il suo ultimo album che contiene ventotto tra i suoi più grandi successi, alcuni dei quali rivisitati con arrangiamenti inediti. Il cantautore appare in ottima forma, persino più cordiale del solito, la sua celebre voce più calda che mai. È anche stranamente generoso nel concedere i bis.
Goffo, imbranato, quasi a disagio sul palco, che non sa mai dove stare né dove mettere le mani le volte che depone la chitarra, lo è ancora. Come sempre, del resto. Taciturno, anche. Appena un cenno di saluto al pubblico, un lieve inchino come di altri tempi, niente parole mai, solo i nomi della band sul finale. Non che non abbia niente da dire, quello che ha da dire, ed è tanto, lo dice nelle canzoni. Non serve che faccia dei discorsi.
Però è un po’ più simpatico del solito. Più allegro anche (si fa per dire). Musicalmente più solare. Più ricco. Più denso di sfumature. E più generoso nei bis, che una volta non concedeva quasi mai. Appare in forma, Francesco De Gregori, nel suo tour Vivavoce, che è anche il titolo dell’ultimo album, un lungo giro per teatri su e giù per la penisola, concerti ravvicinati, anche tre giorni di seguito, quasi senza tregua.
Una faticaccia per un signore di sessantaquattro anni ormai. Ma lui non sembra risentirne. Anzi. Dà l’impressione di divertirsi ancora a cantare e a suonare, come quand’era ragazzo, e a guidare la band, a dare gli stacchi, un’orchestra, come la chiama, di dieci elementi piuttosto dotati, guidati dal suo fedele bassista Guido Guglielminetti.
Lo show, no, non si tratta di show, il concerto è lineare, niente effetti speciali. In primo piano la musica. Alcuni arrangiamenti inediti di vecchie celebri canzoni, e sopra tutto la sua voce. La sua incredibile voce. Unica. Immediatamente riconoscibile. Ancora più bella, più calda, più modulata, più intensa con il passare degli anni, e sorprendentemente ancora fresca, pulita, dopo ventotto canzoni e due ore tirate di concerto in cui sfilano brani che hanno fatto la storia della musica italiana e nella storia resteranno.
Alice, Generale, Celestino, Caterina, Rimmel, Titanic, Buonanotte fiorellino, Niente da capire, La donna cannone, Il bandito e il campione, Viva l’Italia, Per le strade di Roma, e molte altre.
Non gli dispiace se il pubblico, ogni tanto, canta insieme a lui. È vestito di scuro, stivaletti, pantaloni aderenti, una maglietta girocollo sotto la giacca, occhiali scuri e un piccolo cilindro in testa che non si toglie mai, come quello che portava Bob Dylan nel film Pat Garret & Billy The Kid.
E come Dylan, al quale ha rubato l’arrangiamento di Fiorellino, il pezzo che chiude il concerto, ogni tanto suona l’armonica. Alto e magro, ha più l’aspetto del folk singer americano che del cantautore romano. E le sue ballate, testi da antologia poetica, dizione limpidissima, deandreiana, fanno sognare. Il concerto è imperdibile, e il pubblico lo adora. Lui è contento, almeno pare, di esserci ancora.★