La fica l’è
una telaragna,
Tonino
Una poesia dimenticata
Anche Tonino Guerra, come Federico Fellini, come molti, come noi, era affascinato dall’universo misterioso della sessualità. E come Giorgio Baffo cantò la mona, anche lui dedicò alla fica una poesia.
SANT’ARCANGELO DI ROMAGNA (r.b.) — Tonino Guerra, proprio come il suo amico Federico Fellini (e comunque non erano i soli…), era perdutamente affascinato, oltre che da molte altre cose, anche dal misterioso universo del sesso. In particolare da quello femminile, che essendo diverso dal suo, lo incuriosiva maggiormente.
Anche i direttori di questa rivista, che si sono da sempre dichiarati degli inguaribili erotomani, hanno coltivato (e talora ancora tentano) analoghi interessi. Non a caso da una trentina d’anni hanno eletto a loro nume tutelare il grande poeta erotico del Settecento veneziano Zorzi Alvise Baffo, al quale hanno dedicato un festival internazionale di poesia erotica che si tiene ogni anno in campo San Maurizio a Venezia, per iniziativa dell’indomabile associazione culturale Compagnia de Calza “I Antichi” (www.iantichi.org).
Questo per dire che forse non tutti sanno che Tonino Guerra ha fatto esattamente come Giorgio Baffo. Tra le molte cose che ha scritto, ha dedicato una poesia intera alla mona. Per l’esattezza alla fica, lui la chiama così com’è battezzata dalle sue parti. Curioso che anche lui, come Baffo, si esprima in dialetto, parlando della fica, anziché in italiano. Baffo scrive in veneziano, Guerra in romagnolo. Come se solo la lingua antica degli avi, la lingua primordiale, la lingua istintiva della terra dove si è nati, potesse esprimere al meglio quella che per Baffo era «la forza della mona».
Baffo intitolò Lode alla mona una delle sue poesie più celebri. Guerra ha fatto la stessa cosa ma non le ha dato un titolo. Perché la sua poesia dedicata alla fica, che peraltro non è tra le sue più conosciute, faceva parte di una sorta di poema in versi scritto tutto in romagnolo, intitolato E’ Mél, Il Miele, e pubblicato nel 1981 da un piccolo editore di Rimini, Maggioli. Il poemetto è composto da trentacinque canti. La poesia sulla fica porta semplicemente il titolo di Cantèda vintiquàtar, canto ventiquattresimo.
Pur apprezzando, e molto, la freschezza, la dolcezza e la musicalità del dialetto romagnolo («La fica l’è una telaragna — comincia — un pidriùl ad sàida e’ sgarzùl ad tòtt i fiéur»), ne proponiamo la versione in italiano (tradotta sempre da lui), affinché sia comprensibile a tutti. È il nostro modo per ricordare il grande poeta.
La fica è una ragnatela
un imbuto di seta
il cuore di tutti i fiori;
la fica è una porta
per andare chissà dove
o una muraglia
che devi buttare giù.
Ci sono delle fiche allegre
delle fiche matte del tutto
delle fiche larghe o strette,
fiche da due soldi
chiacchierone o balbuzienti
e quelle che sbadigliano
e non dicono una parola
neanche se le ammazzi.
La fica è una montagna
bianca di zucchero,
una foresta dove passano i lupi,
è la carrozza che tira i cavalli;
la fica è una balena vuota
piena di aria nera e di lucciole;
è la tasca dell’uccello
la sua cuffia da notte,
un forno che brucia tutto.
La fica quando è ora
è la faccia del Signore,
la sua bocca.
È dalla fica che è venuto fuori
il mondo, con gli alberi, le nuvole, il mare
e gli uomini uno alla volta
e di tutte le razze.
Dalla fica è venuta fuori anche la fica.
Ostia la fica!
p.s. La poesia è stata magistralmente offerta in pubblica lettura dal nostro infaticabile Enzo Rossi Ròiss durante la ventesima edizione del Festival Internazionale di Poesia Erotica «Baffo — Zancopè» nella serata di Martedì Grasso, 22 febbraio 2012.