Inchiostro
Si piange tantissimo, di questi tempi, sulla morte dei giornali. Che non si vendono più, che i lettori sono scomparsi, che la pubblicità è calata, che gli editori non ce la fanno più a sopportare i costi di produzione.
E quindi devono ridurre le spese e gli organici, licenziare giornalisti, tipografi e impiegati, chiudere le testate improduttive, e inventarsi qualcos’altro per campare.
In parte è vero e in parte no. C’è molta confusione sotto i cieli dell’informazione di oggidì. A cominciare dal fatto che non è affatto vero che non ci sono più lettori. Anzi è falsissimo. I lettori ci sono, eccome. E sono anche più di quelli di ieri. Solo che, siccome gli anni passano (peggio per loro), il mondo cambia, e avanzano nuove tecnologie, anche i lettori hanno cambiato abitudini: oggi leggono sullo schermo del computer (o del portatile, o della tavoletta, o del telefonino) anziché sulla carta. Ma leggono. Eccome se leggono. Vogliono le notizie, desiderano essere informati, e pretendono che l’informazione sia corretta, cioè dia loro tutti gli elementi per poter giudicare liberamente, senza condizionamenti, con la propria testa. L’essenziale, in sostanza, di quanto dovrebbe fare un buon giornalismo.
Se pensiamo che l’edizione cartacea di un grande quotidiano italiano a diffusione nazionale attualmente vende in media mezzo milione di copie, e l’edizione sullo schermo dello stesso quotidiano raggiunge un milione e mezzo di lettori, vale a dire tre volte tanto, possiamo capire come la grande rivoluzione nel mondo dell’informazione, tante volte annunciata e sempre rinviata, in realtà nei fatti, nella mente e nelle abitudini dei lettori, sia già tranquillamente avvenuta. E si sia trattato soltanto di un fatto tecnico che non intacca (o non dovrebbe) la qualità dell’informazione: il passaggio dalla carta allo schermo. Come quando si passò dalla penna alla macchina per scrivere, e dalla macchina per scrivere (altro passaggio traumatico) al computer.
Il problema però non è tanto di abitudini. Ma, tanto per cambiare, è economico. Vale a dire, il giornale di carta costa, e costa parecchio, ma incassa dalle vendite delle copie in edicola e dalla pubblicità. Il giornale sullo schermo, che costa uguale (un po’ meno perché non c’è la carta, ma uguale per il costo del lavoro giornalistico), invece non guadagna nulla. Perché non incassa un soldo. O ne incassa pochi, ancora troppo pochi per sopravvivere. È gratis (almeno per ora, e salvo alcuni interessanti esperimenti sull’Ipad) e contiene poca pubblicità, almeno per il momento, venduta a prezzi molto più bassi — perché ritenuta meno competitiva — rispetto a quella pubblicata sul giornale di carta.
È solo questione di tempo. Il futuro è delineato: l’informazione di domani (almeno quella vera) sarà sullo schermo e a pagamento. Proprio per garantirne la qualità. Ma non scomparirà l’informazione sulla carta. Si rimpicciolirà, certo, e diminuirà, come numero di copie, fino a diventare una nicchia, un circolo ristretto, riservato agli intenditori. E a quelli che, per loro cultura, non riescono proprio a fare a meno di quelle lenzuola di carta che sporcano (anche se meno di un tempo) le mani di inchiostro. ★