Gabbiani Veneziani
E un altro mito del Mauri è crollato
E sì e anche no: già che il Mauri (Vianello, di corsa, come che dicono gli inglesi) è su tutte le furie da quando che ha appreso che le cannocchie, come che le chiamano in terraferma, ci vedono benissimo, andando contro come dire ad uno dei capisaldi assiomatici della zoomorfia antropocentrica veneziana. Che cioè insomma, come che si dice: «orbo come una canocia». Ecco: invece no. Ci vedono benissimo: d’altronde e che devono pur mangiare qualcosa anche loro. Ma questo è niente, in confronto.
E così l’altro giorno che era uno dei pochissimi giorni che non pioveva io (Andrea Silvestri, per servirvi: l’uomo che non ha lavorato neanche un giorno in vita sua) e lui (il Mauri Vianello, neanche aggiungere: l’uomo che è andato in pensione prima di tutti gli altri) siamo andati in piazza a fare un giro prima che montassero quella schifezza del palco carnevalizio della miseria che fanno ogni anno che non gli piace a nessuno ma loro lo fanno lo stesso.
E qui il Mauri ha avuto un’altra delusione profondissima della zoologia antropomorfizzata veneziana. Ma andiamo con ordine. Nell’unica città dove i leoni volano e gli uccelli camminano (e mi fermo qui ma potete anche andare avanti voi come che vi pare meglio) nella piazza (che è inutile che sto qua a mettergli la maiuscola perché essendo che c’è solo questa si capisce di quale che sto parlando) ci sono ovviamente gli uccelli che camminano.
Datosi che questi uccelli, che noi chiamiamo colombi ma che in realtà sono piccioni, peraltro stupidissimi oltre ogni limite, sembrano graziosi ma sono perniciosissimi più di una pantegana con le ali — e ci costano a noi milioni di restauri dei monumenti che loro schittano a tutto spiano di guano — ecco che le autorità locali hanno proibito di dare loro da mangiare (ai colombi, voglio dire) nell’ottimistica speranza che si riducano di numero datosi che si riproducono come conigli (visto che per umanità non si possono sterminare, i colombi voglio dire).
E invece no, essi colombi non si riducono, perché con una genialità estrema alcuni avveduti venditori abusivi forniscono di nascosto stile spacciatore manciate di grani di pannocchie di granturco a turisti e passanti avidi di alimentare codeste bestie alate (che preferiscono camminare) le quali accorrono a torme tubanti frullando ali schitti penne e piume in ogni dove.
E così il Mauri mi fa: «Guarda là che roba!» E io gli faccio: «Ma Mauri ma cosa vuoi che sia. I soliti affetti da ritardo cognitivo che cibano i colombi. Il tutto nell’indifferenza delle guardie cittadine che hanno ben altro da fare». E lui mi fa: «Ma no! Guarda ben!»
E infatti ecco: frammisti ai colombi che saranno stati una ventina d’intorno a una famigliola di turisti bramosi di alimentarli: vi erano ben tre giovani gabbiani. Essi, i gabbiani intendo, simulavano spudoratamente di essere colombi e, approfittando delle loro maggiori dimensioni, sbaragliavano la concorrenza a colpi di becco e spallate (se così si possono definire nel caso di uccelli), e con il becco smisuratamente aperto ghermivano anzitempo i chicchi di granturco che la famigliola ignara elargiva dopo averli pagati carissimi in barba alle leggi.
E qui il Mauri ha sbottato in una serie di infervorate elucubrazioni sul fatto che i gabbiani di adesso non sono più quelli di una volta, e che una volta erano il simbolo dell’alloccaggine lagunare («stupido come un cocàl» per l’appunto) e che invece adesso non solo hanno imparato ad aprire i sacchetti delle immondizie sparpagliando le medesime per tutta la superficie di calli campi campielli e borghilochi, ma anche a fingersi colombi.
«E il bello è che i turisti ci cascano.» Ho chiosato io, pensando ai sandoli che fingono di essere gondole, le borse che fingono di essere firmate, le grandi firme che fingono di essere cultura, e tutto il genere di finzioni che girano intorno. Poi siamo andati a berci due spritz (al bitter, ovvio) e fra pioggia e carnevale in piazza ci torniamo solo a metà quaresima. Salute!!!