Carità in scadenza
Sergio Mattarella, felpato felpatissimo presidente della Repubblica italiana, è un buon cattolico. E come molti buoni cattolici è caritatevole. In visita all’Expo di Milano che parla di cibo, qualche giorno fa, si è fatto una domanda senza riuscire a darsi una risposta: «È possibile fare in modo che prodotti invenduti, in prossimità della scadenza, vengano distribuiti tra chi non ne ha a sufficienza?».
Era partito, il buon Mattarella, da un ragionamento lapalissiano ma impeccabile: quello che ai diritti corrispondono sempre dei doveri, e che tra i nostri doveri c’è anche quello di ridurre gli sprechi, dal momento che non è tollerabile che ogni anno tonnellate di cibo vengano disperse. Sacrosanto.
Quello che appare un po’ meno sacrosanto è il motivo per cui si debbano dare ai poveri (non saprei come tradurre altrimenti l’eufemismo di chi non ha a sufficienza), degli alimenti «in scadenza». Se davvero vogliamo fare una buona azione, non si potrebbe darglieli normali, cioè senza il rischio che scadano da un giorno all’altro?
Ero già rimasto perplesso qualche tempo fa di fronte a una campagna caritatevole dei potentissimi Lions, che raccoglievano vecchie paia di occhiali usati per regalarli ai poveri dell’Africa che non hanno i soldi per comperarseli. Anche qui: buona l’idea di regalare occhiali a chi non può permetterseli. Ma perché regalarglieli usati? I Lions, che sono mediamente persone benestanti (molte anche proprio ricche), non potevano comperarglieli nuovi?
Tornando ai cibi scaduti (o quasi), che significa poi «prodotti invenduti in prossimità della scadenza»? Se non sono ancora scaduti, è pacifico che siano ancora in vendita, e che quindi possano ancora essere venduti. Dunque, come fare a giudicarli invenduti se non sono ancora scaduti? Chi lo stabilisce? Il verduraio? Il padrone del supermercato? L’unione dei consumatori? Il parroco? Il questore?
Inoltre: entrando ancora più nel merito, cosa vuol dire «in prossimità della scadenza»? Un’ora prima? Un giorno prima? Una settimana prima? Un mese prima? Chi lo stabilisce? Serve un’autorità costituita, riconosciuta e accettata, o è un modo di dire tanto per dire?
E come fare ad essere sicuri che gli alimenti prelevati «in scadenza», supponiamo dal bancone di un supermercato, non saranno scaduti quando verranno consegnati, chissà quanto tempo dopo, nelle mani di qualcuno che «non ne ha a sufficienza»? Chi si farà garante che questo non succeda? E chi distribuirà questi alimenti? Dove? A spese di chi? Con quali criteri? E a quali poveri? Chi stabilirà quali sono le persone aventi diritto a ricevere questi alimenti perché loro «non ne hanno a sufficienza»? E chi controllerà che non vi saranno imbrogli?
Troppe volte le buone e caritatevoli intenzioni sono inciampate sugli scalini viscidi della retorica e della carità pelosa. E non è con la carità, comunque, che si risolvono i problemi della povertà. Ma con politiche sociali. Politiche molto diverse da quelle praticate oggi.★