Arrestate suo padre
Sappiamo già, prima ancora che ce lo dicano le perizie mediche, gli psicologi, gli psichiatri, i sociologi, i criminologi, i tuttologi e tutta quella variopinta fauna di commentatori, sostanzialmente inutili, che si annidano negli insipidi salottini televisivi, che dentro la testa del killer di Charleston c’è del materiale scadente. Molto scadente. Non bastasse quello che ha combinato, basterebbe guardarlo in faccia, quel giovane assassino.
Parla da sola la faccia di Dylann Storm Roof, che è riuscito a sporcare quel nome, pure storpiato (c’è una «n» in più), che gli avevano dato perché si ricordasse di Dylan Thomas, o forse di Bob Dylan. Invece, gonfio di anfetamine, spinto dal suo odio razzista e dalla sua folle voglia di scatenare una guerra razziale, si è ricordato solo di Billy The Kid il bandito quando è entrato, pistola in pugno, nella storica chiesa metodista frequentata da afroamericani di una città, Charleston, che ha il nome di un ballo vezzoso, e ne ha stesi nove, in un sol colpo, di quei maledetti neri.
Guardatelo adesso mentre se ne sta, immobile, davanti a quei giudici che molto probabilmente non gli risparmieranno la vita, dato che nel suo civilissimo South Carolina la pena di morte c’è ancora, e pare non si facciano troppi scrupoli nell’applicarla piuttosto regolarmente. Con quei capelli tagliati a scodella, alla moda di una volta degli istituti per minorati, e quegli occhi sbarrati, fissi in un punto in fondo al nulla come di chi ha appena visto l’aurora boreale, non fa una grande impressione. Tutt’altro. In difficoltà con sé stesso, con la parole e con i concetti, appare esattamente per quello che è. Un disgraziato.
Ma non è l’unico disgraziato, vittime a parte, è logico, di questa storia disgraziata. C’è un altro disgraziato. Ancora più disgraziato di lui. E più grande di lui. Uno della sua stessa famiglia: suo padre. Lo zio che lo ha fatto arrestare, ha raccontato alla polizia che fu suo padre, due mesi fa, in aprile, a regalargli, per il suo ventunesimo compleanno, la pistola con la quale ha compiuto la strage nella chiesa. Una pistola semi automatica moderna e potente, una Glock calibro quarantacinque, nera, tutta cromata, prodotta da una celebre azienda austriaca di Deutsch-Wagram, la Glock Safe Action Pistol.
Gli psicologi, gli psichiatri, e tutta la carovana dei tuttologi dovrebbero anche spiegarci i motivi per cui un genitore sano di mente (e anche qui bisognerebbe indagare), decide di regalare al figlio ventunenne per il suo compleanno un’arma vera e micidiale. Poteva regalargli qualsiasi altra cosa. Che so, un buon libro. O un disco. Magari una giacca. Una bici. Un motorino. Un canotto. Un ipad. Una cravatta. Un orologio. Un profumo. Una penna stilografica. Una vacanza. Qualsiasi altra cosa. Invece no. Gli compra una pistola.
Perché? Perché è pazzo. Perché è incosciente. Perché non si è accorto che suo figlio ha dei problemi ed è un pericoloso fanatico razzista. Perché non sa che si droga. Perché pensa che possa servirgli per difesa personale nel mondo cattivo di oggi. Per farlo divertire a sparare ai passeri e ai barattoli. Perché è un tipo litigioso e attaccabrighe. Perché invece si augura che faccia una strage. Che faccia finalmente pulizia della feccia che invade il mondo. Perché si vendichi di qualcuno. Indossi la maschera del vendicatore, non importa di che cosa.
Qualunque siano i motivi, nessuno di questi può essere valido. Non si regala una pistola a un ventunenne. Meglio: non si regalano pistole. Non solo e non tanto perché il ventunenne ha dei problemi, quanto perché qualsiasi persona che va in giro con una pistola carica in mano, ventunenne o novantunenne che sia, è potenzialmente un pericolo. Per questo anche il signor Roof padre non può considerarsi innocente. Perché è sostanzialmente un complice. Magari inconsapevole ma complice. Va arrestato anche lui: è giusto che paghi per la sua irresponsabilità.
Quanto alla pena di morte per suo figlio,sarebbe solo una vendetta, una stupida vendetta, che genera altro odio. Dategli l’ergastolo, questa è la punizione che gli spetta, la pena che davvero sarà dura, durissima, da scontare. La morte, per uno così, potrebbe anche essere una liberazione. No, che sconti vivendo sapendo che non potrà mai più tornare a vivere nel mondo che sta fuori dalle sbarre, per il male che ha fatto. Tenetelo dentro a vita e buttate via la chiave. ★