Il Principe Ranieri
«Il circo è unico
non puoi barare»
Una rara intervista del 1996
In occasione del cinquantenario del Festival Internazionale del Circo di Montecarlo e del centenario della nascita del Principe Ranieri che lo ha creato, riproponiamo una delle rare interviste del Sovrano monegasco su temi circensi. La concesse nel 1996 al giornalista Roberto Bianchin per il quotidiano «La Repubblica». Ranieri si confessa a cuore aperto e racconta i motivi per cui diede vita al festival, la sua passione per gli artisti circensi, la stima per il loro duro lavoro, il rispetto per gli animali.
MONTE-CARLO – Sono passati cinquant’anni –già mezzo secolo ormai…- da quando Ranieri III Principe di Monaco, grande appassionato di arti circensi, decise di dar vita al Festival Internazionale del Circo di Monte-Carlo, subito diventato e sempre rimasto il più importante del mondo. In realtà quella che va in scena dal 19 al 28 gennaio sotto l’elegante chapiteau di Fontvieille è la quarantaseiesima edizione, dato che alcune sono saltate prima per colpa delle guerre e dopo della pandemia. E allora sarà festa grande, con un cast artistico d’eccezione, sia per il cinquantenario del Festival che per il centenario della nascita del Principe Ranieri che lo ha inventato.
Riproponiamo, per l’occasione, una delle rare interviste del Principe Ranieri su temi circensi. Il sovrano monegasco l’ha rilasciata quasi trent’anni fa, nel 1996, al giornalista Roberto Bianchin, inviato speciale del quotidiano “La Repubblica”. Ranieri era un attento lettore del quotidiano italiano, e Roberto Bianchin era l’unico giornalista italiano, insieme a Massimo Alberini del “Corriere della Sera”, che veniva regolarmente invitato a Palazzo dal Principe, e a festeggiare a pranzo all’Hotel Hermitage i compleanni della Principessa Stéphanie (1° febbraio) quand’era ancora ragazzina, che cadevano nei giorni del Festival quando la manifestazione andava in scena a fine gennaio anziché a metà mese.
Ranieri, Principe del Circo, amava i cavalli come amava i trapezisti, e sognava di dipingersi il volto e scendere in pista con un vestito da clown. Amava visceralmente questo tipo di spettacolo fin da quand’era ragazzo, era amico personale di molti artisti, delle grandi famiglie del circo di ogni Paese, e conosceva bene la crisi che aveva cominciato a colpire il più antico spettacolo del mondo. Per questo decise di dare vita al Festival, per aiutare il mondo del circo, e accendere un faro di nobiltà che facesse di nuovo risplendere, come ai tempi d’oro, e riportasse in auge la cultura delle arti circensi.
Principe Ranieri, come nacque questa idea?
“Il circo era in pericolo, a causa di un calo del suo valore artistico, e soffriva la disattenzione del pubblico. Per questo ho voluto dare al circo un riflettore, per valorizzarlo e per richiamare l’attenzione del pubblico. Ho pensato che fosse giusto che il circo, come altre discipline artistiche, avesse un proprio festival”.
Lei preferisce gli spettacoli tradizionali o quelli più innovativi?
“Amo il circo tradizionale, con una pista sola, e sotto un tendone. Ma questo non mi impedisce di pensare che innovare è necessario, e anche modernizzare la presentazione, il modo di scendere in pista e la coreografia dello spettacolo. Gli stessi artisti devono cercare di rinnovarsi”.
Pensa che il circo debba rinunciare agli animali?
“Sulla questione vi sono torti e ragioni da una parte e dall’altra. Se al circo non ci fossero più gli animali, il circo diventerebbe un music-hall. Non bisogna generalizzare. Ci sono, ne convengo, dei brutti numeri di animali, con un addestramento fatto male, e che si presentano male in pista. Ma ci sono anche, e sempre di più, dei buoni numeri in cui il gioco e la complicità tra l’uomo e l’animale sono evidenti. E poi la stragrande maggioranza degli animali esotici o selvaggi che vengono presentati, sono nati in cattività, e quindi non hanno alcun ricordo della savana o della boscaglia. I loro proprietari devono presentare un certificato che attesti che sono nati in cattività, altrimenti non troverebbero degli ingaggi. Fuori dal circo, conosco ben pochi tipi di addestramento che non siano basati sul timore, tranne quello dei cani, dei cavalli, delle scimmie, che peraltro sono commedianti nate”.
Gli animalisti non la pensano così.
“E’ facile dare addosso al circo. Ma non si fa nulla per eliminare la crudeltà e l’atroce brutalità del trasporto e del trattamento degli animali destinati al mattatoio. Un modo di fare del tutto inutile e motivato dalla sola cattiveria dell’uomo. Cosa dire poi dei centomila cani abbandonati dai loro proprietari sulle sole strade di Francia quando partono per le vacanze? Cosa dire del combattimento dei galli e dei cani, che sono mantenuti in vita nel nome della tradizione? E della corrida che attira tanta gente? E del massacro delle piccole foche con metodi primitivi e selvaggi? Gli animali che formano dei buoni numeri di circo sono tenuti, curati e nutriti tutti i giorni con attenzione e affetto”.
In proposito, come vi siete regolati a Monte-Carlo?
“Ci informiamo, prima di scritturare i numeri, sulla qualità degli animali, sull’ambiente in cui vivono, su come vengono trattati e su come vengono presentati in pista, naturalmente. Noi esigiamo che le gabbie e i camion per il trasporto siano sufficienti, e che una volta sul posto gli animali abbiano abbastanza spazio per muoversi liberamente”.
Il circo non è un mondo romantico che non esiste più?
“No. Il circo è un divertimento, e la gente che vi lavora è gente che ha scelto una vita difficile, che deve mostrare ogni sera quello che sa fare, e che merita un grande rispetto. Perché il loro lavoro è un’arte, e perché si guadagna la vita rischiando la vita ogni giorno. Al circo non puoi barare, è questo che lo rende unico”.
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