Ridateci la Libertaria please

Storie dimenticate

C’era una volta, a Portoferraio sull’isola d’Elba, un posticino delizioso, carico di storia e di ricordi. Osteria Libertaria, si chiamava. Era il nome della proprietaria, una donna energica e fiera. Ma stava anche ad indicare un sogno e un’utopia. Con un colpo di mano hanno cancellato quel nome storico per sostituirlo con uno nuovo. Anonimo e bruttissimo. È nato così un movimento per tornare al vecchio nome. Il toccante ricordo di Sergio Rossi su Elbareport.   

La signora Libertaria

PORTOFERRAIO (Isola d’Elba)  –  Ci ero finito, dentro quell’osteria fumosa e un poco andante che non conoscevo, attratto più dal profumo di quel nome, Libertaria, e da tutto quello che evocava, che non da quello dello stoccafisso, peraltro niente affatto disprezzabile.

Ci sono tornato per anni, sempre contento di trovarla lì, nello stesso posto, la Libertaria, con la sua cucina semplice, le sue storie ribalde, e quel suo antico sapore nostrano. Ci sono rimasto molto male, l’anno scorso, quando non l’ho trovata più. O meglio, in quel posto, in calata Buccari, c’era sempre un’osteria, ma aveva cambiato nome, e un po’ anche il menu. L’Osteria Libertaria non c’era più. Cancellata con un colpo di spugna. O di mano. Al suo posto, un’osteria con un diverso nome. Più nuovo. Anonimo. E bruttissimo.

Il centro storico di Portoferraio, sfidando rimpianti e nostalgie, era riuscito a cancellare una storia importante, unica e originale, quasi completamente perduta. Cos’era successo? Se chiedevi in giro, gli elbani, tipi così, rispondevano a turno con alzate di spalle, sguardi interrogativi, spiegazioni strampalate. Oggi, a un anno di distanza dal tracollo, Sergio Rossi su Elbareport, azzarda una spiegazione: «In realtà i gestori non hanno rilevato l’attività, che è da quarant’anni della stessa proprietà, ma senza autorizzazione alcuna, né scritta né verbale, hanno ottenuto permessi palesemente illegittimi, e hanno cambiato arbitrariamente nome».

Quel nome, già. Era un grido e una speranza. Un sogno e un’utopia. Ma era anche il nome vero, impegnativo e stupendo, di una donna fiera, figlia di un tempo in cui «un’altra grande forza spiegava allora le sue ali, parole che dicevano: gli uomini son tutti uguali» (Francesco Guccini).

Libertaria stava in piedi, dietro il suo bancone di acciaio, in quella piccola rustica stanza dipinta dal pittore Nello Francesetti, ogni tanto tirava qualche scappellotto a chi «pisciava fori dal vaso», ogni tanto, dipendeva dall’umore, cantava vecchi stornelli: «O isola d’Elba infame scoglio…»

«Detitolare quel posto ricco di storie e cronache umane, di utopie alimentate dal vino e dalla voglia di riscatto – scrive Sergio Rossi sul quotidiano online dell’isola, e si sente che gli fa male – è stato ferire. É stata una coltellata, l’ennesima, inferta alla “cultura delle classi subalterne” (che forse non ci sono più), alla tradizione, e perfino alla dignità popolare, di una comunità paesana già orientata all’ingrasso e allo sfacelo etico, sempre più egoista e sempre meno amicale, solidale».

Ho deciso che non ci andrò più in quel posto, finché non riprenderà il suo nome. Ridateci la Libertaria, please.

    

Ridateci la Libertaria please