Una Biennale al gelo

All’aria mises e installazioni

La 60ma Biennale di Venezia Foreigners Everywhere quest’anno ha aperto i battenti già in salita a causa di un’ondata di gelo. Il maltempo che ha investito la città ha mandando all’aria molte installazioni e anche le mises da sera delle signore costrette a raggiungere i vernissage più esclusivi con una laguna in tempesta.
 

VENEZIA — L’infinito numero dei partecipanti, unito al dedalo di palazzi e padiglioni delle mostre, ha fatto diventare la settimana delle press preview una specie di caccia al tesoro per artisti e giornalisti, una nutrita schiera di agguerriti esperti d’arte a cui è stato affidato il compito di sbrogliare la matassa di idee presentate alla mostra per orientare i loro lettori.

Un impatto importante con tutte le culture rappresentate che ognuno vive a seconda del percorso intrapreso, la Biennale infatti non è un’ anonima infilata di padiglioni, ogni venue, ogni salone nasconde la sua magia. Abbiamo visto una grande performance ad esempio all’apertura del padiglione USA, dove l’artista Jeffrey Gibson di origini cherokee è stato accompagnato da una rappresentanza di nativi americani che hanno dato vita ad una danza sacra preceduta dal un toccante discorso del capo tribù che ha ringraziato oltre ai partecipanti anche cielo, terra, alberi e i gabbiani stessi per la loro partecipazione, in un’esperienza quasi mistica.

La mostra offre molti momenti di intimità interiore per la schiacciante attualità del tema proposto, ma non dimentichiamo che nell’aria aleggia ancora il fantasma dell’esilarante Alberto Sordi, quando nel film Le vacanze intelligenti del 1978 i visitatori scambiano la giunonica Anna Longhi addormentata su di una sedia per una installazione artistica.

Creatività e talento infatti non sempre riescono a convincere tutti, nonostante i moltissimi giovani e le nuove nazioni presenti come il brillante Benin, l’Etiopia di Tesfaye Urgessa negli splendidi spazi espositivi di palazzo Bollani, Timor Est e la Repubblica di Tanzania, la mostra appare a molti un po’ «priva di grandi sorprese» come la definisce anche Alberto Villa di Artribune.

Del resto nelle sale su 322 artisti presentati almeno 177 sono in realtà già trapassati, è una «caccia ai defunti» come la chiama Francesco Bonami su Vanity Fair. Anche molti degli artisti viventi più rappresentativi sono in realtà ultraottantenni, come i Leoni d’oro 2024 Nil Yalter (86anni) e Anna Maria Maiolino (81anni). Potremmo dire che è una mostra che guarda nelle due direzioni, al passato e al presente. Un buon esempio il sempreverde novantenne Michelangelo Pistoletto col suo Terzo Paradiso per il nuovo spazio di SanLorenzo arts all’Arsenale, dove abbiamo visto un Massimo Bartolini, seppur solo sessantunenne, proporre un’istallazione che ricorda molto gli anni ‘70. Ci ha pensato per fortuna la figuraccia del sindaco Luigi Brugnaro a riportarla alla ribalta dell’attualità, usando l’ipnotica vasca con onda conica di Bartolini per schizzare i presenti fra l’imbarazzo generale di ministri e critici d’arte.

Così, La Biennale di Venezia che comincia a muovere folle oceaniche si propone sui rotocalchi anche con gossip in stile sanremese, con gli oltre 800.000 biglietti venduti nella passata edizione 2022 e una presenza stimata intorno ai 30.000 partecipanti solo per le press-preview oltre agli eventi collaterali e i Fuori Biennale.

Proprio questi ultimi si stanno affermando all’attenzione del grande pubblico internazionale per la presenza dei grossi calibri dell’arte. Abbiamo visto tra gli altri uno strepitoso Zeng Fanzhi, considerato il più grande artista cinese vivente, che alla Scuola Grande della Misericordia ha chiamato nientemeno che l’archistar Tadao Ando a curare l’allestimento. Presente nella splendida cornice della chiesa di Santa Caterina anche Daniel Arsham, incluso da Hypebeast nei 100 artisti più influenti del mondo per le sue creazioni che spaziano dall’arte, al cinema alle creazioni di alta moda. Anche nelle callette più nascoste sbocciano fiori inaspettati, come al Salone Verde — Art & Social Club di Venezia dove Karishma Swali ha creato il Cosmic Garden in collaborazione con Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior, meritandosi un bell’articolo su Vogue Italia.

Quello però che ha attirato più attenzione a Venezia, è stato il miliardario filantropo Nicolas Berggruen, il nuovo proprietario dei Tre Oci, ha acquistato anche il prestigioso palazzo Diedo che nelle intenzioni dovrebbe diventare un importante polo espositivo.

Per il momento, nonostante le osannanti recensioni dei maggiori giornali del settore, la mostra Janus ha dovuto aprire con un palazzo ancora rattoppato, e al culmine del vernissage ha anche ricevuto la visita delle forze dell’ordine chiamate da un vicinato poco entusiasta del baccano creato dal DJ set fino a tarda serata.
Chi lo ha visto, riferisce che uno spaesato Berggruen, nato a Parigi, con doppio passaporto tedesco americano e attualmente in veste di padrone di casa, sia stato la vera rappresentazione dello spirito della Biennale, nessuno più Foreign Everywhere di lui.

 

Una Biennale al gelo