Venezia, l’Arte e il Business

La vetrina mondiale di tutti gli investitori del settore e molti brand dell’alta moda

«L’arte contemporanea non mi piace perché non la capisco». È questo il mantra delle folte schiere che si assiepano alle ringhiere della 60ma Biennale di Venezia come in tutte le altre che l’hanno preceduta.

Ci viene in mente un inferocito Nikita Krushchev in visita ad una mostra di stato, nel lontano ‘62, che dopo aver visto qualche opera d’avanguardia bandì per sempre l’arte moderna dalla faccia dell’URSS coprendo di insulti tutti i presenti.

Grandi sono i passi in avanti che la percezione comune ha fatto da quei tempi in cui anche Dora Maar lamentava che nessuno dei suoi ritratti le assomigliava, attualmente il loro valore supera i trenta milioni di euro, e questo è stato assimilato anche dal grande pubblico.

Ma quindi, l’arte è povera o ricca?

Questa Biennale presentata dal suo curatore Adriano Pedrosa si ispira ai temi più cari a tutti gli artisti contemporanei, l’emarginazione, il Queer, il sentirsi straniero ed emarginato in una società sempre più corrotta dai soldi e dalla convenienza.

A questo in fondo serve la Biennale, a diffondere il messaggio universale ma anche a convincere i vari stati, sponsor ognuno dei propri artisti, che investire in arte e Intellighenzia ha un ritorno non solo di immagine.

L’arte infatti è in realtà anche un grosso business, che valica le porte della comprensione per accedere direttamente al mondo dorato delle aste milionarie.

Ne è un fulgido, venezianissimo esempio, la Fondazione Pinault che a Palazzo Grassi e Punta della Dogana espone le opere che verranno poi battute da Christie’s, la famosa casa d’asta appartenente sempre allo stesso magnate francese.

Così Stranieri Ovunque è diventata il portabandiera dell’Arte con la A maiuscola, e contemporaneamente la vetrina mondiale alla quale partecipano tutti gli investitori che si occupano del settore, ai quali recentemente si sono uniti anche molti brand dell’alta moda. Girando il pamphlet del Padiglione della Francia, uno dei più belli della mostra, si legge con il sostegno del Chanel Culture Fund, il Padiglione Italia è sponsorizzato da Tod’s che nel week end di apertura ha organizzato un omaggio alle famose calzature italiane coinvolgendo maestri vetrai, battioro e forcolai Doc della Serenissima.

Ma moltissimi sono gli esempi di collaborazione in questo campo, qualche volta anche molto discussi, come quello di Prada che quest’anno ha affidato a Christoph Büchel l’allestimento del Monte di pietà, una mostra a Palazzo Corner della Regina che prevede l’esposizione di cartelloni direttamente sul Canal Grande con le scritte Liquidazione Totale e Fuori tutto in puro stile trash, per questo circondati da cumuli di spazzatura che più che una «provocazione culturale» hanno suscitato le ire dei veneziani che meditano una denuncia per vilipendio alla città.

In ogni caso è innegabile che Venezia stia attraendo le attenzioni di molti. Il business dell’arte sta prendendo piede nel tessuto stesso della città. Non solo Prada o Pinault, il miliardario filantropo Nicolas Berggruen ha restaurato Palazzo Diedo in Strada Nuova per farne un polo espositivo che ospiterà anche gli studi di alcuni artisti, verso il Ponte delle Guglie la Fondazione dell’arti-star Anish Kapoor ha aperto allo stesso scopo Palazzo Priuli Manfrin, e tutti stanno mettendo in campo venezianissimi nomi come Giulia e Antonio Tonci Foscari, Mario Codognato e molti altri.

Da Milano la Galleria Tommaso Calabro è scesa a Palazzo Donà Brusa, già della Biennale, e la Lorcan O’Neil ha aperto una nuova sede di fronte all’ingresso di Ca’ Pesaro, mentre la Wentrup di Berlino ha preso palazzo Grifalconi Loredan, ex atelier della nostra compianta Giuliana, la fondatrice del marchio Roberta di Camerino.

Potremmo quindi dire che lo scambio è reciproco, l’arte invade Venezia e i veneziani trovano in questo business nuova linfa per rianimare la città, affittare gli spazi per esporre nel periodo della Biennale costa mediamente cifre che vanno dai cento ai settecentomila euro per un piano nobile di palazzo. Del resto il binomio arte/Venezia è antico quanto la città stessa, dunque un’occasione unica per rivalutare i molti spazi e palazzi rimasti abbandonati per decenni.

L’augurio è che questa cooperazione fra il business dell’arte e la città possa creare dei vantaggi reciproci senza che una cosa soffochi l’altra.

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