Una rotonda sui campi

Dal reticolato romano alla croce celtica
ma la viabilità non è solo conflitto culturale

Sulle strade nostrane sta avvenendo un profondo conflitto culturale, con esiti talora imprevedibili, al limite del grottesco. Voi magari, tra piste d’asfalto comunali, provinciali e statali ci girate, vi ci ingorgate, accelerate e frenate più o meno consciamente, avvolti nei vostri pensieri, cari automobilisti quasi sempre frettolosi.

Con i pochi residui timori che accompagnano le vostre quotidiane fastidiose sortite a bordo della quattroruote: l’autovelox e la sposina vagante quotidiana truccatissima inscatolata dentro il macchinone davanti a voi che ha le idee chiare su tutto, tranne su dove girare quando lo smalto delle unghie si sarà asciugato bene. Lo ripeto, non ve ne siete accorti.

Eppure da qualche lustro sulle nostre strade asfaltate è in atto un conflitto culturale transeuropeo, non solo ideologico. Parlare, o scrivere, di conflitti culturali nell’era del gratta e vinci, delle macchinette mangiasoldi, del partitone frittatone unico e del Vaticano che prescrive la medicina del rosario come panacea per tutti i mali può sembrare cosa assurda. Eppure i sintomi del conflitto ci sono tutti, in bella vista, come la lettera di Poe, talmente sotto al naso che nessuno o quasi se ne accorge.

Gironzolando per il dedalo di strade che tagliuzzano le antiche campagne venete, e che hanno occultato per sempre i trodoi venetici le vie consolari romaniche, ci si accorge in primis della progressiva scomparsa dei semafori: quei pali verdi che sostenevano uno scatolotto di lamiera con tre palle colorate luminose, rossa gialla e verde, che si accendevano a intermittenza. Col rosso ci si doveva fermare, col verde si poteva ripartire, col giallo o l’una o l’altra cosa a piacere salvo il vigile in agguato. Il semaforo serviva a regolare il traffico sull’incrocio a croce romana, o greca: quando due strade, due direzioni perpendicolari si intersecano, io col verde passo, tu col rosso stai fermo lì, che tra un po’ toccherà a te. La mia libertà di andare si interseca e limita la tua, e viceversa.

Poi però è successo che dal nord Europa è scesa un’altra logica, un altro sistema di intersezione viaria: quella a croce celtica (volgarmente detta rotonda), che sta pian piano soppiantando quella a croce romana. Più snella, utile e socialdemocratica: tutti gli automobilisti hanno pari diritto a passare, non è più necessario arrestare il veicolo, basta solo frenare quel tanto che basta per dare la precedenza a sinistra e inserirsi educatamente nel traffico che scorre leggiadro.

Capito ora di che conflitto stiamo parlando? La cultura madre dell’Europa si prende, proprio sulle strade che percorriamo tutti i giorni, la sua facile rivincita sulla logica antiquata della colonizzazione greco-romana: in tutta la sua ovvia semplicità, forte della sua atavica intelligenza. E di più: se un incrocio semaforato stile romanico poteva sostenere l’intersezione di due strade (se erano di più diventava un’attesa eterna), un incrocio a croce celtica ne può gestire un nodo di sei-sette (con la rotonda a otto, o a fagiolo), e un semplice geometra, con una zampata di compasso, può sgrovigliare in un colpo solo un incastro satanico di quattro semafori e preservare decine di ettari da inutili coltivazioni demodé.

Per la gioia dei viaggiatori, ma soprattutto per l’eccitazione di assessorati, progettisti, uffici tecnici, imprese e cantieristi che si vedono affidare nuovi appalti con tutto il ben di dio che ne consegue per l’indotto, dalle cartiere ai timbrifici per i quintali di documentazioni e ricorsi, alle imprese movimento terra, costruttrici e asfaltatrici, fino ai giudici fallimentari, agli ispettorati per il lavoro e talora al sistema giudiziario e penitenziario.

Ma la viabilità non è solo conflitto culturale, no. La viabilità è anche informazione, complicata e precisa. I semafori servivano quando eravamo tutti contadini semi o totalmente analfabeti, votavamo comunista o democristiano (pochi irriducibili msi o socialista, rari vip radicale) e andavano al massimo a cento all’ora (non solo nelle canzonette). Oggi che la scolarizzazione forzata di massa ci ha reso tutti dei geni (e votiamo — se ancora votiamo — per cento partitelli uno più snip dell’altro), ecco cosa succede. Come vedete nella foto (uno dei tanti anonimi incrocetti campagnoli del Veneto Orientale, non ancora preso d’assalto dai turisti delle spiagge), al posto di due ipotetici semafori è spuntata una rotondetta di un metro e mezzo di diametro arredata con un vero e proprio boschetto autoctono di pali e tabelle. Ho provato anche a contarli, sono esattamente sessantasette in cinquanta metri. Ebbene sì, sette decine di pittogrammi di origine orientale (la freccia no, deriva dalla runa celtica del guerriero) piantati fitti fitti nel giro di un tiro di fionda. Correndo in auto è impossibile guardarli tutti, ci vorrebbe una telecamera per poi rivedere il filmato rallentato seduti sul divano mangiando pop corn. Meglio se si va in bici, ottimale fare una visita a piedi. Forti della nostra competenza, maturata acquisendo importanti titoli di studio, riusciremo certo a decifrare quasi tutta l’esoterica simbologia che correda la rivincita celtica sulla classicità greco-romana. Mentre poco distante l’argine settecentesco in mattoni di fornace stenta a trattenere la piena del canale, ma è un particolare irrilevante.

Però però però: la superiorità della cultura celtico-europea mostra i suoi limiti: dove prima c’era un semaforo ora ci vogliono dozzine di pali zincati portanti seco tabelle pittografate da ambo i lati della strada per informare che il semaforo non c’è più. Con notevoli gioiosi esborsi di danaro da parte degli enti locali, ovvio, tanto non ce ne sono mai stati tanti di soldi come ora da investire in tabellistica e manufatti metalmeccanici.

Ma, se tutti i conflitti alla fine presentano il conto spese, questo è il prezzo da pagare all’evoluzione culturale, all’europeizzazione insomma: anche lungo una piccola strada di campagna (con rotondetta nuova di zecca) l’informazione, per la sicurezza del viandante, ha il suo costo. ★

Una rotonda sui campi (foto Paolo Fiorindo per Il Ridotto).

Una rotonda sui campi