Mai terremoti
in Val Padana ?
Un falso storico
Anche la pianura è una zona sismica
Sfatata la vecchia credenza secondo cui i terremoti non arrivano in pianura e a Venezia non crollano le case. La pianura padana fu devastata da terremoti spaventosi nell’antichità. Il più terribile, quello del 1511, che colpì le due sponde dell’Adriatico, si spinse fino nelle Marche e toccò anche l’Austria e la Jugoslavia. A Venezia «si aprivanoi li muri», raccontò nei suoi diari Marin Sanudo
MODENA – Adesso, nella pianura molle che trema, dove non doveva crollare niente e invece crolla tutto, scopriamo che per anni hanno raccontato frottole. Politici e tecnici. Senza sapere nulla, e senza vergogna, hanno raccontato che tanto quelli del Nord, quelli che se ne stanno belli pacifici adagiati, anzi sprofondati, nel ventre molle della placida pianura padana, non avevano nulla, ma proprio nulla, da temere. Perché lì i terremoti non arrivavano mai. E anche putacaso, non si sa mai, fossero arrivati per errore, perché avevano sbagliato strada, non avrebbero fatto nemmeno il solletico. Perché sotto la pianura padana non c’è la roccia, che è quella che spinge e si spezza, ma c’è tutta roba molliccia, roba che non può far cadere niente, c’è fango, c’è sabbia, c’è melma, c’è acqua. Per cui, se la scossa di terremoto doveva proprio arrivare, al massimo ballavi un poco, come una nave nel mare inquieto, ma non sarebbe mai caduta una casa, non si sarebbe mai rotto nulla.
Per decenni la gente, che è buona e credulona, ci ha creduto davvero. Specie quella che abita nelle campagne piatte dell’Emilia-Romagna, del Veneto, della Lombardia, quella che sta sui litorali morbidi dell’Adriatico. Hai mai visto un terremoto in spiaggia? Al massimo ti fa crollare i castelli di sabbia. No, a memoria d’uomo, i popoli della pianura padana hanno vissuto senza mai la paura del terremoto. Sicuri che qui non arrivava, non poteva arrivare. Sicuri di stare in una culla molle, dondolante, e per questo inviolabile. Ci hanno creduto davvero. Fino a ieri.
E pensare che bastava andare un po’ al di là della memoria dei viventi per capire che non è proprio così come per decenni l’hanno raccontata. La pianura padana, litorali compresi, è una zona sismica né più né meno come tante altre del paese. E nella sua storia ha sofferto terremoti, anche devastanti, né più né meno come tante altre del paese. È che siccome i terremoti, fortunatamente, non arrivano spesso, e anzi hanno sovente degli intervalli piuttosto lunghi, se ne è semplicemente perduta la memoria. E anche gli studiosi, evidentemente, non sono andati troppo di sovente a ripassarsi nei libri di storia gli eventi del passato.
Lo avessero fatto, avrebbero scoperto che la pianura padana, fino a ieri ritenuta quasi immune dai terremoti, almeno da quelli più forti, in realtà immune non lo era affatto. Fin dall’anno mille ci sono tracce di terremoti devastanti nella pianura padana. Come quello del 1117, uno dei più terribili, che colpì tutto il Nord Italia, dalla Lombardia al Veneto, dall’Emilia-Romagna alla Toscana, e provocò decine di migliaia di vittime. Come quello del 1348, che colpì Venezia, il Friuli e l’Austria, e regalò alla città dei Dogi lo spettacolo inconsueto del Canal Grande che restava all’asciutto quando veniva colpito dalla furia delle onde del maremoto. Come quello del 1570, che come oggi colpì duramente Ferrara e tutto il suo territorio, come quello del 1695 intorno al Monte Grappa, quelli del 1810 e del 1901 sulle sponde del lago di Garda, quello del 1936 nel bellunese, sul Cansiglio.
Il sisma più devastante fu quello del 1511. Alle ore 15 e 42 del 26 marzo di cinquecento e uno anni fa (in primavera, anche allora), un terremoto di grande violenza colpì la pianura padana e il litorale, ambedue le sponde dell’Adriatico, devastò Trieste e Venezia, l’Austria e la Jugoslavia, provocò un maremoto, e arrivò fino nelle Marche. Fece dodicimila vittime. Era scoppiato a cavallo tra il Friuli e la Slovenia, epicentro ad Idrija, cinquanta chilometri dal confine italiano. Le antiche cronache parlano di «molti camini et case» crollati anche a Venezia, dove invece si diceva che nessuna casa era mai crollata nella storia della città, né mai sarebbe crollata nei secoli dei secoli.
Ci furono decine di morti a Cividale, ingenti danni a Gemona, a Udine crollarono il celebre castello e la loggia della chiesa di San Giovanni, anche a Tolmino venne giù il castello trascinando nel crollo quaranta soldati boemi. A Trieste crollarono i muri e le case, e il maremoto travolse le banchine del porto. La gente fu costretta a lasciare la città e a rifugiarsi sulla collina di San Giusto. Fu colpita anche Pirano, in Istria — ha raccontato Kristjan Knez su La Voce — fu devastata Lubiana in Slovenia, e Klagenfurt in Austria venne praticamente rasa al suolo.
Fu «un grandissimo terremoto, de’ più spaventosi che mai fossero sentiti», lo descrisse a Udine un testimone, Giorgio Amaseo. Le scosse di assestamento furono moltissime, e si protrassero per diversi mesi, con la gente che abbandonava le case e cercava rifugio nelle campagne. «Il terremoto pur continuava et era universale in tutta l’Italia et anco in parte di Alemagna — raccontano le antiche cronache — et quasi ogni giorno et ogni notte si sentiva con tanto spavento et paura della gente, che le persone uscivan a dormir alla foresta et alla campagna».
Anche Venezia, la città che sembrava più di tutte al riparo dai terremoti, proprio perché fondata sull’acqua, fu duramente colpita. Fu danneggiato anche il campanile. Lo racconta Marin Sanudo nei sui Diari: «A dì 26 marzo, di mercore, a hore 20 e tre quarti. Hessendo il tempo non molto quieto, a l’improviso vene in questa cità di Veniexia un grandissimo terramoto, che pareva che le caxe ruinasse, li camini si moveano, si aprivano li muri, li campanieli si piegavano, le cosse in alto poste caschevano, l’acqua ne li rij bogiva, come fusse al focho posta, e cussì in canal grando; e, dicitur, in alcuni canali, hessendo alhora l’acqua grande, venuto il terramoto, si sechoe, adeo pareve fusse grandissimo secho. Duroe questo terramoto per spazio di un miserere, chè fu sensibil et oribelissimo, considerando in quanto pericolo erano gli habitanti in questa cità, insolita a siemel terramoti, et za più anni non sentito». ★