Una spirale irresistibile di catastrofi virali

Da guardare assolutamente

Immaginate un Paese dove l’inettitudine (un tempo anche la corruzione, ma oggi un po’ meno) degli apparati statali (sanità scuola amministrazione forze armate per dirne pochi) è pari solo all’immensa sicumera, arroganza, protervia dei loro membri (e più si sale più progressivamente si aumentano la prima e le seconde): immaginate che in questo paese esploda all’improvviso una epidemia mortale, velocissima. Immaginate che qualsiasi misura presa dagli inetti apparati sia inutile, pletorica, nociva. Che paese è?

COSMOPOLI — Nella Russia di oggi, e proprio a Mosca, scoppia un’epidemia letale e rapida di una specie d’influenza che ti fa venire gli occhi bianchi e sputare rosso sangue. E si muore in due o tre giorni. Orrore. E chiudono la capitale con tutti gli abitanti dentro. Orrore orrore. E quelli che ti dicono che vogliono aiutarti invece vogliono derubarti violentarti spararti. Orrore orrore orrore.

Una composita trifamiglia di vicini bizzarramente assortiti scappa dall’incubo dalla città verso un lago in Carelia, in cerca di un rifugio. E proprio così Verso il lago (To the lake, titolo originale Epidemiya) serie russa di Netflix racconta in modo incredibilmente avvicente la perigliosa odissea, frammezzata di attimi commoventi terrificanti emozionanti che vi tocca di guardarla tutta d’un fiato di questi poveretti che cercano solo di salvarsi, e se potete guardatela tutta diritta.

Io posso, qui nella conciergerie desolatamente deserta del Grand Hotel Les Pantalons Rouges di Bad-Gadesbourg nel cantone di Uri, in Schvizzerha. Posso e l’ho fatto, proprio perché potevo. Sì, sono proprio io, sono tornato eppure non sono mai andato via, ma mi avete scoperto ancora una volta. Il barone Heinz Krauss von Espy in esclusiva per voi su Il Ridotto e questa volta per parlare bene di una cosa che ho visto sul serio. Tutto il contrario del solito.

Ricordate (dovete ricordare) i Sopravvissuti inglesi della pandemia dei primi anni Settanta (Survivors 1975, Terry Nation); ricordate gli sfigati della Città verrà distrutta all’alba (The Crazies 1973, George A. Romero USA), o quelli di Contagion (idem 2011, Steven Soderbergh USA). Ecco, adesso potete anche dimenticarveli perché questo è meglio. Molto meglio.

Le serie (e i film) zombie non valgono perché è un’altra malattia, ma se volete divertirvi con un paragone influenzabile, potete giulebbarvi l’insulsa marineria testosteronica statunitense di The Last Ship (idem 2014-2018, Hank Steinberg e Steven Kane USA) o la deprimentissima adolescenza danese di The Rain (idem 2018, Jannik Tai Mosholt, Esben Toft Jacobsen e Christian Potalivo Danimarca).

Uno dei pregi di Epidemiya è che si vedono le cose mentre succedono, non prima e dopo, o dopo e prima come fanno tanti, ma durante. Per avere il primo flashback bisogna arrivare alla sesta puntata. Segno evidente che i registi odierni della nazione che per prima aveva esplorato tutte le possibilità del cinema (e mi dispiace per voi ma Sergei Eisenstein e Dziga Vertov sono proprio esistiti) hanno studiato per davvero e adesso fanno le serie meglio degli altri.

Un altro dei pregi è che i russi sono più empatici degli inglesi e più profondi degli americani, più sentimentali degli italiani e meno pretenziosi dei francesi, e anche (almeno qua) più disinibiti degli scandinavi, e bevono tantissimo: gli eventi si susseguono incessanti in una panoplia variegata di tragedie, sfighe mostruose, atti di coraggio e codardia, bottiglie di vodka fatta in casa, meschinerie ed eroismi, amore e sesso. Una ricetta ruffiana finché volete ma cucinata con maestria.

Infine, per voi maschioni che ancora vi piacciono certe cose: ci sono bellissime attrici lineamenti incantevoli e mammelle meravigliose (segno evidente che: o la chirurgia estetica post-sovietica è ascesa a livelli inenarrabili, oppure si può essere davvero belle così, senza plastica). Ma anche gli attori sono carini per chi è sensibile come me.

Ovviamente, ça va sans dire (ma lo dico lo stesso) essendo una serie apocalittica: la catena a spirale di catastrofi inanellate è senza fine, e ognuna è peggiore delle precedente. Perciò: grande sorpresa finale. Siete avvertiti ma non saltate all’ultima casella che non vale.

Un avvertimento: visto che si può fare, guardatela con l’audio originale e i sottotitoli che preferite. Evitate qualsiasi forma di doppiaggio, sennò vi boccio.

Per adesso è tutto, tanti cari saluti e bacioni dal Grand Hotel Les Pantalons Rouges. Alla prossima serie.

 

 

Una spirale irresistibile di catastrofi virali