Capitan
Franco Batacchi

In memoria di un direttore visionario e irriverente

Alla vigilia di Natale 2011 si è spento Franco Batacchi, pittore di quadri e direttore di giornali, di carta ma anche no, incisore, scultore, artista e critico d’arte; ma soprattutto un avventuroso innovatore editoriale. Avrebbe compiuto sessantotto anni il 5 gennaio.

Prima o poi nelle redazioni dei giornali scatta l’orgasmo dell’inchiesta sui giovani. Per attrarre pubblico giovane. Ovvio. Nello scantinato della concessionaria d’automobili alla Vempa, rampa cavalcavia, Mestre, Venezia, quel giovedì pomeriggio riunione di redazione. Una dozzina di tardoadolescenti: «Non serve che facciamo un’inchiesta: basta che ci domandiamo tra noi».
«Voi non siete giovani. Se foste giovani non sareste qui.»

Era il 1983 Franco Batacchi junior era il direttore di Venezia7, il settimanale veneziano con Corto Maltese in testata (regalato da Hugo Pratt in persona). Aveva quarant’anni ma era sicuramente più giovane di noi, che a venti pensavamo che fare i giornalisti fosse un gran figata.

In effetti però la redazione di Venezia7 era una grande figata. A parte i non giovani, che poi sono diventati quasi tutti stimati professionisti cittadini, dell’informazione e anche no; e non si sa se sia un merito o una colpa del maestro; c’erano i non vecchi, che adesso non ci sono più ma che erano titanici.

I locali della redazione alla Vempa erano a strati uno sopra l’altro come i ponti di una nave, e sarà stato anche per questo, oltre agli anni passati che mi fanno vedere oggi tutti i trascorsi sotto una luce rimbambita e avventurosa, ma pareva proprio di essere in mezzo a dei corsari.

Capitan Batacchi era piccolino e cicciottino, con la barba che non si capiva se era da tagliare o da lasciar crescere, pareva un orsetto: ma non era mica mona. Anzi. Governava il settimanale con lampi di genio ironico, con beffe sanguinose, con piglio filibustiere. Pilotava la sua ciurma di coscritti (una dozzina di collaboratori) e arruolati a forza (due redattori e una segretaria e i vegliardi) in spedizioni malandrine. Durante la Mostra del Cinema ci si trasferiva armi e bagagli nelle disadorne aule dell’Ala Dreyer, dietro e dentro il palazzo, per un’edizione quotidiana del settimanale, per quindici giorni tutta dedicata alla Mostra. Adesso la stessa cosa la fanno le testate multimilionarie finanziate dalle cretinissime major cinematografiche con dépliant stile pubblicità degli ipermercati. Ma allora era un’impresa titanica, e divertente, e anche intelligente. Quando uscì Marco Polo, il mensile veneto patinato dell’editrice de Il Gazzettino, ecco che Capitan Batacchi pubblica Marco Polo 2000, presentato a Ca’ Dario e che inevitabilmente forse anche per questo morirà prestissimo.

Come riuscisse a farcela è merito. Non per i soldi, che magari glieli prometteva il pirotecnico festaiolo Gianni De Michelis allora Doge socialista, ma proprio per riempire le pagine prima di andare in stampa. Per quanto volenterosi, i giovani sono giovani, e perciò in gran parte inaffidabili: hanno sempre qualcos’altro d’importantissimo da fare. Sopperivano le macchine inarrestabili dei vegliardi: c’erano pomeriggi in cui Mirko Trevisanello e Alessio Mezzina tempestavano le scassatissime Lettera 22 di fiumi di ricordi notizie storie che si materializzavano da lì a poco in pagine irresistibili.

Ma anche fisicamente credete che sia facile? In un mondo in cui si comunica a distanza solo con il telefono fisso, a gettoni magari? E per avere un fax bisognava avere una concessione governativa? Io per esempio visto che arrivare alla Vempa dal Lido ci voleva un’ora e mezza (bici più motoscafo più autobus) gli infilavo gli articoli battuti a macchina (Lettera 35) nella buca delle lettere di casa, in Ruga Giuffa (così prendevo solo la motonave) alla mattina presto. Poi li portava lui. Venivano trascritti furiosamente dalla segretaria tuttofare in uno scassatissimo computer impaginatore e quindi, smaterializzati digitalmente, portati in piena campagna a stampare. Poi sarà anche peggio: trasferita la sede di Venezia7 in Via Torino, in un capannone hangar dotato di sventoli inutili (facevano svolare via tutte le carte dalle scrivanie) le pagine venivano portate in tipografia al vicino Gazzettino e trasformati in strisce di carta dalla poderosa stampante milionaria delle Imprese Tipografiche Venete. Riportate le strisce in redazione, per ore e ore, seguendo i menabo incollavamo le strisce con della puzzolentissima cera rovente sui fogli millimetrati e poi di nuovo in tipografia per la stampa. Tirai dentro anche il mio papà, che all’epoca era già in pensione (ma aveva cominciato a fare il linotipista a sedici anni) per la parte peggiore dei giornali: la distribuzione. E Capitan Franco Batacchi si cuccava tutte le fasi del lavoro. Anche no.

D’altronde, ce l’aveva nel sangue.

Sebbene si chiamasse Junior. O meglio, Jr. Per distinguerlo da suo padre, Franco Batacchi Sr. e fosse come lui pittore, scultore, critico d’arte, organizzatore di mostre. Era il giornalismo la sua grande passione. In senso pregnante direi: interesse, inclinazione, forte amore che domina l’uomo inducendolo a compiere azioni degne di biasimo, con punte di sofferenza fisica e morale, infatti.

Aveva iniziato alla fine degli anni ’60 fondando un settimanale aggressivo che rompeva la monotonia e il servilismo dell’informazione veneta del tempo. Si chiamava «Treviso 7 giorni». Era l’art director. Con lui, due personaggi straordinari: il giornalista Adriano Madaro detto «Il Cinese», che ne era il direttore (poi a lungo inviato del Gazzettino e organizzatore di eventi culturali in Cina); e il pirotecnico editore Giorgio «Spassoeta» Spigariol detto Spiga, che era il potente direttore della Pro Loco Tarvisium e poi segretario del felpatissimo e democristianissimo Doge Carlo Bernini. Sede prestigiosa in centro a Treviso, sopra il ristorante «Alfredo» di Alfredo Beltrame, fondatore della catena dei Toulà, legami politici con la corrente morotea della Sinistra di Base guidata a Treviso da Carlo Bernini e Dino De Poli, il tuttora potentissimo patron di Cassamarca. Il successo di «Treviso 7 giorni» lo portò nel giro di alcuni anni ad espandersi al resto della regione e a diventare «7 Giorni Veneto», fondendosi con un altro settimanale aggressivo, «Veneto Sette». «7 Giorni Veneto» visse parecchi anni, prima di chiudere affondato dai debiti che travolsero il direttore, costringendolo persino a vendere alcuni degli appartamenti di famiglia, compresa la sua bella casa in Calmaggiore.
Nel frattempo Franco Batacchi Junior si era dedicato ad altre imprese.

Nei primi anni ’70 fu tra i fondatori, insieme alla Marsilio dei fratelli De Michelis, di un altro settimanale di battaglia, «Speciale Nord Est» con sede a Mestre.

Notate che Batacchi fu il primo a usare questa denominazione in luogo delle desuete Tre Venezie e Triveneto.

Fu in quest’ambito che inventò la prima televisione privata della regione: «Tele Veneto». Occhio: era una tv via cavo, allora sembrava che questo sarebbe stato il futuro; però nell’allora presente era ancora più che futuro: i cavi non c’erano. Bisognava stenderseli, i cavi. Furono fatti esperimenti, e trasmissioni, tirando cavi in centro a Mestre, in centro a Treviso, e cablando un’intera isola veneziana, quella di Sacca Fisola, da dove venivano irradiate demenziali trasmissioni fatte insieme agli abitanti. Il caso ebbe rilevanza nazionale. Televeneto vinse anche un premio della rivista «Millecanali» a Milano per la miglior trasmissione italiana: «L’autostrada di Pinocchio», un’inchiesta del nostro direttore editoriale, filmata dal compianto Giulio Da Re, sulle bufale raccontate dalla Dc per costruire l’autostrada Venezia-Monaco, mai realizzata.

Non si arrese alla chiusura della tv, Capitan Batacchi fondò un network radiofonico con sede nel quartiere Cita di Marghera: forniva radiogiornali a sedici piccole emittenti e si sosteneva con gli introiti pubblicitari raccolti da una trasmissione in lingua tedesca, destinata ai turisti del litorale adriatico.

Forse era anche troppo avanti. Sognava una Venezia senza antenne sui tetti e per questo aveva convinto la Philips a cablarla: figuriamoci!

Poi la stagione del «Diario», sempre con i De Michelis, e quindi di Venezia7. Al Diario Franco Batacchi era responsabile delle pagine culturali. Di Venezia7 oltre a quanto detto, aggiungerei che il giornale visse per sette anni: scusate se è poco. Dopo la morte di Venezia7, a quel poco che ne so, l’ultima sua impresa giornalistica fu un altro settimanale analogo ma effimero: Latina7. Ignoro le ragioni per cui finì a Latina. Me ne andai da Venezia7 dopo aver lavorato inutilmente ad un numero speciale di Marco Polo 2000 dedicato all’expo di Venezia. Come fosse possibile che un mensile finanziato da Gianni De Michelis fallisse prima di uscire con un numero speciale dedicato alla grande promessa del suo sponsor (tra l’altro tutto scritto da me, che me ne ero anche andato in Giappone a vedere Tsukuba ‘85) ciò mi appare ancor oggi misterioso.

Ma Capitan Franco Batacchi era in realtà un impenitente sognatore, un fantasioso anarchico insofferente di ogni regola. Nelle sue varie imprese tentò di venire a patti con i potenti, ma ogni volta avevano loro il coltello dalla parte del manico, e i cordoni della borsa stretti stretti. Come accade quasi sempre ai corsari. ●

Capitan Franco Batacchi