Al mio funerale

Sono due le grandi curiosità del morire. La prima, la più importante, è «cosa succede di là?»: c’è solo buio e silenzio e chi s’è visto s’è visto o c’è l’inferno col fuoco e i diavoli, e il paradiso con sempre bel tempo, frutta e verdura fresca, il pane d’oro, i polli d’argento e Benigni sulla sedia che lo spiega ai turisti? Purtroppo non è mai tornato nessuno a raccontarcelo e quindi, a parte gli uomini di fede assoluta, ai normali qualche dubbio ha sempre rovinato la serenità del far del bene.

“E se poi non mi serve a niente?”.

Ci fosse la sicurezza uno potrebbe dire “non preoccuparti del terremoto, bombardamenti o rapine a mano armata, tanto di là hai già pronto il tuo sdraio, la capanna, il vinello preferito, e la hostess che ti aspetta se vuoi visitare qualcosa”, ma così invece…

La seconda, più piccola, ma non di tanto, è “cosa succederà di qua?”: che forse è anche più intrigante. E’ una vocazione-preoccupazione soprattutto degli artisti sapere cosa succederebbe dopo: “Mi seccherebbe molto, dopo una vita di difficoltà, vedere di essere considerato e valutato. Gli venisse un colpo, non potevano farlo da vivo?”.

Assistere al proprio funerale è una curiosità di tutti: almeno per vedere se la moglie (o il marito) segue il feretro con l’amante, se i figli ci sono o sono rimasti al lavoro, se gli amici sono più contenti che dispiaciuti ecc., o almeno soltanto per osservare le facce e sentire i discorsi in genere, e soprattutto di chi credeva di ereditare ed invece ha scoperto che hai lasciato tutto alla chiesa, o all’ente benefico, o al gatto o altro (come vedere le labiali dei calciatori quando sbagliano il gol).

Ha fatto bene quella signora americana a venir appositamente a Venezia, dove desidera essere sepolta, a controllare l’elenco e l’esecuzione delle musiche che verranno suonate al suo funerale, perché uno dei sospetti più fastidiosi è pensare che “dopo” si veda e senta tutto senza poter intervenire.

“E se suonano cose che non mi piacciono? Di funerali ne posso fare solo uno e non voglio rovinarmelo”. “Fidarsi è bene ma…” e il “soddisfatti o rimborsati” in questo caso non funzionerebbe. Tutto quello che si può provare prima, meglio farlo. Non che questo dia una garanzia assoluta però…

Adesso, forse per amor di perfezione, c’è la mania di provare tutto. Una volta anche ci si sposava a scatola chiusa, adesso, per essere sicuri, fanno la prova, la riprova e la controprova anche se poi quando finalmente si sposano, divorziano subito lo stesso.

Persino i vestiti o le scarpe a volte si comperano quasi usati a forza di essere stati provati. L’unica cosa che non ti fanno provare, assieme al nascere, è proprio il morire: bisogna andare a “braccia”, improvvisare, e sperare che vada bene alla prima.

(tratto dal libro “Ridi? Perché?” di Lino Toffolo, TLA Editrice, Ferrara 2003)

Lino Toffolo (fonte: www.tgcom24.mediaset.it)

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