Il ritorno di Confucio

Per capire un poco di Cina

Tra alti e bassi un drammone cinese sulla fondamentale figura storica, filosofica e politica, di Confucio: il consigliere del re che duemila e cinquecento anni fa plasmò il pensiero e le azioni dei governi e del popolo del Celeste Impero superando anche i terribili ed inutili anni della Rivoluzione Culturale di Mao. Per capire un poco dove stanno andando i cinesi.

COSMOPOLI — Confucio è un film del 2010, diretto dalla regista cinese Hu Mei. La regista appartiene alla quinta generazione di cineasti, che nasce nel solco prodotto di due movimenti letterari: la «letteratura delle cicatrici» e la «ricerca delle radici». Il primo rielabora criticamente le tremende sofferenze della Rivoluzione Culturale liberandosi dell’armatura ideologica rivoluzionaria; il secondo cerca di riscoprire e valorizzare gli elementi essenziali della cultura millenaria cinese.

La figura di Confucio (551 – 479 a.C.) è essenziale per la storia della Cina, pensatore e filosofo aristocratico, il cui nome Confucio è la latinizzazione (Confutius) creata in ambiente gesuitico nel 1666 del termine cinese Kong Fuzi. Ebbe incarichi istituzionali solo alla soglia dei cinquant’anni presso la corte di Lu, fino a diventare consigliere del re, per poi venire esiliato e intraprendere una peregrinazione tra i vari Stati cinesi durata quindici anni.

Poliedrico pensatore politico, i suoi pensieri rimangono raccolti in brevi aforismi. La sua vita si svolse all’interno del periodo denominato delle Primavere e degli Autunni (770 – 454 a.C.), periodo di perenni conflitti tra nobili, caos e corruzione. Il pensiero di Confucio che è uno dei molti pensieri politici nati in quel periodo di disordine, tanto che la moltitudine di scuole allora nate fu definito «il movimento delle cento scuole», ma il suo pensiero fu quello che prevalse anche perché venne scelto a modello di condotta dalle successive dinastie Song e Ming.

 Il pensiero confuciano si può riassumere in cinque punti, o virtù: Amore verso il prossimo Ren; Giustizia o rettitudine Yi;  Rito appropriato (o all’occidentale galateo) Li; conoscenza Zhi; integrità o fortezza Xin; e con una particolare attenzione anche all’apprendimento della musica, considerata come una medicina armonizzatrice. Confucio non inventò queste virtù ma le riprese dal periodo mitico cinese, antecedente di circa seicento anni la sua nascita, le convogliò in una dottrina filosofica che stranamente per quei tempi faceva pochissimo affidamento al trascendente.

Durante il periodo maoista fu avversato proprio per il suo legame con la monarchia; venne poi rivalutato negli anni Ottanta, con una ripresa degli studi confuciani e il restauro dei monumenti a lui dedicati.

Nel  film Confucio viene interpretato dal magistrale Chow Yun-fat, già visto nelle vesti del cattivo in molte pellicole d’azione americane e che riesce nel difficile compito di tenere le mani a posto e di usarle solo per salutare nella maniera tradizionale molto scenografica e pacata, lasciando alla recitazione solo il volto. Il film riprende gli anni attivi di Confucio, gli anni degli incarichi istituzionali e del successivo triste esilio ad opera dei feudatari del regno, e mette in luce l’azione pacificatoria e regolatrice, volta con saggezza non priva di una buona dose di astuzia. Sembra ed è un film didattico per le nuove generazioni cinesi, ogni personaggio che si aggiunge alla narrazione viene specificato con una piccola didascalia. Scene di massa in una computer grafica che alle volte sembra un po’ art-attack. L’aggiunta della consorte del re di Wei che tenta eroticamente Confucio stona un po’ con il resto del film. Finale da lacrimoni.

 

Il ritorno di Confucio