Il cassopipa
Una delizia a cottura lentissima
È un piatto di origine chioggiotta e non una parolaccia. Si chiama così perché una volta veniva fatto su una pentola di terracotta chiamata (casso, da cassariola) che veniva lasciata pipar su un angolo della cucina economica, oppure veniva preparato in barca dai pescatori: quando tiravano su le reti, tenevano da parte i granchi e altri crostacei o molluschi di scarsa qualità per prepararsi, in barca, una sorta di zuppetta calda.
VENEZIA -
È un piatto di origine chioggiotta e non una parolaccia. Si chiama così perché una volta veniva fatto su una pentola di terracotta chiamata (casso, da cassariola) che veniva lasciata pipar su un angolo della cucina economica, oppure veniva preparato in barca dai pescatori: quando tiravano su le reti, tenevano da parte i granchi e altri crostacei o molluschi di scarsa qualità per prepararsi, in barca, una sorta di zuppetta calda.
Il cassopipa, per risultare buono, deve essere fatto minimo per sei o otto persone perché per prepararlo servono tutte le varietà possibili di molluschi: peoci, bevarasse, garuzoli, caparozoli (altrimenti detti vongole veraci chissà perché, come se le bibarasse fossero invece false), capelonghe, telline e quant’altro si riesce a trovare al mercato, aggiungendo anche due o tre folpetti o due calamaretti nostrani.
Per prepararlo bisogna far saltare su una pentola con olio d’oliva e uno spicchio d’aglio le cappe separatamente (lavate e spurgate in acqua salata, se necessario) un tipo alla volta: quando aperte sgusciarle e mettere da parte il sugo di cottura formatosi, filtrandolo bene per togliere eventuali residui di sabbia.
Se volete risparmiar tempo e lavoro, potete anche evitare di sgusciare le cappe, poi direte che «è più rustico così». Preparare in una pentola, meglio se di terracotta per rispettare la filologia gastronomica, un abbondante soffritto con cipolla, sedano, carota e aggiungere tutti i tipi di cappe, i calamaretti e/o i folpetti, tagliati a pezzetti se troppo grandi, amalgamando il tutto.
Aggiungere quindi due bicchieri di vino bianco (e, volendo e anche non volendo, perché ci sta molto bene, un poco di cognac) rimescolando energicamente, iniziare a questo punto ad aggiungere l’acqua di cottura delle cappe (il più possibile) e spezie in quantità a piacere: cannella, noce moscata, alloro, abbondante pepe, timo e altri aromi che il vostro estro vi suggerisce.
Abbassare al minimo la fiamma e lasciare cuocere, pipare appunto, con molta calma; aggiungendo mano a mano l’acqua delle cappe rimasta. Alla fine il sugo deve risultare denso. Si può usare anche per condire gli spaghetti (meglio forse usare dei bei bigoi): si saltano in padella con uno (anche due o tre) spicchio d’aglio schiacciato, il sugo del cassopipa, ed una croce di olio d’oliva stravergine.
Buon anno!