Matrimonio d’interesse

Un racconto settecentesco

Il conte Gasparo Gozzi  (1713 – 1786), giornalista e scrittore, fratello del noto Carlo autore di teatro, fondò diresse e scrisse per intero tre giornali (fogli, nelle sue parole). Tra il 1760 e il 1762 la Gazzetta veneta (bisettimanale, dal febbraio 1760 al gennaio 1761), il Mondo morale e l’Osservatore veneto (prima settimanale, poi bisettimanale, dal febbraio 1761 all’agosto 1762). In seguito divenne funzionario dei Riformatori dello Studio di Padova, la magistratura che si occupava della politica culturale della Repubblica. Svolse per molti anni con buon senso e apertura mentale l’incarico di sovraintendente alle stampe e revisore dei libri. Scriveva con chiarezza e vivacità di fatti di cronaca, scenette di fantasia e recensioni librarie e teatrali; ma anche temi di portata più ampia.

Pietro Longhi, Il matrimonio (I sette sacramenti, 1755-57, Pinacoteca Querini Stampalia; fonte wikimedia.org).

Nella contrada di S. N. fecesi ai passati di un pajo di nozze sì sontuose, e di sì nuova invenzione, che merita d’aver luogo nel presente foglio. Abitava quivi M. R. sartorella di professione; la quale nell’esercizio dell’arte sua essendo molto perita, avea perciò acquistate molte avventore, e pratiche, ch’erano vestite da lei con ogni qualità d’abiti alla francese, alla prussiana, e insomma in qualunque modo avessero voluto.
La celebrità sua le arrecava per le continuo faccende un gran guadagno a casa , tanto che la vicinanza, come si fa, quando ragionava di lei, chiamavala fortunata, e dicea ch’ella avea un monte d’oro, e che l’era pazza a non cominciar ad investire, per apparecchiarsi un ozioso stato al tempo della sua vecchiaja.
Un gondoliere non fu sordo alle cose, che venivano dette, e forse pensando fra sé, che lo investire si riduce ad una picciola entrata, e ch’è gli è meglio godere un tratto del capitale, che stentare a poco poco col frutto, volle ajutare la povera sartorella col suo consiglio.
Ripulitosi dunque, e affidatosi ch’egli era uno di cotesti gondolieri, de’ quali molti si veggono, biondo, biancone, grassotto, e tutto festevole, tanto fece co’ suoi artifizj, con l’ingegno, che cominciò ad entrare in casa della sartorella, e accostarsi che non le riusciva mala cosa, ma che lo vedeva di buon occhio, di dì in dì innoltravasi con le parole, tanto che fra ‘l motteggiare e la serietà si conchiuse fra loro un trattato di matrimonio.
In breve venne un rigattiere, o stracciajuolo, che fatto un inventario, e la lista dei mobili della sposa, giuntovi non so quali fila di perle, e certe dorerie, e argenti, si trovò che la somma montava presso che a’ due mila ducati.
Fecesi la scrittura autentica della dote, e già il gondoliere godevasi a mente i vicini tesori.
Per la qual cosa fatto largo il cuor suo, volle che le nozze fossero belle e grandi: per modo che nell’assegnato giorno furono i novelli sposi accompagnati ad udire la Messa del congiunto da otto gondole, e il pranzo s’apparecchiò in un casino, fornito come un palagetto incantato, e prestato ad instanza della sposa, non so se dal compa- re, o da altri.
Tutto fu giubilo in quel giorno, e danze e suoni, sicché ogni cosa augurava contentezza, massime allo sposo, che ringraziava tutti delle cerimonie , e delle congratulazioni, che avesse con la presenza sua e con 1’ingegno saputo acquistarsi duemila ducali, e moglie così valente a lavorare. Chiusesi finalmenle il giorno dell’allegrezza, e due altri ne passarono, e volendo il marito con maggior quiete rivedere le robe della dote, ritrovò gli armadj, e le casse sue vote, e le perle, e le dorerie, e ogni cosa sparita; e che solo gli restava la moglie con quel poco, che avea intorno; e una vesticciuola, ed uno zendale per uscire di casa.
Immagini chi legge s’egli montò sulle furie, e se volle sapere dov’era la roba sua, e se con la carta in mano voleva far vedere le sue ragioni.
Ma l’avrebbe fatte vedere all’aria; perché tutti quegli abiti erano stati dalla sartorella restituiti alle sue avventore, che gli aveano dati da cucire, e ch’ella avea trattenuti, scusandosi con esse, che non avea potuto in que’ giorni pel vicino matrimonio terminargli, e gli avea intanto fatti scrivere sul contratto per suoi; e così fu dell’oro, dell’argento, e delle perle, che parte per andare in maschera, e parte per comparire onorevole il giorno delle nozze, 1’ avea domandato in prestanza, e dopo l’avea puntualmente dato alle padrone, che gliel’aveano prestato.
Pensi ognuno quale sì restasse il novello sposo, a cui però rimane una moglie, che sa benissimo lavorare, e che ha buona testa.
Rimane una curiosità ad alcuni di saper quello che si facesse la giovane de’ danari da lei guadagnati prima delle nozze, e pe’ quali era stimata ricca. Gli avea dati daddovero a conto di dote a poco a poco a persona, che con promessa di sposarla non effettuata, la ridusse in istato di fabbricarsi una dote nuova con l’ingegno, senza far altri romori.

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Tratto da Novelle del conte Gasparo Gozzi viniziano — Edizione correttissima, stampata a Venezia nel 1821 dai torchi di Giuseppe Molinari (in Ruga Giuffa, San Zaccaria n. 4879, si legge in altra opera) a spese di Giuseppe Guoato. Dall’introduzione: «Questo leggiadro Scrittore aveva una delicata maniera di vedere le cose e di presentarle ad altrui, ch’era tutta sua propria; e nelle graziose narrazioni di lui e dove spicca, in singolar modo questo suo maraviglioso talento. Gran numero di Scrittori hanno arricchita l’Italia di Novelle certamente scritte con molto studio a maestria: ma questa foggia di novellare rapida, leggiera, faceta, che si vede posta in uso tanto felicemente dal Gozzi, all’Italia mancava ancora».
 

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