Nel segno di Kociss
L’ultimo ladro gentiluomo
45 anni fa, il 12 maggio 1978, veniva ucciso in un finto scontro a fuoco con la polizia in un canale di Venezia dopo una rapina in banca (in realtà fu un’esecuzione, 14 colpi a zero), Silvano Maistrello, l’ultimo romantico bandito veneziano, amatissimo in città, che rubava solo ai ricchi, che non ha mai sparato un colpo, né ferito o ucciso nessuno. Un ladro acrobata con 17 spettacolari evasioni al suo attivo, protagonista di un libro di Roberto Bianchin. La sorella, Annamaria Maistrello, ne ricorda, nelle pagine del suo diario, gli ultimi istanti di vita.
Quella notte non avevo chiuso occhio. Non so perché, troppi brutti pensieri. Ero in ansia, aspettavo notizie di Silvano da un momento all’altro. Speravo di vedermelo piombare in casa all’improvviso, magari entrando dalla finestra, frettoloso e sorridente, come tante volte.
Alle due del pomeriggio sentii suonare il campanello. Ebbi un colpo. Andai ad aprire, era Mario Carioca, il barbiere, che aveva la bottega proprio davanti a casa nostra.
“Su Rai Due hanno appena detto che c’è stata una rapina al Banco San Marco, e che hanno ferito tuo fratello”, mi disse, tutto di un fiato.
Il cuore correva come una locomotiva. Sentii un sudore freddo sulla fronte. Gli chiesi di tenermi Stefano e Adriana, i miei bambini.
Arrivai volando all’ospedale civile dei Santi Giovanni e Paolo. I cancelli erano chiusi, l’usciere non voleva farmi entrare, non era ancora orario di visite.
Gli gridai che avevano sparato a mio fratello e che dovevo andare al pronto soccorso. Ma il medico di turno mi disse che Silvano non era lì, che l’avevano portato all’obitorio.
Lì per lì, agitata com’ero, non realizzai. Pensavo che l’avessero portato in un altro reparto. “Ma dove casso xe l’obitorio?”, urlai a un infermiere che passava con una lettiga. Ero sconvolta.
“Perché, chi xe morto?”, mi domandò lui.
Fu solo in quel momento che realizzai.
Fu quella parola, morto, che mi aprì gli occhi, che mi fece capire che Silvano era stato ucciso.
Fu come uno schiaffo. Non ci volevo credere. No, no, non è possibile, mi ripetevo mordendomi le labbra, sforzandomi di non piangere.
E correvo, correvo verso l’obitorio più veloce che potevo. Come se volessi, come se potessi, ancora salvarlo. Come se la sua vita dipendesse da quanto andavo veloce. Ma anche l’obitorio era chiuso. “Xe tuto serà, Cristo!”.
Nel frattempo era arrivato Gilberto, mio fratello. Notammo che sulla parete, in alto, c’era una finestra a vetri. Ci arrampicammo, togliemmo un vetro nella parte superiore e guardammo dentro. In una stanza spoglia, dalle pareti chiare, c’era un bancone di marmo.
Disteso sopra il bancone, coperto da un lenzuolo bianco che gli lasciava fuori la faccia, c’era Silvano.
Era ancora vestito. Aveva gli occhi chiusi e un’aria distesa. Solo allora mi resi conto davvero che l’avevano ucciso. Che Silvano non c’era più. Che non l’avrei mai più rivisto.
Rimasi a guardarlo a lungo abbracciata a Gilberto. Non ho pianto, non ho gridato, non ho detto niente. Non piangevo mai davanti agli altri, solo quand’ero da sola. Ma in quel momento avrei voluto spaccare tutto dalla rabbia. Mi pareva che il cuore mi stesse scoppiando. Mi sono sentita male, Gilberto ha dovuto darmi delle gocce.
Pensavo che se l’avevano ucciso era per colpa mia, dal momento che lui era tornato per aiutarci.
(Dal diario di Annamaria Maistrello, sorella di Silvano, tratto dal libro di Roberto Bianchin “Kociss, passione e morte dell’ultimo bandito veneziano”, Milieu edizioni 2013. Il libro contiene il cd di canzoni “La ballata del ladro Kociss” di Giovanni Dell’Olivo).
Annamaria Maistrello, Roberto Bianchin e Giovanni Dell’Olivo hanno devoluto integralmente i loro diritti d’autore alla cooperativa «Il Cerchio» che si occupa dell’assistenza ai detenuti.