Vado in piazza
no, tu no
Una proposta choc per Venezia
Contro le risposte mancate dei politici, gli slogan vuoti e le vaghe promesse elettorali, Marco Scurati, studioso dei flussi turistici, lancia una proposta forte per la capitale lagunare: fissare un numero programmato pari agli abitanti della città per poter accedere a piazza San Marco. Un limite massimo oltre al quale la piazza più famosa del mondo non sarà più frequentabile. Il visitatore sarà obbligato a prenotarsi via internet al momento della scelta del viaggio. La discussione è aperta.
VENEZIA — Patrimonio dell’umanità, Venezia è la città italiana più famosa nel mondo e più visitata. Vederla almeno una volta nella vita è nei sogni di tutti. Venezia però oggi è in pericolo e rischia di essere sommersa dalla sua stessa risorsa, il turismo. L’Unesco le ha dato un ammonimento, unico caso insieme all’Afghanistan per la distruzione dei Buddha giganti: sta rischiando di perdere lo status di sito tutelato. Il paradosso è che di turismo vive ma di troppo turismo muore. Anche in tempi di crisi il turismo è l’unico (o quasi) settore in continua crescita.
Oggi con il calo dei costi di viaggio, il maggior tempo libero e il reddito discrezionale di paesi usciti dal sottosviluppo, l’imminente Expo ci aspettiamo sempre nuove masse in movimento verso il nostro paese e quindi a Venezia. Nel 1951 viaggiavano all’estero meno di 25 milioni di persone all’anno, oggi oltre 1,3 miliardi, nel 2050 sono previsti 1,8 miliardi, e il governo cinese ha annunciato che darà 50 milioni di visti all’anno oltre ai 100 milioni già in circolazione. Nello stesso periodo la popolazione a Venezia è scesa da 170.000 a 56.000 abitanti, e le presenze turistiche annue sono salite da 1 milione a 27 milioni, per il 75 per cento di turismo mordi e fuggi escursionisti di poche ore, che ogni 6,5 anni raddoppia, e che non lasciano beneficio alla città ma sono solo costi e danni.
Una città con un’identità e un’anima secolari si è trasformata in un prodotto, dove tutto è organizzato per le masse di turisti di passaggio, cannibalizzando sé stessa anche come attrazione turistica. Ma come far coesistere la principale attività economica con l’esigenza dei cittadini resistenti che ci vorrebbero ancora vivere? Come vivere di turismo e con il turismo? Un numero crescente di visitatori in uno spazio limitato?
È il dilemma che ha attanagliato le amministrazioni degli ultimi venticinque anni, ma finora nulla è stato fatto lasciando la città senza una vera governance del turismo. Da qualche tempo vengono fatte dichiarazioni da figure istituzionali ma senza convinzione e senza un piano attuabile. Misure dissuasive di prezzo / stagionalità sono fallite, una semplice tassa non ridurrebbe i flussi, gli accessi alla città non sono controllabili pena bloccare la normale vita di tutti i city user.
Dal giugno scorso, quando è scoppiato lo scandalo Mose, la città è commissariata; si è tentato solo di far fronte al deficit, a maggio ci saranno le elezioni, e potrebbe essere l’occasione affinché la città si risollevi. E invece finora i candidati delle primarie del centrosinistra non si sono esposti: nessun programma (Casson) o cose esiziali come un po’ di politiche aggressive di storytelling, un hackaton, grandi eventi, archivi open, il distretto culturale di Mestre, sinergie etc. (Pellicani).
E in città si teme che ancora una volta ci saranno solo vaghe promesse elettorali con slogan generici e nessuna azione concreta. Insomma si scambiano gli obiettivi chiari a tutti, come turismo sostenibile, limitazioni, qualità, con i mezzi pratici per realizzarli che dovrebbero essere contenuti in un programma vero di governo. Direbbe Goldoni che i candidati si occupano di «vegnir a dir el merito» ma non di proporre soluzioni.
Allora ci stanno pensando i cittadini veneziani, associazioni e comitati, che delusi dai politici si stanno attivando da soli. In particolare, si discute dell’ipotesi di usare la piazza S.Marco come fattore limitante, ispirato alla teoria dei cicli funzionali in biochimica: la possibilità di intervenire sull’elemento più circoscritto e quindi governabile per controllare l’intero sistema. Si fisserebbe quindi un numero programmato per accedere alla piazza pari agli abitanti della città, un limite massimo oltre il quale la piazza è satura e non sarebbe garantita un’esperienza di visita dignitosa, oltre a mettere a rischio l’ordine pubblico e il benessere della città.
Il visitatore sarebbe obbligato a prenotarsi al momento della scelta del viaggio per rispettare la capacità di carico del luogo che vuole vedere, via internet attraverso gli intermediari che vendono Venezia in varie forme. I turisti di massa che hanno solo la piazza nella loro fantasia non potendo accedere quando già piena, sceglierebbero un altro periodo o altre zone della città. Oppure in gran parte rinuncerebbero. Mentre chi pernotta nel comune pagando già la city tax avrebbe sempre accesso così come i residenti e le varie categorie esentate. I tool digitali in fase di prenotazione e gli strumenti di radiofrequenza/chip per l’accesso oggi consentono una gestione e limitazione dei flussi.
Inoltre il turismo di massa non distingue la qualità e porta l’offerta a livellarsi verso il basso. Oggi infatti proliferano i prodotti di cattivo gusto anche se Venezia è stata per secoli l’emporio di eccellenza dell’Europa. Con una minor domanda di turismo di massa la città potrebbe concentrarsi sull’offerta alta degli attrattori culturali, oggi poco valorizzati, da abbinare al trasporto pubblico dedicato, un altro punto critico sofferente, e a un circuito a marchio per prodotti e servizi autentici e di qualità, come slow venice, made in venice, doc.
Si potrebbe aprire un dibattito sul fatto se è giusto che il nostro patrimonio culturale e storico sia protetto e quindi si ponga un limite a flussi crescenti per rendere l’esperienza di visita godibile, e sostenibile per la qualità della vita degli abitanti e del patrimonio storico artistico, ma sarebbe utile anche per avere un miglior risultato economico visto che meno visitatori possono portare valore economico maggiore.
Dopo l’alluvione del 1966 si erano creati in città vari movimenti e un fronte popolare guidato da Indro Montanelli, che ha posto le basi della tutela di Venezia, sono venute le leggi speciali, la salvaguardia etc. Poi però negli anni si è allentata la presa e allora i flussi crescenti lasciati al caso, le crociere, le grandi opere, la corruzione, fino ai giorni nostri in cui sembra che la popolazione si stia risvegliando. Dopo il caso Poveglia, l’ennesimo tentativo di vendita di un’isola della laguna fermato da un movimento di cittadini attraverso sottoscrizione pubblica, sono seguite altre mobilitazioni contro le svendite del patrimonio pubblico.
Salvatore Settis ha posto la questione nel suo recente saggio Se Venezia muore usando Venezia come metafora della perdita di un diritto alla città e dei beni intangibili umani e culturali che la caratterizzano. Italia Nostra e altri enti così come le categorie professionali sembrano appoggiare l’iniziativa e abbracciare l’idea di limite. Se si riuscisse ad applicarlo sarebbe un case history per l’Italia e per tutti i centri storici fragili del nostro paese.
Un caso positivo è Civita di Bagnoreggio, ma si stanno attivando altri in questo senso nel mondo. Si dimostrerebbe che preserviamo il nostro patrimonio, usando i mezzi digitali moderni, e il mondo vedrebbe non solo Venezia ma l’Italia uscire da una brutta fase («con la cultura non si mangia»), e imboccare la strada di un turismo sostenibile e della valorizzazione della cultura e dei beni heritage che sono il nostro vero petrolio da tutelare e valorizzare.