Sarà
che gli uccelli
sono intelligenti?
Esempi e ricerche sulle capacità intellettive dei volatili dimostrano che esiste una forma, in certi casi anche molto evoluta, di intelligenza aviaria. Pappagalli e corvidi si contendono il primato: gli esemplari casi del pappagallo Alex e della cornacchia Betty.
ISOLA DI SANTA CATARINA — Alcune specie di volatili sono in grado di volare attorno a tutto il globo terracqueo, guidandosi in qualche ancora non poco chiara maniera con le forze per noi invisibili del pianeta, o con l’impercettibile rete di linee che il campo magnetico disegna nello spazio.
Però questo non ha veramente molto a che fare con l’intelligenza, bensì più con l’istinto, o addirittura con una risposta fisica involontaria agli stimoli esterni, dettata dall’evoluzione e dalla biologia senza che gli animali possano aggiungerci alcunché.
Josè Carioca
Un po’ più difficile, ma non impossibile, l’addestramento: alcune specie imparano a ripetere azioni trucchi e acrobazie proprio come i cani ammaestrati del circo, condizionati pavlovianamente ma anche con una dose di intelligenza (notevole, secondo gli amici e sostenitori delle qualità intellettive canine). Ma altre specie di uccelli, come per esempio appunto i pappagalli, parlano. Parlano proprio. E parlano anche bene.
In un altro articolo pubblicato su Il Ridotto abbiamo accennato a un galeone francese che portava dal Brasile in Europa un carico prezioso: tronchi di pau-brasil, pelli di giaguaro, pappagalli istruiti nella lingua di Francia. Il tutto minuziosamente annotato nei documenti di un processo per pirateria, con autorizzazione papale.
Era abituale un galeone trasportasse in Europa il legno di pernambuco (scientificamente Caesalpinia echinata) un grande albero un tempo diffusissimo nella foresta atlantica, oggi in pericolo, ma nei secoli scorsi quasi estinto a causa dell’abbattimento sfrenato: dal pau-brasil chiamato dagli indio tupi ibira pitanga ossia «legno rosso» si ricavava, oltre al pregiato legno rosso cupo usato per ebanisteria e strumenti musicali, un colorante di qualità superiore per l’industria tessile, da cui un altro nome comune pau de tinta; il migliore si ricavava dalla resina detta brasileina, ma al tempo per tutto il Cinquecento per ridurre le spese il legno veniva macinato a mano dai forzati delle prigioni olandesi e trasformato poi in colorante. Delle pelli di giaguaro non occorre parlare. Ma dei pappagalli sì.
Varie specie di pappagalli e di arara sono in grado di parlare, e di riprodurre fedelmente la lingua che si insegna loro. Anche altri psittaciformi (parenti dei pappagalli) sono capaci di parlare, ma non fanno parte della categoria dei buoni imitatori, e comunque l’imitazione non è poi un gran segno d’intelligenza: più che altro si tratta di scimmiottare, parola scelta a proposito per marcare la differenza tra noi e i nostri parenti prossimi (sempre che si possa comunque stabilire con certezza una classifica tra le due specie, e tra i membri di entrambe).
Ma tornado agli uccelli: sarà che ce ne sono di veramente intelligenti?
Sebbene ci siano corvi e altri uccelli parlanti, i pappagalli detengono il primato delle chiacchiere aviarie, sono senza dubbio i più ciarlieri del regno degli uccelli. Non a caso Josè Carioca, il personaggio creato da Walt Disney (la leggenda vuole nel lussuosissimo e simbolico Hotel Copacabana Palace) per il mediometraggio «Saludos Amigos» (con Paperino e Carmen Miranda) uscito nelle sale di Rio de Janeiro il 24 agosto 1942, approfittando delle sue caratteristiche di specie è in grado di sovrastare e ridurre al silenzio, ogni volta che entra in scena, persino Paperino, il papero scalognato e nevrastenico ad alto potere di eloquio. Nella realtà, dato che parlano così tanto, i pappagalli sono spesso usati come materia di studio dai ricercatori di linguistica e di scienze cognitive.
Alex
Tra i diversi tipi di psittaciformi usati in queste ricerche troviamo il pappagallo cenerino (Psittacus erithacus, nelle due sottospecie conosciute: maggiore, Cenerino Africano del Congo; e minore, Cenerino Africano Timneh) volatile, soprattutto quello del Congo, conosciuto in tutto il mondo come il più abile nel parlare.
È famoso il comportamento di questa specie: per esempio se sentono suonare il telefono dicono «pronto?» invece di imitarne lo squillo. Si può liberamente supporre che facciano ciò per associazione.
Uno degli studi che dimostrò che i pappagalli non solo sanno ripetere i suoni, ma sono anche in grado di capirli, fu quello condotto con Alex, un pappagallo cenerino che visse dal 1977 al 2008. La storia della vita di questo uccello consente di illuminare alcuni aspetti della nostra domanda: sarà che gli uccelli sono intelligenti?
Alex fu cresciuto fin dal primo anno di vita dalla psicologa Irene Peppeberg, ricercatrice delle università Brandeis e Harvard. La lunga convivenza tra Alex e Irene fu alla base di grandi sviluppi nella conoscenza del comportamento dei volatili e nell’evoluzione del linguaggio nel cervello.
Il pappagallo Alex fu costantemente stimolato all’apprendimento, con gruppi di parole, piccole operazioni di calcolo, forme e colori da organizzare in categorie secondo l’apprendimento. Era in grado di usare più di cento parole e sapeva contare fino a sei partendo da zero; e stava anche per imparare il numero sette. Un vocabolario quasi invidiabile per molti esseri umani che oggi ricoprono ruoli pubblici.
Per le sue capacità Alex era considerato speciale negli ambienti scientifici. Ci sono moltissime relazioni sui suoi comportamenti considerevolmente evoluti in laboratorio, come correggere gli altri pappagalli nei loro errori, o insegnare loro a parlare meglio senza balbettare. O anche, manifestando apertamente il suo disappunto per la noia di certi esercizi troppo ripetitivi e poco stimolanti.
Lo sviluppo intellettivo di Alex, prodotto in trent’anni di educazione ininterrotta lo trasformò in un pappagallo sicuramente geniale, ma non fu di certo sufficiente a trasformarlo in un essere intelligente quanto un bambino di pochi anni, che già possiede una base logica e una capacità elementare di astrazione e generalizzazione.
Il Corvo
Un altro esempio di intelligenza aviaria è rappresentato dalla famiglia dei Corvidi, che tra l’altro raccoglie il maggior numero di individui di tutto l’ordine dei passeriformi. Forse a causa delle dimensioni sono dotati di un apparato cognitivo che consente loro di fare cose che sono generalmente considerate segni d’intelletto. In letteratura i corvi sono notoriamente considerati uccelli astuti, come nella versione di Jean de la Fontaine — che differisce negli intenti sia da Esopo che da Fedro — della favoletta della Volpe e il Corvo (e il Pezzo di Formaggio); in cui il Corvo, ingannato dall’astuzia della Volpe, giura di non cader mai più in un inganno di quel tipo, dato che ha appreso la lezione sebbene a caro prezzo.
Distribuiti in tutte le zone temperate del pianeta, alcune specie di Corvidi vengono chiamate localmente con un nome collettivo comune, come gralha in Brasile, jay in inglese, geai, che raccoglie tipi diversi come (in italiano) taccole e ghiandaie. Qui nel sud del Brasile possiamo prendere in considerazione la gralha azul (Cyanocorax caeruleus) tipica della zona. Tutti i tipi di Corvi mostrano una notevole abilità nel risolvere i problemi di sopravvivenza in modo veramente ingegnoso ed evoluto. Per esempio alcuni esemplari che vivono nelle zone urbane per mangiare semi particolarmente duri da rompere li lasciano cadere in mezzo al traffico lasciando alle automobili il compito di spezzare i gusci, e aspettano il momento opportuno per mangiare l’interno.
Un omologo di Alex tra gli esemplari di cornacchie della Nuova Caledonia (Corvus moneduloides) che sono considerati uccelli di grandi capacità inventive, potrebbe essere, se confermato, la cornacchia Betty, capace secondo un esperimento condotto nell’Università di Oxford, di piegare ad amo un filo di rame per servirsene come strumento per estrarre il cibo da nascondigli. Le cornacchie della Nuova Caledonia sono note per essere in grado di usare stecchi come strumenti per procacciarsi il cibo, anche di tenere da parte quelli che funzionano meglio, ma l’adattamento e la creazione di uno strumento sembrano andare anche oltre. Però manca in questo caso l’imponente mole di documenti e testimonianze relative invece alle capacità di Alex.
Forse per il suo aspetto, per la livrea spesso scura, per le abitudini necrofaghe, il palato invero molto poco esigente, il verso roco, anche se dimostrano abilità anche oltre la parola, i corvi sono sempre stati considerati portatori di cattivi presagi. Il più terribile di tutti il Corvo di Edgar Allan Poe e il suo verso: «Mai più» (ma l’angloamericano «nevermore» è anche più onomatopeico). Oppure, al cinema (a parte i supereroi sfortunati) come non ricordare il Corvo che consiglia i due fraticelli sperduti (Totò e Ninetto Davoli) in Uccellacci e Uccellini di Pier Paolo Pasolini?
Ma sono ancora i pappagalli che ci riportano alla nostra domanda iniziale. Sarà che gli uccelli sono intelligenti? Un venerdì sera, l’ultima notte della sua vita, il pappagallo Alex dopo trent’anni di convivenza con la sua ricercatrice, un poco prima di dormire per sempre le disse: «Mi piaci proprio. Ci vediamo domani. Ti voglio bene». ★
(traduzione e adattamento di Luca Colferai)