Moulaye Niang
detto il Muranero
Perle di vetro e di passione
In una delle più tenaci sacche di resistenza della popolazione cittadina, la storia di Moulaye Niang, senegalese diventato veneziano per arte, per amore e anche per tenacissima determinazione.
VENEZIA — Nonostante fosse ottobre, il sole non sembrava accettare il fatto che agosto se ne fosse andato ormai da un mese e continuava a cercarlo tra calli e fondamenta, cuocendo orde di turisti umidicci che emanavano afrori di deodorante in crisi e zaffate di idrocarburi durante la consueta marcia delle meraviglie in questa città un po’ per tutti. Partito da piazzale Roma, la mia destinazione è un negozio di perle di vetro situato nel sestiere di Castello, in salizada del Pignater, contrada sant’Antonin, alla Bragola, distante un ponte e na cae come si dice da queste parti.
Decido di andarci a piedi perché lungo la via, all’altezza del ponte dei Greci, c’è una gelateria niente male nella quale cerco d’imbattermi casualmente ogni volta che passo per di là.
È facile arrivare a Venezia e se uno è allenato in slalom e maratone può anche riuscire a vederla tutta in un giorno.
È facile leggere la sua storia sui libri, appassionarsi ai suoi problemi, mandare a memoria le sue usanze e le sue tradizioni e ai più arditi può anche capitare di comprare un cappello di paglia e una maglia a righe rosse e bianche nel tentativo di confondersi con la pittoresca fauna locale ma… Come si fa a diventare veneziani?
È quello che voglio chiedere a Moulaye Niang detto «il Muranero» che da anni ormai svolge un’attività particolare, di solito appannaggio degli autoctoni: quella del perlèr.
Quando arrivo, Moulaye sta seduto su uno scagno, la sedia dei maestri vetrai, intento a fondere il vetro su una fiamma arancione e blu per poi soffiarlo attraverso una cana da vero creando una piccola sfera colorata.
Accanto a lui, un altro ragazzo di nome Mady suona la chitarra. I due hanno una band musicale «Banda Nera» nella quale Moulaye suona la batteria, fanno musica africana esibendosi spesso nei locali di Venezia e provincia.
La bottega è molto accogliente, un banco da lavoro e dei divanetti bassi con un tavolino, alle pareti vi sono quadri dipinti da Moulaye che mi accoglie con un sorriso.
Dove sei nato?
A Dakar in Senegal.
E come sei finito a vivere a Venezia?
Mi trovavo a Parigi e siamo venuti con la scuola in vacanza a Venezia. Passando per calle del Fumo ho visto Vittorio Constantini che lavorava il vetro e questo mi ha attratto, dentro di me ho detto: «Io verrò in questa città a fare questo lavoro».
È stata una sorta di folgorazione improvvisa?
Credo proprio di sì, il resto è stata più che altro testardaggine. Se io voglio qualcosa faccio di tutto per ottenerlo e il vetro mi ha colpito subito, è stato amore a prima vista, sono tornato a Venezia proprio per quello.
E come sei riuscito a imparare le tecniche di lavorazione del vetro?
Come prima cosa sono andato a vedere Murano. A Murano vi sono molte aziende gestite da famiglie. Andavo a bussare alle loro porte chiedendo se c’era qualcuno disposto a insegnarmi come si fa ma tutti mi rispondevano che non era possibile, che non c’era una scuola e mi mandavano via; ma io tornavo sempre a domandare, ogni giorno.
Ci sono andato per due anni, prima di riuscire a conoscere grandi maestri come Pino Salvador e Davide Signoretti. Ma chi mi ha fatto entrare nel mondo delle perle di vetro è stata una ragazza, il cui nome è appunto Perla.
Quando l’ho incontrata ho pensato «Non è possibile, quello che voglio fare io sono proprio le perle di vetro! Questo è il destino.»
Tramite il suo aiuto e quello della sua mamma mi si sono aperte le porte di Murano, della scuola e della corte dei maestri del vetro.
Perché proprio le perle?
Le perle sono una cosa che sento molto vicina a me, profondamente legate alla cultura Africana dove sono presenti ovunque.
Nel mondo animista le usano per le cerimonie e i Bassari del Senegal, (un popolo del Senegal della Gambia e della Guinea che mantiene ancora intatte le antiche tradizioni africane) rappresentano ogni membro della famiglia con un piccolo puntino su una perla. Le perle sono usate per acconciarsi i capelli o per adornare i vestiti e i copricapi. Le donne indossano cinture di perle, che ricordano un po’ i sonagli delle danzatrici del ventre, per far capire che sono libere e al loro passaggio la strada si riempie di un ticchettio che porta con sé un forte significato anche sessuale, invece le donne sposate indossano queste fasce di perle solamente in privato.
E perché hai scelto proprio il vetro?
Mi affascina il modo in cui nasce; alla fine è terra, è sabbia è fuoco sommato al respiro che viene dall’uomo, dalla sua anima. È molto bello, è una cosa che faccio da tredici anni e non mi sono mai stufato.
Come ti sei trovato con i veneziani?
Con i veneziani ho subito avuto un rapporto bellissimo, anche se all’inizio è stata dura perché Venezia sembra un mondo aperto ma è invece molto chiuso ed è difficile entrarci in sintonia.
Le persone quando le conosci spesso ti domandano «Come ti chiami?» e la seconda cosa che chiedono è «Che lavoro fai?».
Sarà perché sulla costituzione italiana c’è scritto «L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro» e siccome io appena sono arrivato qui mi sono subito messo al lavoro, questo deve avermi molto aiutato ad entrare in sintonia con loro. Credo che questa sia stata la chiave.
E come reagiscono i veneziani ai tuoi lavori?
Li apprezzano! Apprezzano molto il fatto che possono entrare qui, scegliere i colori e io faccio una collana di perle a loro piacimento.
Oltre ai miei lavori, con colori e sfumature che ricordano l’Africa, faccio anche questi lavori su richiesta il che mi ha aiutato molto ad avvicinarmi ai veneziani. Adesso sono i miei migliori clienti.
L’oggetto di vetro che hai fatto che più ti è piaciuto?
Diciamo la perla che mi è riuscita meglio, perché quando faccio una collana non penso all’oggetto ma ad ogni singola perla in se, quella che più mi è piaciuta è nata mentre cercavo di imprigionare un tramonto africano ed è riuscita così bene che ho deciso di regalarla a mia sorella.
Quindi in ogni perla tu metti un’immagine?
Si. All’inizio cercavo di disegnarle e poi riprodurle ma era un disastro, ora mi lascio guidare da quello che ho in mente e cerco di trasmetterlo al vetro.
È un periodo particolare per il vetro ma non solo, il mercato è saturo di prodotti che vengono dalla Cina, molti negozi chiudono a causa di aumenti degli affitti e la città sembra un po’ in recessione culturale. Come se la passano l’artigianato e il vetro di Murano?
Io credo che i proprietari degli immobili Veneziani e i commercianti debbano venirsi un po’ incontro per cercare di salvare le tradizioni, prima che le multinazionali prendano il controllo della città. Mettendosi d’accordo sugli affitti che spesso sono troppo elevati.
A Murano c’è un altro problema abbastanza grosso: com’è possibile che il vetro non prodotto a Murano sia venduto nell’isola?
I maestri muranesi avrebbero dovuto unirsi per proteggere il loro vetro, non solo appiccicandoci sopra un bollino che tutti possono procurarsi e usare a loro piacimento su oggetti non originali ma vietando o regolamentando la vendita, almeno nella città d’origine del prodotto.
Non sono riusciti a tutelare il vetro di Murano e ormai il mercato internazionale ha preso il sopravvento e la situazione gli è sfuggita di mano con conseguenze economiche e culturali terribili.
Con questo vuoi dire che il vetro di Murano scomparirà?
Io non credo che possa scomparire perché il livello dei maestri muranesi è troppo elevato. Nessuno sulla terra potrà mai superarlo, mi sono informato e documentato parlando anche con dei grandissimi maestri vetrai degli Stati Uniti, molto più avanzati di noi a livello di ricerca che definiscono il savoir-faire dei muranesi il punto inarrivabile nell’arte del vetro mondiale. Questo li salverà sempre.
Dall’altra parte, c’è da dire che una crisi economica mette sempre a repentaglio le tradizioni, si rischia che i segreti di famiglia non siano più tramandati dai padri ai figli. Questi ultimi scelgono spesso di intraprendere altre strade, magari più redditizie e meno faticose interrompendo una catena secolare e questo è molto triste.
Fortunatamente ci sono ancora persone come te che portano avanti egregiamente queste tradizioni…
Be’, io amo questo mestiere e mi accontento di poco, se riesco ad arrivare a fine mese sono felice. Non m’interessa di guadagnare milioni ma di fare la mia piccola produzione come piace a me. In passato mi è stato proposto di lavorare all’ingrosso e avere alle dipendenze una trentina di persone ma ho declinato perché non m’interessa. Amo questo lavoro e il modo in cui lo faccio.
Possiamo dire che ti senti veneziano?
Mi chiamano il Moro di Venezia e il mio negozio si chiama Il Muranero, direi proprio di si.
Il nome del negozio è eccezionale, da dove viene?
C’era un amico di nome Bob, che mi prendeva in giro chiamandomi così e a me è piaciuto e ho deciso di usarlo, d’altronde qui a Venezia avete il «murer», il fiorer, il «forner» e ora c’è anche il «muraner» (ride).
Il tuo spritz preferito?
Io non bevo alcool, sia per religione sia perché non mi piace, ho un fratello che ha un bar mi ha fatto provare di tutto ma… no me piase niente.
Dopo lo spritz qui a Venezia si va a cena, qual è il tuo piatto veneziano preferito?
Il mio piatto preferito sono le sarde in saor e devo dire che dalle mie parti abbiamo un piatto simile che si chiama yassa, le sarde in saor del Senegal, si fa con pesce, tantissima cipolla e aglio, noi lo mangiamo con il riso ma adoro mangiarlo con la polenta. Mi piacciono molto anche i bigoli in salsa e vi dirò anche un segreto per digerire bene: dopo aver mangiato la cipolla bisogna bere del succo di zenzero.
Per chiudere ci vuoi raccontare un aneddoto curioso accaduto qui a Venezia?
Ce n’è uno fantastico. Quando ho aperto il negozio in cui stavo prima e mi hanno consegnato le bombole del gas è subito arrivata una signora anziana che mi ha detto: «Oh, cossa ti pensi de far ti co sta roba qua, ti ne vol far s-ciopar tuti quanti?» Ho cercato di spiegarle che non avevo alcuna intenzione di saltare in aria ma lei ha chiamato i vigili per un controllo, quando le hanno spiegato che tutto era in ordine ha replicato che non si sentiva tranquilla e che non sarebbe riuscita a dormire la notte. Il giorno dopo si è presentata da me con un piatto di pasta, allora le ho domandato: «Ma come, ieri hai litigato con me e oggi mi porti il pranzo?» E lei ha risposto che non ci capiva niente di queste cose e così, per non sbagliare, mi ha fatto una pasta. Quella signora, di nome Carla, per due anni mi ha preparato il pranzo calandolo dalla finestra con il cestino.