Lilya Brik
e Vladimir Mayakovsky
Le avventure delle coppie più celebri
Prosegue il nostro viaggio tra le storie d’amore e arte. La relazione che legò per quindici anni Vladimir Mayakovsky a Lilya Brik e il marito di questa, Osip, fu un tentativo nuovo di rapporto d’amore e d’amicizia. Nacque una vicenda struggente e pura dai risvolti insoliti. Lili pur ricambiando l’amore del poeta non volle mai abbandonare il marito ma lo coinvolsero nel fervore intellettuale e sentimentale della loro travolgente passione.
Osip Brik da giurista e commerciante divenne critico ed editore del rivale, e uno dei più brillanti animatori della vita letteraria russa durante il periodo dell’avanguardia cubo-futurista. La storia rivive in tutta la sua drammatica e complessa verità nella corrispondenza di centinaia di lettere, biglietti, telegrammi che Lilya e Vladimir si scambiarono ininterrottamente tra il 1915 e il 1930. Fu un amore tenero, capace di superare disagi e lunghe separazioni. Un amore che non impedì di soddisfare il bisogno di altri amori.
Vladimir Mayakovsky (1893-1930)e Lilya Brik(1891-1978) furono una delle coppie più celebri della letteratura mondiale ed il loro amore ha attratto studiosi e curiosi. Per i benpensanti fu un esempio di moralità borghese decadente e quindi riprovevole e ripugnante e questa fu la posizione sovietica ufficiale alla fine degli anni sessanta. Altri invece videro in questa storia d’amore un nuovo tipo di rapporto e d’amicizia. Il loro amore non fu né armonico, né semplice.
Non si sa nemmeno se nel breve arco di tempo in cui fu composto il famoso poema Liublju (1922), Mayakovsky fu felice di questa relazione. Certo il rapporto non fu privo di conflitti. Il loro primo incontro risale al 7 maggio del 1915, ma entrambi si conoscevano per fama reciproca come intellettuali impegnati politicamente e culturalmente.
Dalla corrispondenza risulta che sia Mayakovsky che Lilya ebbero diverse avventure amorose ma, nella sua autobiografia, il poeta russo definì quel giorno di maggio come la «data più felice». Mayakovsky s’innamorò così violentemente di Lilya da lasciare la sua casa e la sua compagna per trasferirsi a Pietrogrado ed essere vicino al suo nuovo amore.
La vita di tutti e tre cambiò radicalmente. Lilya fu la donna della sua vita egli l’amava sinceramente, senza riserve, anche se sapeva che l’amore di lei nei suoi confronti non era così esclusivo. C’era in Mayakovsky un bisogno di tenerezza che rasentava l’infantilismo. Nel suo diario egli scrive: «Ti amo, ti amo nonostante tutto e grazie a tutto, ti ho amata, ti amo e t’amerò, sia tu dura con me o gentile, mia o di altri. Comunque ti amerò. Amen» … « L’amore è il cuore di tutte le cose. Se cessa di funzionare tutto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se il cuore funziona non può non manifestarsi in ogni cosa, in tutte le cose.»
Mentre per Mayakovsky Lilya era tutto, per lei l’amore del poeta non era l’unica cosa della sua esistenza. Il marito di Lilya: Osip era abbastanza indifferente al lato erotico della relazione e grazie a ciò non sorsero mai in lui la sofferenza e la gelosia che invece turbarono profondamente Mayakovsky. Osip e Lilya smisero di vivere come marito e moglie fin dal 1914, ma non desiderarono mai divorziare e rimasero formalmente sposati fino alla morte di Brik.
Lilya volle sempre bene a Osip per la sua intelligenza, cultura, erudizione letteraria. Osip e Vladimir per lei si completavano come due emisferi del cervello uno emotivo, l’altro analitico e riflessivo.
Presupposto per tutti e tre dell’amore autentico e dell’amicizia era il rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia di ognuno di loro. Questo non impedì conflitti e gelosie. Il prezzo più alto fu pagato da Mayakovsky, ma non fu solo lui a soffrire dell’incapacità di governare i propri sentimenti.
Nonostante le ovvie difficoltà li univa una amicizia profonda, la fedeltà, la fiducia reciproca, gli interessi comuni.
Pur amando freneticamente la vita in tutti i suoi aspetti Mayakovsky si suicidò, la sua incredibile energia sormontava tutti gli ostacoli, ma lui sapeva che non avrebbe potuto vincere la vecchiaia e con orrore l’aspettava sin da giovane. Tante volte aveva ripetuto: «Mi sparo, la faccio finita. Trentacinque anni sono la vecchiaia! Vivrò fino a trent’anni non di più».
Due giorni prima di morire il 12 aprile 1930 scrisse una lettera di congedo nella quale si scusava con tutti per il dolore che provocava loro e che da vivo aveva sempre cercato di evitare. Non voleva che la sua morte diventasse un esempio: il suicidio, scriveva, non lo consiglio agli altri. Esso non risolve niente, è una fuga, ma lui non aveva la forza di opporsi alla percezione della vecchiezza incombente ed al declino ad essa legato, che assumeva per lui un carattere iperbolico.★
«Signor Dio, sentite,
non ne avete abbastanza
di inzuppare ogni giorno gli occhi paffuti
nella gelatina di nuvole?
Sapete cosa?
Facciamo una giostra
Sull’albero del bene e del male!
Onnipresente, sarai in ogni dispensa,
e in tavola metteremo certi vini
che anche quel tristone di San Pietro
si metterà a ballare il ki-ka-pu,
e riempiremo il paradiso di Eve
fammi soltanto un fischio
e stanotte stessa
ti porterò dai viali
le ragazze più belle»
(Vladimir Mayakovsky)