Il varo
Tutte le prime volte
Arrivo nel primo pomeriggio a Combrit, nel cantiere Structures ed il Narayan, elegantemente disalberato, attende sopra un rimorchio il camionista al suo ultimo giorno di lavoro dopo quarant’anni di servizio ed io, mani in tasca a toccarmi i gioielli di famiglia, sorrido; oggi, farà l’ultimo trasporto; gli chiedo, prima, se ha mai avuto incidenti e al suo diniego, lo prego, per la salute del mio cuore, di concludere elegantemente la sua carriera, come direbbero i francesi: in maniera impeccabile; mi scruta e mi rassicura, così, come arriviamo a Benodet, scaricata la barca, ci beviamo una buona birra. Yarmatt, salute!
28 maggio 2014, giorno del varo
Arrivo nel primo pomeriggio a Combrit, nel cantiere Structures ed il Narayan, elegantemente disalberato, attende sopra un rimorchio il camionista al suo ultimo giorno di lavoro dopo quarant’anni di servizio ed io, mani in tasca a toccarmi i gioielli di famiglia, sorrido; oggi, farà l’ultimo trasporto; gli chiedo, prima, se ha mai avuto incidenti e al suo diniego, lo prego, per la salute del mio cuore, di concludere elegantemente la sua carriera, come direbbero i francesi: in maniera impeccabile; mi scruta e mi rassicura, così, come arriviamo a Benodet, scaricata la barca, ci beviamo una buona birra. Yarmatt, salute!
Fluttua leggero, sospeso a mezz’aria con il bianco albero nudo e la chiglia sollevata, la coperta è bianca mentre una fascia argento ed una sottile linea rossa, circondano il Narayanche sembra una creatura quasi aliena, pronta a prendere vita al solo tocco dell’acqua. La gru lo ha già portato a tre metri dal suolo e lui oscilla lieve e pacato, mentre gli uomini del cantiere si muovono agili installando l’albero e terminando gli ultimi particolari prima del varo. Ed io, osservo, molto probabilmente con espressione beota, la mia nuova casa viaggiante, di poppa, di prua, di traverso; sarà anche la prospettiva, ma la vedo grande, enorme e, soprattutto: paurosamente sconosciuta.
Montano l’albero e alato dalla gru scende leggero sull’acqua. Evviva!!! Pochi secondi e la barca toccherà acqua per la prima volta! In un solare pomeriggio bretone… mentre lei fluttua per gli ultimi istanti nell’aria, io galleggio un palmo sopra il molo gongolandomi dalla felicità.
È enorme, ora sospeso la sua poppa, larga quattro metri e mezzo, sembra ancora più gigante, quasi non ci credo… ora lo vedo bene, è grande, possente, è un cavallo di razza, una combinazione di agilità, potenza, eleganza… ci siamo: tocca l’acqua mentre una espressione di pura gioia compare sul mio volto e i lembi delle labbra mi arrivano alle orecchie; ce la farò a conoscerlo? Mi porterà sicuro? Sarò in grado di affrontare questi mari?
Czzo.. ho paura. È un salto nel buio; un azzardo che potrei pagare caro.
Toccata l’acqua! Il Narayan è bellissimo ed io, emozionato come un bambino piccolo,
mi appresto nonostante manchino vele, immatricolazione ed assicurazione, ad inaugurare a modo mio il Narayan: niente brindisi o bottiglia, solo vessilli.
Difficilmente riuscirò a descrivere quello che si prova al varo della propria barca, attesa per un anno intero, quando metti il primo piede nelle tua barca nuova cosa ti succede dentro… e, proprio per questo, ci rinuncio.
Dirò solo che, salito a bordo munito di un cofanetto in legno di modeste dimensioni, sotto l’attento sguardo di una ventina di persone tra curiosi e addetti ai lavori, dopo aver accarezzato e baciato ripetutamente l’imbarcazione, apro il cofanetto che avevo posto a prua, davanti all’albero ed inizio la mia personale cerimonia scaramantica, mentre mi giro per un attimo verso la platea scorgendo volti contraddetti, impressionati, smarriti, volti curiosi… ma soprattutto ho la netta sensazione che mi guardino come un matto; attimi di silenzio interrotti da un suono di approvazione mentre apro il cofanetto ed estraggo la bianca e nera bandiera bretone: sono ospite e come tale mi riconosco; issato il vessillo bretone, (io già batto bandiera francese) provvedo ad issare il tanto amato vessillo della mia città. Sino a qui tutto regolare; poi estraggo dal cofanetto un vessillo portafortuna di antica origine (pare Veneziana, ma onestamente non potrei dirlo) necessario ad ogni imbarcazione come amuleto contro le avversità ed ogni male; un amuleto provvidenziale per ricordare; una panacea contro la tristezza e lo avvilimento, fondamentale per uomini che affrontano il mare a volte in condizioni difficili. La piccola platea segue incuriosita mentre annuncio, autoblasonandomi un poco, come sanno ben fare gli inglesi, che questa è una antica tradizione della mia città, una cerimonia ineludibile rinunziando alla quale, terribili sciagure e calamità si abbatteranno sul naviglio ed i suoi occupanti, così, dopo averlo baciato ripetutamente e portato alla fronte per tre volte, appendo, serio e composto allo strallo del fiocco un delizioso perizoma nero sottratto a Donna Lucia… tre secondi di silenzio e mezzo minuto di ovazione.
Saltano a bordo Antoine e Julien, due del cantiere; il primo si occupa delle manovre, il secondo è il responsabile diretto della costruzione del Narayan ed in pochi minuti siamo dall’altra parte del fiume, nella piccola Saint Marine, in patria Begouden dove, in attesa sul molo, trovo un tipo alquanto crucciato, piccolo, pelato, braccia incrociate che mi fa notare, proprio durante le manovre di ormeggio e senza neanche salutarmi, che il colore scelto per la mia barca non è bello come quello che ha scelto lui per la sua; fissata la cima, guardo alla mia sinistra e vedo una barca nuova come la mia, dello stesso cantiere, con gli stessi colori, solo un paio di metri più corta che scoprirò varata poche ore prima; io, commerciante Veneziano di 49 anni, lui, dottore Olandese di 65, per un totale di 114 anni.
Un guizzo di sfida mortale mi balena negli occhi mentre rispondo rapidamente che lui non ha l’elegante striscia rossa laterale, come me… lui ribatte che i colori delle sue scotte sono molto, ma molto più belli, appropriati ed eleganti al contrario delle mie che sembrano dei lacci da scarpe: ne segue un discorso demenziale di una mezz’ora dove, tornati completamente bambini, ci gongoliamo del nostro nuovo acquisto: io, Veneziano di 6 anni, lui Olandese di 8 anni, per un totale di 14 anni. Finisce il tutto con una mortale sfida al Café de la Cale… fino alla chiusura, o almeno quello che, al momento, ci parve come chiusura.
Saint Marine, lo stesso giorno
Barca in acqua, bellissima; anche senza vele, assicurazione ed immatricolazione, non c’è quasi niente dentro ma comunque spedisco Giorgio a casa e, dopo la furiosa battaglia con il dottore, inizio a vivere nel ventre del Narayan la mia prima notte… quasi come una prima notte di nozze di un antico matrimonio, dove lo sposo ha visto la sposa solo un paio di volte e solo una volta l’ha sfiorata accarezzandola timido, di nascosto dagli altrui sguardi: ora, finalmente, l’attesa è finita e può toccarla, baciarla, accarezzare le sue parti… conoscerla meglio piano, piano, giorno dopo giorno.
Accendo un incenso, metto un po’ di musica a basso volume, stappo una bottiglia di vino rosso aggirandomi, emozionato e commosso, dentro e fuori nella barca, accarezzando cime, scotte, sartie, boma, osservando, piangendo fino a tarda notte in un turbine di emozioni che lascio fluire senza paure; come il tempo possa cullarci o farci morire di infarto, questo non lo so, ma sembra un attimo ed invece da dieci giorni dormo dentro quando, finalmente, arrivano le vele, l’immatricolazione e assicurazione, montano il tutto e sparisce in camera mia il nero perizoma di Donna Lucia, degnamente sostituito dal nuovo fiocco con banda UV rossa.
La prima volta
Antoine del cantiere che fa regate con la stessa barca, Giorgio che non ci piglia troppo ed io, in un solare pomeriggio bretone, issiamo, per la prima volta tela (solo allora capisco perché i francesi la chiamano Grande Voile): sessantaquattro metri quadrati di randa top square e quaranta di fiocco, con dieci/quindici nodi di vento, fanno volare leggero il Narayanmentre Antoine mi inizia alle regolazioni delle vele, dandomi preziosi consigli base; torniamo in poco meno di tre ore che mi sembrano minuti, incrociando una decina di piccoli catamarani di pochi metri, ogni uno con due piccoli marinai imbottiti dai giubbotti e trainati dal gommone dell’istruttore che passando ammirano la barca e noi: certo noi siamo i grandi, come grande è la barca; loro vedono dei vecchi e, come tutti i vecchi, li ritengono esperti… io, da parte mia, li guardo intenerito e commosso pensando e sapendo che sanno più di me, molto più di me; li saluto sorridente e loro passano ammirandoci.
Se prima della prima uscita ero leggermente intimorito, ora, dopo la prima navigazione, inizio a essere pesantemente preoccupato vista la mia abissale ignoranza e la poca confidenza dimostrata da Giorgio con quel tipo di imbarcazione… la testa mi frulla a mille, e le seguenti due notti le passo preoccupato combattendo i miei fantasmi, le mie paure; qualche giorno dopo, esco un paio d’ore con Titou, che non tocca la barra e gentilmente mi regola il nuovo e complesso autopilota, tarandolo e modificando parametri che scoprirò in seguito essermi molto utili, ed è stupefacente vedere come le persone competenti rendano apparentemente semplici operazioni che, ripetute da soli, risultano essere orrendamente complicate ed impegnative.
Il fine settimana ho il piacere e l’onore di una uscita giornaliera con Antoine e Julien; quest’ultimo è stato il diretto responsabile per la costruzione del Narayane navigare con loro, per me, è una grande opportunità: chi meglio del costruttore può spiegarti la barca?
C’è un leggero vento, un sole splendente, un cielo terso ed una luce quasi innaturale che vivifica la costa, le rocce, gli scogli e dietro gli alberi, la foresta bretone, misteriosa e mistica, dove avvallamenti e piccole colline coperti dalla vegetazione, nascondono all’occhio, l’orizzonte.
Uscire da Saint Marine in barca non è semplice e oggi, che è una giornata quasi mediterranea, il Narayansi stacca dalla banchina flottante con 10/15 nodi di vento al traverso (ovviamente ti spinge quasi sempre verso la stessa) e una corrente di marea discendente che, aiutata dallo sfociare in mare del fiume Odet, raggiunge circa tre nodi e mezzo; aggiungete lo spazio di manovra ristretto e si può facilmente comprendere perché ogni volta che ci torno perdo circa sei mesi di vita ad ogni atterraggio.
Ovviamente, con Antoine e Julien usciamo impeccabili con una facilità e semplicità evidenti districandoci tra boe, secche, barche in transito e quant’altro, un poco con la stessa disinvoltura che può avere un veneziano in barca nel traffico del Canal Grande all’ora di punta: a vederlo sembra facile, ma è semplice ed intuitivo solo a chi è nato in quel luogo.
In un paio d’ore, passati i Moutons, arriviamo alle magnifiche e pericolose isole dei Glenans. I Moutons, o Montoni sono degli scogli così denominati per la loro forma… sì, perché in Bretagna scogli e secche hanno nomi di antica data e sono conosciuti e scolpiti nelle mappe nautiche mentali degli abitanti; l’arcipelago dei Glenans, con i suoi scogli e le sue secche, con il suo aspetto caraibico, affascina, sa di pulito, sano, poco contaminato, dove la presenza dell’uomo è discreta e saggia.
Bagno, spuntino, birretta e un ritorno vela con inseguimento di imbarcazione inglese opportunamente raggiunta, sorpassata e mestamente, ma non troppo, derisa, concludono la piacevole giornata. Chiedo ai ragazzi se conoscono qualche ottimo skipper per la prima settimana di navigazione sulla costa bretone ed Antoine mi dà il numero di un suo ex compagno di classe, ora skipper e formatore a Brest che, una volta contattato, si dice disponibile dal 21 al 29. Ottimo. Merci les amis.
La più bella donna dell’intero universo conosciuto
Due giorni prima della partenza faccio venire, per la settimana di navigazione, mia figlia Giulia di otto anni con sua madre, mia ex compagna per quattordici anni: sto vivendo questa avventura con il fervore di un trentenne, ma il mio cuore resta triste ancora per la perdita della famiglia che avevo tentato di costruire ed ogni occasione è buona per tentare di attutire il dolore di chi è stato, alla fine delle cose, colpito più duramente… Giulia.
Una settimana di navigazione sulle coste bretoni con mia figlia Giulia e la mia ex moglie… no, non tento di recuperare niente, ma è l’unica maniera per avere accanto Giulia e mostrarle il nuovo mondo del papà, la mia nuova vita, la nuova casa, un nuovo mondo: non c’è più niente da salvare, c’è solo da costruire tutto di nuovo, ancora una volta. Mi tiro a lucido così tanto che persino al Café de la Cale mi chiedono che ci faccio così preparato e profumato ed io annuncio che arriverà la più bella donna dell’intero universo conosciuto e non: la mia Giulia.
Incontro Frederick e la prima cosa che chiede è quali siano le mie aspettative per la settimana di navigazione ed io, felice della opportuna domanda, rispondo che le aspettative sono due: primo trascorrere una piacevole settimana di navigazione con la mia famiglia; secondo iniziare a conoscere il mondo della vela e la mia barca, vista la mia quasi totale ignoranza. Lui sorride e annuisce… si va.
Frederik B. va oltre ogni mia aspettativa: paziente, competente, nonché disponibile con la piccola Giulia visto che anche lui ha una figlia di pochi anni meno; la settimana di navigazione, ridotta dalle cattive condizioni dello stomaco della mia ex, diviene per me come una nota di attacco, inizia la musica e lui mi massacra alla francese, ma entriamo e usciamo a vela da Saint-Marine, Concarneau, Lorient, Ile de Groix, passando per le isole Glenans mentre Giulia si rosola al sole ed io inizio a fare, sotto l’attento occhio di Fred, le prime virate in solo, con pilota automatico e senza; sono stanco ma contento e Fred capisce bene che sono veramente interessato ad apprendere, ben al di là del suo compenso giornaliero, per altro, visto il livello, più che onesto.
Partono Giulia e la madre… adesso si inizierà a navigare veramente.
17 giugno 2014, rotta verso Londra
È ovviamente saltato il programma di Amburgo: questo consisteva nel navigare da Saint Marine verso nord, per Amburgo dove mi sarei unito ad una trasmigrazione di gruppo, la European Odyssey, partente dalla città tedesca in direzione della isola di Lanzarote, nell’arcipelago delle Isole Canarie, passando per Londra proprio nel cuore della City, per poi transitare per Francia, Spagna, Portogallo, Marocco fino ad atterrare a Puerto Calero, nell’isola di Lanzarote: totale miglia… parecchie.
Non farò in tempo ad essere ad Amburgo per il 2 di luglio, così opto per andare a Londra direttamente: non voglio perdere l’occasione di passare sotto il Tower Bridge, non voglio perdere l’occasione di andare a trovare il mio altro amore, la mia figlia venticinquenne che lavora lì. C’è la farò.
Frederik B. diviene il mio primo mentore francese, pardon bretone. Chiedo a Fred di venire con me, almeno fino a Londra, lui non può e così mi dà il numero di un suo ex compagno di scuola, velista esperto ed anch’esso formatore nonché puro bretone Begouden. Incontro Jannick R. al Café de la Cale; lui parla poco e non è un buon comunicatore come Fred ma l’impressione che mi dà è ottima così siamo quasi pronti per la partenza, in più ho un conto in sospeso con un certo tipo inglese che, da giovane, mi ha praticamente rovinato l’esistenza… ma di questo e del Capitano Jannick R. vi racconterò la prossima volta.
Salute, benessere e prosperità cari concittadini.