Il teatro che non c’è
nella città del teatro
Un caso unico al mondo
Il teatro di prosa, almeno quello di un certo livello, è praticamente scomparso nella città che è stata per secoli la culla del teatro, Venezia. L’ultimo grande regista veneziano, Gianni De Luigi, direttore dell’istituto internazionale della commedia dell’arte, lancia l’allarme e firma un progetto ambizioso, suggestivo e provocante, per contrastare il degrado e risalire la china: il Manifesto per il teatro della città. L’artista sogna la creazione di un centro teatrale cittadino articolato nei quartieri che elabori e promuova l’autocoscienza e la coesione della città. Per farne ancora la città del teatro.
VENEZIA – Nella dispersione dei contesti locali tradizionali, nella omologazione ed estraneazione generale dello spazio, oggi tutto tende a diventare periferia. In questa rivoluzione spazio-temporale della globalizzazione, la città emerge come possibile controtendenza: centro di relazioni e inedite dinamiche interumane, di disalienazione, in cui possono venir dischiuse nuove prospettive di universalità.
La città non è infatti uno spazio qualsiasi: è spazio fondato, affermato, deciso. La fondazione della città è un atto che si rinnova nel tempo. Avviene quando rinnova il rapporto «con i suoi dei», quando in essa rivive l’ispirazione originaria che l’ha fatta nascere. Ciò può avvenire anche, e soprattutto, grazie al teatro.
Pensiamo alla sua vocazione originaria. Il teatro era per i Greci uno spettacolo di massa, molto sentito e vissuto da parte dei cittadini di ogni classe sociale e condizione economica. La rappresentazione teatrale non era soltanto uno spettacolo: era prima di tutto un rito collettivo di rigenerazione della polis che si svolgeva durante un periodo sacro in uno spazio sacro. Al centro del teatro sorgeva l’altare del dio.
Ad Atene il teatro era evento rituale di grande rilevanza religiosa, sociale e politica, considerato essenziale per la coesione e l’educazione della comunità (tant’è che da Pericle in poi è la tesoreria dello Stato a rimborsare il prezzo del biglietto). Agli spettacoli la popolazione partecipava in massa e probabilmente già nel quinto secolo avanti Cristo erano ammessi anche donne, bambini e schiavi. Il teatro, proprio per questo suo carattere collettivo, assunse la funzione di specchio della polis, cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e culturale dell’Atene democratica: la polis visse fino a che vivo e vitale rimase il suo teatro.
Anche per secoli una città può rimanere senza coscienza di se stessa, residuale. Anche per secoli, può rimanere senza teatro. Ma quando sa rispecchiarsi essa torna ad essere centrale. Il teatro può esserne lo specchio straordinario: il teatro è cruciale nel destino della città, e la città è cruciale nel destino del teatro.
Prendiamo Venezia, la città del teatro per eccellenza. Fin dalla sua nascita Venezia ha avuto un rapporto privilegiato con il teatro e la storia del teatro si collega profondamente alla vita civile e culturale della città lagunare. Stravolgendo i canoni del Medioevo e trasformando le feste religiose in riti pagani venne realizzata la prima forma teatrale tipicamente veneziana, chiamata Momarìa, dove coesistevano vari generi, che poi si svilupperanno autonomamente, dal celebrativo all’avventuroso, dal romantico al farsesco, con l’uso della maschera, che poi si evolverà nella Commedia dell’Arte, e l’accompagnamento musicale, alternato a balli.
D’altronde il legame profondo di Venezia con il teatro deriva in parte dalla sua unicità: l’intera città è uno splendido palcoscenico, dove si sviluppa un’attività di progettazione, che talvolta assume il sapore dell’utopia, specialmente quando esalta la sintonia con l’elemento acqueo. Venezia, per la sua storia e la sua morfologia urbana, è città teatro: i suoi campi ne sono testimonianza. Volendo fare un paragone con lo spazio sacro dei Greci, quasi ogni campo ha una chiesa che si affaccia. Quindi come recuperare lo spirito antico oggi che la vita quotidiana si sviluppa tra internet, whats app, facebook…? Forse con il palcoscenico diffuso in tutta la città, forse attraverso il rapporto interattivo tra attori e spettatori… Ma soprattutto presentando in modo autentico la città ai suoi cittadini, stimolandoli a guardare anche dove non vorrebbero guardare.
Far rinascere un teatro non evasivo, un «teatro della città» è un’operazione certamente complessa e molto, molto difficile: bisogna mettere insieme lucida capacità di analisi della realtà, creatività, scrittura drammaturgica, mestiere teatrale, risorse economiche. È coordinare, mettere in moto e far interagire tutte queste cose insieme in modi e luoghi adatti, in un ambizioso progetto di «Teatro della città» che è anche – e prima ancora – un progetto di «Città del teatro», base del nuovo progetto di città fondato non sulle pietre, ma sui cittadini.
Bisogna ripensare alla vicenda di Venezia di questi ultimi due secoli, capire perché ad un certo punto la città non ha saputo coniugare con il presente la sua unicità. E ha perduto se stessa. E dirla, rappresentarla sulla scena questa impotenza, scandagliarne le ragioni in modo che tutti possano viverla, immedesimandovisi catarticamente. Liberare le menti dalle incrostazioni pregiudiziali che ci tengono prigionieri entro i loro invisibili involucri. Rappresentare nel modo più efficace, cioè teatralmente, che viviamo in un luogo centrale nel mondo, in cui tutto può essere fatto e tutto può accadere. Per rappresentare il possibile ci vuole il teatro adatto che sappia comunicarlo, farlo diventare senso comune, renderlo popolare.
Bisogna creare le condizioni perché avvenga una sorta di osmosi tra città e teatro, attraverso anche la creazione di una rete capillare di soggetti ed attività teatrali sparsi nella città: ovunque teatri di quartiere (ogni quartiere ha uno spazio adatto a diventare teatro). Bisogna riunire i cittadini sul tema «capire la città» e «capire il teatro» (capire la città attraverso il teatro e capire il teatro attraverso la città), spiegare come diventare spettatori consapevoli e critici sia lo stesso che essere cittadini consapevoli. Raggiungerli e invitarli nelle loro case, non solo con la posta elettronica e le reti sociali. Mobilitarli spiegando loro che, se saremo capaci di realizzare il progetto di «Teatro della città», avremo fatto un passo decisivo verso la Venezia del futuro.
Si tratta inoltre di radicare profondamente l’agire teatrale nel humus della memoria dei luoghi (i quartieri) – ricordarli come erano e come sono, chi ci abita e chi ci ha abitato con filmati di tutti i generi, foto di ieri, oggi e selfie – in modo da riaprire il flusso diretto tra passato, presente e futuro. E indagare sugli abitanti dei diversi quartieri, su chi si occupa di teatro, professionalmente o amatorialmente, fare di essi dei veri e propri «agenti teatrali» sul territorio. Apprendere o tornare ad apprendere come si fa teatro, con lezioni e proiezioni degli spettacoli che hanno fatto epoca, di quegli attori e autori dove Venezia e i suoi cittadini sono protagonisti. C’è bisogno che ognuno faccia la sua parte: il professionista scendendo dal suo piedistallo, l’amatoriale uscendo dal suo orticello, lo spettatore diventando «consapevole».
Approfittare infine della presenza cosmopolita a Venezia, promuovendo incontri con attori, registi, autori professionisti anche stranieri che abitano o passano per Venezia, per un confronto non episodico con gli amatoriali e il pubblico. E rivitalizzare l’opera musicale con le storie veneziane e canzoni e danze popolari, ma anche aprire alle nuove sperimentazioni artistiche d’avanguardia.★